2025 05 21 Non dimentichiamo i tanti nostri fratelli perseguitati a motivo della loro fede
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
VIETNAM - minacciata e ostracizzata a causa della fede
PAPA LEONE XIV E AFRICA
CONGO RD - “Bukavu è una città lasciata alla fama e allo sbando”: testimonianza dal capoluogo del Sud Kivu
PAKISTAN - 35enne cristiano torturato e ucciso. Attivisti: ‘Non è caso isolato’
Kashif Masih il 12 maggio è stato brutalmente torturato e ucciso per una falsa accusa di furto. Si indaga su un ex ufficiale di polizia. Il caso ha riacceso l’indignazione per la persecuzione dei cristiani in Pakistan e per l’impunità di chi esercita il potere. Gli attivisti per i diritti umani: “Nessuna uniforme dovrebbe porre qualcuno al di sopra della legge”.
Attivisti per i diritti umani, leader della società civile e sostenitori delle comunità cristiane hanno emesso una ferma condanna in seguito alla brutale tortura e omicidio di Kashif Masih, operaio cristiano 35enne. La tragedia è avvenuta nel villaggio di Jamkay Cheema, distretto di Sialkot, il 12 maggio. Il caso ha riacceso l’indignazione per la persistente persecuzione dei cristiani in Pakistan e per l’impunità di chi esercita il potere.
Secondo il primo rapporto informativo (FIR n. 154/25), Kashif Masih è stato rapito, gravemente torturato e ucciso da Areeb Babar, Ijaz Ikramullah e cinque uomini armati non identificati, presumibilmente su ordine di Malik Irfan, ex ufficiale di polizia. Gli aggressori hanno picchiato Masih con delle mazze, lo hanno colpito alla testa e agli occhi, conficcandogli perfino dei chiodi nelle gambe. Appena prima di morire, Masih ha rilasciato una dichiarazione in cui incolpava i suoi aggressori. La violenza sarebbe stata scatenata da una falsa accusa di furto di telefoni cellulari. Un’accusa che la sua famiglia respinge fermamente.
Masih lavorava per Malik Irfan da tre anni. Suo fratello, Riyasat Masih, ha sottolineato che la perquisizione della casa non ha fatto pervenire alcun oggetto rubato. Mentre veniva effettuata il fratello era già in custodia dalla sera precedente, trattenuto e torturato. Il dramma è ora oggetto di indagine e, secondo quanto si apprende, Irfan è stato arrestato, mentre gli altri accusati hanno ottenuto la libertà su cauzione, sollevando dubbi sulla loro presunta impunità.
Joseph Janssen, difensore dei diritti delle minoranze, ha condannato fermamente il gesto, evidenziando un modello sistematico di violenza mafiosa, persecuzione religiosa e negligenza dello Stato in Pakistan. “Questo non è un caso isolato”, ha dichiarato, ricordando anche la tragica morte di Asif Masih, cristiano di 28 anni torturato pochi giorni prima. “Questo livello di brutalità non può verificarsi senza carenze sistemiche. Il Pakistan deve rispettare i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani e dimostrare che tali atti non rimarranno impuniti”. Janssen ha sottolineato la radicata cultura dell’impunità, in cui i colpevoli all’interno della polizia e dei circoli elitari operano senza temere conseguenze. “Quando le stesse forze dell’ordine diventano lo strumento di tortura e il distintivo diventa una licenza per uccidere, allora la giustizia non è più giustizia, è tirannia selettiva”.
Ora la famiglia di Kashif Masih teme ritorsioni e chiede la protezione dello Stato, poiché l’accusato gode di un’influenza sociale e politica che potrebbe sabotare il processo legale. Il Pakistan ha compiuto alcuni passi legislativi significati; tuttavia, deve ancora essere promulgata la legge sulla tortura e la morte sotto custodia, che rimane quindi inefficace. “Le leggi sulla carta non significano nulla quando il sistema giudiziario si piega al potere e mette a tacere chi non ha potere”, ha dichiarato Ashik Naz, sostenitore dei diritti umani. In una dichiarazione congiunta, gli attivisti hanno ribadito che: “Nessun grado, nessun distintivo, nessuna uniforme dovrebbe porre qualcuno al di sopra della legge”.
Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha ufficialmente designato il Pakistan come Paese che succinta tra le maggiori preoccupazione in merito a violazioni della libertà religiosa e per il modello di abusi profondamente radicato. Quest’ultimo comprende esecuzioni extragiudiziali, torture in carcere, soppressione della società civile e dei media, vessazioni nei confronti dei difensori dei diritti umani, leggi discriminatorie sulla blasfemia che colpiscono le minoranze religiose, diffusa impunità dei responsabili e la persistente inazione o complicità dello Stato. (Asia News di Shafique Khokhar17/05/2025)
VIETNAM - minacciata e ostracizzata a causa della fede
Dopo la morte del marito Diem ha preso la decisione di seguire Gesù, circa un anno e mezzo fa. “Se segui il tuo Dio, il libretto dei poveri ti sarà revocato”
Nell’area costiera del Vietnam, regione in cui dominano usanze tradizionali come il culto degli antenati, le donne che si convertono al cristianesimo subiscono forti pressioni dalle loro stesse famiglie. Donne come Diem (pseudonimo), 51 anni, che vive vicino al confine con il Laos.
Dopo la morte del marito, Diem si è trovata a lottare con l’onere finanziario di sostenere la famiglia e con la pressione di mantenere le tradizioni di culto ancestrali. Tutto questo ha iniziato a mettere a dura prova anche la sua salute fisica.
Diem ha preso la decisione di seguire Gesù circa un anno e mezzo fa. Non molto tempo dopo, il capo del villaggio l’ha avvertita: “se segui il tuo Dio, il libretto dei poveri (un libretto con benefici sociali per sostenere le famiglie povere secondo le politiche del governo, ad esempio con la retta scolastica gratuita per i bambini o il sostegno occasionale da parte di sponsor) ti sarà revocato, e non riceverai più alcun sostentamento per l’allevamento del bestiame”.
Diem si è ritrovata da sola a pregare Dio in lacrime, non osando condividere le sue difficoltà con i membri della chiesa, inizialmente. Al contempo, doveva affrontare l’ostilità del figlio maggiore del defunto marito, che minacciava di sfrattarla se non avesse rinunciato alla sua fede, dicendole: “se non abbandoni la tua fede, questa terra, la terra di mio padre, non sarà la tua. Credi in Dio? Allora vai via. Torna a casa di tua madre e porta con te i tuoi tre figli”.
Diem ha poi condiviso le difficoltà con dei membri di chiesa, e molti hanno iniziato ad andare a trovarla. Ogni volta che l’aiutavano con delle riparazioni in casa, il figlio maggiore interveniva con avvertimenti e minacce.
Nonostante le minacce e l’ostracismo da parte del capo del villaggio e della sua stessa famiglia, Diem rimane ferma e risoluta nella sua fede. “Anche se non avrò più bestiame o sostentamento, non abbandonerò mai Dio”, ha affermato.
Il Vietnam si trova alla posizione numero 44 della World Watch List. Nelle aree più remote del Paese, i villaggi seguono religioni tradizionali animiste ed etniche, e la persecuzione verso chiunque diventi cristiano è feroce. I credenti possono vedersi distruggere le case e venire espulsi dalla comunità. Le autorità locali reprimono gli incontri cristiani, l’evangelizzazione e l’insegnamento biblico.
(20 Maggio 2025 Open Doors)
PAPA LEONE XIV E AFRICA
Il consigliere agostiniano per l’Africa: Leone XIV dono per tutto il continente
Padre Edward Danaing Daleng parla ai media vaticani del rapporto del Pontefice con la terra africana: “Ha l’Africa nel cuore. Ha visitato più volte le nostre missioni in diversi Paesi”. L’ultima volta in Kenya a fine 2024, dove la Federazione agostiniana d’Africa ha diversi centri per i malati di Aids
Leone XIV ha un legame speciale con l’Africa. “Ha l’Africa nel cuore”, dice senza esitazioni padre Edward Danaing Daleng, procuratore generale dell’ordine di Sant’Agostino e consigliere generale per il continente. Prevost “ha visitato più volte tutte le nostre missioni africane ed è venuto nel mio Paese, la Nigeria, almeno in una decina di occasioni, compresa quella, nel 2016, in cui celebrammo per la prima volta il capitolo generale intermedio”. Gli agostiniani sono presenti in una decina di Stati africani e il Papa neo-eletto “ha visitato tutte le nostre missioni” sia quando era priore generale dell’ordine (2001-2013) sia da cardinale prefetto del Dicastero per i Vescovi.
La presenza degli agostiniani in Nigeria
“La Nigeria è diventata una provincia proprio quando Robert Francis Prevost è stato eletto priore generale, nel 2001. La nostra presenza lì risale al 1938 — quando arrivarono i primi missionari agostiniani irlandesi — e fin dall’inizio ci siamo contraddistinti per un’opera di educazione capillare, con varie scuole e istituti di formazione, strumenti fondamentali per lo sviluppo umano. Purtroppo, ci fu un periodo in cui il governo requisì tutti i nostri centri educativi e per anni avemmo molti problemi. Nel 2006, proprio grazie al futuro Leone XIV, che teneva moltissimo ai progetti nel Paese, riuscimmo a inaugurare un nuovo collegio per tantissimi ragazzi e ragazze. Per capire quanto tenesse al mio Paese, basti ricordare che divenuto priore generale nel giorno del suo 46° compleanno, il 14 settembre, a novembre già era da noi in Nigeria. Non mancò neanche un capitolo, era sempre presente. Aveva programmato una visita alla provincia nigeriana anche per luglio prossimo, ma credo dovrà rimandare”, commenta ironicamente il religioso.
Padre Daleng: “Il continente sarà al centro del suo pontificato”
“Credo che l’Africa sarà centrale nel pontificato di Leone XIV — riprende Edward Danaing Daleng —. Ha sempre mostrato un’attenzione particolare per il nostro continente, come ho detto amava visitarlo e incontrare, capire ascoltare.
L’impegno per i malati di Aids in Kenya
L’ultima visita che ha fatto in Africa è stata in Kenya alla fine del 2024. In quell’occasione il cardinale Prevost presiedette la dedicazione della cappella della Madonna del Buon Consiglio presso il convento di Sant’Agostino di Karen, nella provincia di Nairobi, il 10 dicembre. “Ha sempre tenuto in modo speciale alla missione in Kenya — conclude il sacerdote agostiniano — fin dai suoi primi passi agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso. Lì abbiamo vari centri, alcuni voluti proprio da lui. Tra questi uno per malati di Aids che fu inaugurato nel 2004”. (Vatican News Luca Attanasio -14 maggio 2025)
TESTIMONIANZA
CONGO RD - “Bukavu è una città lasciata alla fama e allo sbando”: testimonianza dal capoluogo del Sud Kivu
“Con un senso di gioia e speranza per l’elezione di papa Leone XIV, sono uscita ieri mattina in città (il 10 maggio ndr), e mi sembrava di percepirla anche nelle persone che incontravo, malgrado la realtà rimasta uguale”. Inizia così’ il racconto di una missionaria da Bukavu (che ha chiesto di non pubblicare il suo nome per motivi di sicurezza), capoluogo del Sud Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, conquistata il 16 febbraio dai guerriglieri dell’M23 (vedi Fides 17/2/2025). Da allora la città vive in una sorta di limbo, sospesa tra la mancanza di servizi garantiti dalle istituzioni statali non più presenti e l’insicurezza.
“Su un tubo ai lati della strada sedeva un bambino di sette-otto anni, con la divisa scolastica e un quaderno sulle ginocchia. “Come mai sei in strada a quest’ora anziché a scuola?”, gli ho chiesto. “Mi hanno mandato via, perché non ho pagato il trimestre. Mio fratello è rimasto, i miei genitori hanno pagato per lui ieri, ma non sono riusciti a pagare anche per me. Lo aspetto quando esce e poi torniamo insieme a casa”. La sua tristezza mi ha invaso: “Non è colpa tua né dei tuoi genitori. I bambini hanno diritto di studiare gratuitamente. È il paese che non va…”.Ha annuito e ho continuato la strada.
In questo tempo di persistente chiusura di banche e cooperative persino l’aiuto umanitario diventa difficile, e quanti bisognerebbe aiutare? La povertà dilaga di giorno in giorno: tanti hanno perso il lavoro per il saccheggio di depositi, per la indisponibilità di denaro, nel caso di funzionari pubblici per la sostituzione con una persona collocata dai nuovi padroni, ea volte per aver rifiutato di sottostare alla loro ideologia…
Da tre mesi in città non sono attivi né poliziotti, né commissariati di polizia, né prigione centrale, né tribunali, né giudici, né avvocati. La legge è fatta dal ramo militare dell’M23, in modo sbrigativo. Giorni fa, un pover’uomo che andava al lavoro alle 7 del mattino risalendo le viuzze del suo quartiere ha incontrato alcuni uomini armati che l’hanno accusato d’essere un ladro e lo hanno immediatamente ucciso a colpi di armi da fuoco.
A volte anche il lago Kivu fa riapparire cadaveri inutilmente affondati con pietre legate addosso. Non ci sono inchieste e spesso non si sa chi ha ucciso nella notte: un M23? Un ladro, approfittando delle armi lasciate dai militari congolesi in fuga? Un ex-carcerato, fra gli oltre duemila liberati appena prima dell’arrivo dell’M23, il 16 febbraio? Vendette e rese di conti? Per eliminare qualcuno, basta accusarlo d’essere un ladro, o un militare, o uno degli Wazalendo…
O è stato un gruppo di gente, esasperata dall’insicurezza e dalla fame? I casi di “giustizia popolare”, esecuzioni a furor di popolo, sono infatti molti. Esasperati, senza ricorso, afferrano uno o più presunti ladri e li mettono a morte immediatamente. Questo non scoraggia il ripetersi dei fatti.
Non c’è inchiesta: Bukavu è una città non gestita, lasciata alla fame e allo sbando, alla sola coscienza sopravvissuta degli abitanti. Molti veicoli privati e pubblici sono stati presi dagli occupanti, utilizzati o inviati nel vicino Ruanda. Tasse ingiustificate sono imposte su ogni fagotto che viene in città dalla campagna su una moto o stipato in un bus; multe senza ragione sono comminate per infrazioni inesistenti. E frutti nella città non se ne vedono.
In queste ultime settimane dell’anno, la grande sofferenza è quella dei bambini, scacciati da scuola, come se non bastassero i traumatismi subiti per settimane per i continui spari. Sono spesso anche testimonianze di violenze: che cosa viene seminato nel loro cuore, nel tempo in cui dovrebbero sognare cose belle?
La gente riempie le chiese, s’aggrappa con tutte le forze al Dio in cui crede e che sa essere all’ascolto degli oppressi, ma umanamente non vede via d’uscita. Autorità lontane a cui manca perfino una parola di compassione, grandi potenzialità che cercano il loro interesse, degli incontri che sembrano un teatro… La gente arriva a dire: ci portino pur via tutti i nostri minerali, ma ci lascino vivere…
Essere nell’est del Congo oggi è come assistere a una lunga agonia. E la tenacia della gente di sorridere, il coraggio di essere solidali, di sposarsi, di mettere ancora al mondo e di ringraziare Dio ogni giorno per esserci ancora è come una carezza che vuol far rivivere la speranza.
Testimonianza oggi una mamma di una delle comunità ecclesiali viventi, chiamate “shrika”, che a turno portano cibo all’Ospedale generale:
«Ieri è stato il turno della nostra shirika per l’apostolato all’Ospedale. C’era cibo a sufficienza per i malati e per chi li curava; anche le infermiere notturne, il personale addetto alla manutenzione e alla sicurezza ne hanno beneficiato. I feriti di guerra, i combattenti... sono assistiti dal CICR e da Medici Senza Frontiere. Molte persone non sanno come pagare i costi per le cure, quindi, sebbene guarite, non possono lasciare l’ospedale. Il gruppo ha contribuito a pagare le spese mediche di qualcuno di loro e le medicine di qualcuno senza mezzi... Il numero dei pazienti diminuisce e quindi anche le entrate. Come è possibile rifornire la farmacia, pagare il personale e acquistare attrezzature mediche in una crisi come questa? È un circolo vizioso. I bambini malnutriti sono sempre più numerosi: ma tutti sono stati serviti... È la moltiplicazione dei pani.” (Agenzia Fides 5/12/2025)