2021 02 17 EGITTO La Chiesa copta celebra il VI anniversario della strage dei 21 martiri di Libia
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VATICANO - Papa Francesco commemora i martiri di Libia TIGRAI - Testimoni: preti e civili orrendamente trucidati INDIA - Rituali e preghiere indù obbligatori nelle scuole statali e private: la protesta dei cristiani
VATICANO - Papa Francesco commemora i martiri di Libia, morti confessando il nome di Gesù: “hanno ricevuto il dono più grande che possa ricevere un cristiano”
I 21 martiri di Libia trucidati dai jihadisti di Daesh su una spiaggia non lontana da Sirte “morivano dicendo: “Signore Gesù!”, confessando il nome di Gesù” mentre venivano sgozzati. Così “hanno ricevuto il dono più grande che possa ricevere un cristiano: la testimonianza di Gesù Cristo fino a dare la vita”. Per questo adesso “Sono i nostri Santi, Santi di tutti i cristiani, Santi di tutte le confessioni e tradizioni cristiane. Sono coloro che hanno imbiancato la loro vita nel sangue dell’Agnello”, mentre erano parte “del popolo di Dio, del popolo fedele di Dio”. Con queste parole Papa Francesco ha fatto memoria dei 21 emigrati cristiani – 20 egiziani copti ortodossi e un loro compagno di lavoro ghanese – decapitati dagli affiliati dello Stato Islamico nel febbraio del 2015. Il Vescovo di Roma ha affidato la sua commemorazione personale dei martiri di Libia al Videomessaggio alla “Giornata dei Martiri contemporanei”, organizzata dalla Diocesi copta ortodossa di Londra in occasione del VI anniversario del massacro.
Nel suo Videomessaggio, Papa Francesco ha confidato di custodire nel proprio cuore la memoria del febbraio 2015: “Ho nel cuore quel battesimo di sangue, questi ventuno uomini battezzati cristiani con l’acqua e lo Spirito, e quel giorno battezzati anche con il sangue”. Il Successore di Pietro ha anche sottolineato come l’esperienza del martirio abbia raggiunto quei battezzati nell’ordito delle loro vite ordinarie: “Sono andati a lavorare all’estero per sostenere le loro famiglie: uomini normali, padri di famiglia, uomini con il desiderio di avere dei figli; uomini con la dignità dei lavoratori, che non solo cercano di avere pane a casa loro, ma di portarlo a casa con la dignità del lavoro. E questi uomini hanno dato testimonianza di Gesù Cristo. Sgozzati dalla brutalità dell’Isis, “morivano dicendo: “Signore Gesù!”, confessando il nome di Gesù”. Nella vicenda dei martiri di Libia – ha suggerito Papa Francesco con il suo intervento – si rivela in maniera luminosa quale è la natura e la sorgente propria del martirio nell’esperienza cristiana: “È vero” ha fatto notare il Papa “che c’è una tragedia, che questa gente ha lasciato la vita sulla spiaggia; ma è vero anche che la spiaggia è stata benedetta dal loro sangue. Ancora di più è vero che dalla loro semplicità, dalla loro fede semplice ma coerente hanno ricevuto il dono più grande che possa ricevere un cristiano: la testimonianza di Gesù Cristo fino a dare la vita”. Per questo la Chiesa non si è mai “lamentata” dei suoi martiri, e li ha sempre celebrati come coloro che applicano alla propria generazione i meriti della passione di Cristo. Anche Papa Francesco, nel suo Videomessaggio, ha reso grazie a “Dio nostro Padre perché ci ha dato questi fratelli coraggiosi. Ringrazio lo Spirito Santo” ha proseguito il Papa “perché ha dato loro la forza e la coerenza di arrivare alla confessione di Gesù Cristo fino al sangue. Ringrazio i vescovi, i preti della Chiesa sorella copta che li ha allevati, ha loro insegnato a crescere nella fede. E ringrazio le mamme di questa gente, di questi ventuno uomini che hanno ‘allattato’ in loro la fede: sono le mamme del popolo santo di Dio che trasmettono la fede ‘in dialetto’, un dialetto che va oltre le lingue, il dialetto delle appartenenze”. (GV) (Agenzia Fides 16/2/2021)
EGITTO - LA Chiesa copta celebra il VI anniversario della strage dei 21 martiri di Libia
I 20 copti egiziani e un loro compagno di lavoro ghanese furono rapiti in Libia all’inizio di gennaio 2015. Il video della loro decapitazione fu messo in rete dai siti jihadisti il 15 febbraio successivo. Ad appena una settimana dalla notizia del massacro, il Patriarca copto ortodosso Tawadros II decise di iscrivere i 21 martiri decapitati da affiliati al sedicente Stato Islamico (Daesh) nel Synaxarium, il libro dei martiri della Chiesa copta, stabilendo che la loro memoria fosse celebrata proprio il 15 febbraio.
I resti mortali dei copti uccisi in Libia dai jihadisti furono individuati alla fine di settembre 2017 in una fossa comune sulla costa libica, presso la città di Sirte. I loro corpi erano stati rinvenuti con le mani legate dietro alla schiena, vestiti con le stesse tute color arancione che indossavano nel macabro video filmato dai carnefici al momento della loro decapitazione. “Il video che ritrae la loro esecuzione - riferì all’Agenzia Fides Anba Antonios Aziz Mina, Vescovo copto cattolico emerito di Guizeh dopo il massacro dei 21 martiri - è stato costruito come un’agghiacciante messinscena cinematografica, con l’intento di spargere terrore. Eppure, in quel prodotto diabolico della finzione e dell’orrore sanguinario, si vede che alcuni dei martiri, nel momento della loro barbara esecuzione, ripetono ‘Signore Gesù Cristo’. Il nome di Gesù è stata l’ultima parola affiorata sulle loro labbra. Come nella passione dei primi martiri, si sono affidati a Colui che poco dopo li avrebbe accolti. E così hanno celebrato la loro vittoria, la vittoria che nessun carnefice potrà loro togliere. Quel nome sussurrato nell’ultimo istante è stato come il sigillo del loro martirio”. (GV) (Agenzia Fides 15/2/2021).
TIGRAI - Testimoni: preti e civili orrendamente trucidati
Le conferme dei testimoni dei massacri: trenta sacerdoti uccisi dai soldati in chiesa a Irob a gennaio. Quasi duecento persone, tra loro donne e bimbi, morte nei bombardamenti
I racconti dell’orrore della guerra-ombra del Tigrai squarciano il buio che li ha avvolti in questi 100 giorni esatti di blackout informativo e di isolamento. Molti testimoni confermano quanto da tempo scriviamo sui crimini di guerra e le atrocità commesse e quanto ripetuto sui social o sussurrato al telefono da giornalisti, attivisti e operatori umanitari. Confermati i massacri di civili – anziani, donne e bambini compresi – e di religiosi copti.
E gli stupri di massa, uccisioni e deportazioni forzate in Eritrea dei rifugiati eritrei dei campi di Hitsats e Shimelba, che immagini satellitari hanno mostrato distrutti e che nei giorni scorsi il governo di Addis Abeba ha dichiarato di non voler più riaprire mentre l’Onu non ha più potuto accedervi. Inequivocabili le notizie forniteci da fonti cattoliche, che non citiamo per ragioni di sicurezza. Ad Irob, piana semidesertica confinante con la regione Afar e l’Eritrea, sono stati uccisi solo a gennaio 30 preti copti ortodossi che pregavano in chiesa. A Wukro, Adigrat e Kobo mancano cibo e medicinali.
Agghiaccianti i racconti sulle uccisioni di giovanissimi sotto gli occhi dei genitori, cento solo a Irob, e delle frequenti violenze sessuali su donne e ragazze anche davanti ai mariti, spesso seguite dalla spietata uccisione delle vittime. «Meglio uccidere le donne del Tigrai perché domani partoriranno i woyane (i membri del Tplf, ndr)» avrebbero detto i militari eritrei a chi chiedeva il perché di tanto odio. Alla fine di gennaio, sempre a Irob, etiopi ed eritrei hanno ucciso 50 «mogli dei Woyane». Venerdì per la prima volta il governo etiope, con un tweet della ministra delle donne Filsan Abdullahi Ahmed, ha ammesso che una task force governativa «purtroppo ha stabilito che le violenze sessuali hanno avuto luogo con certezza e senza alcun dubbio».
Filsan non ha specificato chi siano i responsabili, ma molte donne sostengono di essere state violentate dalle forze eritree, gli shabia, soldati in sandali di plastica che avrebbe ricevuto l’ordine di eliminare anche i maschi tigrini sopra i sei anni proibendone la sepoltura. Circostanziata l’accusa dell’Ong Human Rights Watch alle truppe federali e a quelle eritree: a novembre avrebbero bombardato scuole, ospedali, chiese e mercati di Humera, Macallè e Scire uccidendo 187 civili tra cui donne e bambini e ferendone oltre 300.
Non sono stati risparmiati i simboli religiosi. K. ha assistito al bombardamento della chiesa ortodossa di Sant’Amanuel nel villaggio di Negash, in cima a una montagna, il 23 e 24 novembre da parte di tank e artiglieria pesante di Isaias Afewerki. Sono stati inoltre saccheggiati missioni e conventi cattolici, spesso religiosi e religiose sono stati rapinati persino dei crocifissi portati al collo. Sul banco degli imputati l’esercito federale e soprattutto gli alleati eritrei – acerrimi nemici del Tplf, partito egemone del Tigrai – tuttora in territorio tigrino. (…)
Caritas italiana: dopo cento giorni di guerra stiamo sempre a fianco della popolazione
(…) Che sorte è toccata in Eritrea ai deportati? Diverse fonti completano il racconto di Haddar provando che un ennesimo crimine è stato commesso. I rifugiati Cunama sono prigionieri in campi di accoglienza in attesa che passi il Covid. Sono in uno stato pietoso perché denutriti da settimane. Il regime vuole spedire i giovani nei campi di addestramento per il servizio di leva a vita dal quale erano fuggiti. Gli altri, finita la pandemia, torneranno nei villaggi. Davanti a questa tragedia dimenticata, Caritas italiana ha invitato alla solidarietà lanciando una raccolta fondi a sostegno del programma di aiuti di Caritas Etiopia per garantire cibo ai bambini malnutriti, la distribuzione di kit di sopravvivenza e la consegna di semi e animali alle famiglie sfollate che hanno perso tutto.
(Paolo Lambruschi domenica 14 febbraio 2021 Avvenire)
INDIA - Rituali e preghiere indù obbligatori nelle scuole statali e private: la protesta dei cristiani
Nel territorio federale “Dadra e Nagar Haveli e Daman e Diu”, nell’India occidentale, in tutte le scuole gli alunni di ogni ordine e grado dovranno celebrare il Vasant Panchami (festival indù che segna la preparazione per l’arrivo della primavera) venerando la dea indù Saraswati (la dea della conoscenza). È quanto dispone una circolare emessa dalle autorità e inviata a tutte le scuole, che ha creato disagi tra docenti e studenti che non sono di religione indù e negli istituti privati.
Come appreso dall’Agenzia Fides, lo “United Christian Forum” (UCF), organizzazione che promuove i diritti umani e civili, ha fatto appello al governo affinché ritiri la direttiva che ordina di adorare le divinità indù. “La comunità cristiana di Dadra e Nagar Haveli e Daman e Diu soffre per la direttiva”, ha detto a Fides A. C. Michael, coordinatore nazionale di UCF.
Secondo la circolare, tutte le scuole governative e private - incluse quelle cristiane - devono organizzare ll programma della festività, rendendo omaggio alla divinità e poi presentare un rapporto di conformità insieme alle fotografie entro il 17 febbraio. La direttiva include la recita di formule di preghiere indù e lo svolgimento di rituali indù in tutte le scuole.
La comunità cristiana vede l’attuale ordinanza come “un modo per limitare la pratica della propria fede e come una violazione della propria libertà, così come del diritto di amministrare le proprie istituzioni”, sottolinea Michael, leader laico cattolico. La condotta dell’amministrazione - afferma - “lede gravemente la libertà di religione e la libertà di istituire e amministrare istituzioni educative, prerogative tutelate dalla Costituzione indiana, a garanzia di tutte le minoranze religiose”.
“La comunità cristiana, amante della pace, prega perché l’India continui a prosperare e perché il tessuto secolare della nostra terra pluralista rimanga intatto. A nome della comunità, lo United Christian Forum chiede all’Amministrazione e alla Direzione dell’Istruzione di ritirare immediatamente questa circolare”, nota Michael.
Due anni fa, la stessa amministrazione aveva tentato di cancellare il Venerdì Santo come festività ufficiale: la comunità cristiana si era rivolta all’Alta Corte di Bombay ed era riuscita a far revocare l’ordine.
È pertinente notare che in India l’ethos secolare pone al governo un limite costituzionale nel dare trattamento preferenziale a qualsiasi religione. Nella storica sentenza “S.R. Bommai vs Union of India” (1994) la Corte Suprema ha dichiarato che “la tolleranza religiosa e la parità di trattamento di tutti i gruppi religiosi, la protezione della loro vita e della proprietà e dei luoghi di culto, sono parte essenziale della laicità sancita nella Costituzione “
I cristiani indiani ricordano oggi che, durante la lotta per la libertà e l’indipendenza dell’India, il loro apporto è ben documentato, mentre anche nella fase post-indipendenza essi hanno avuto un ruolo importante nella costruzione della nazione, fornendo un prezioso contributo alle forze armate, alle ferrovie, all’assistenza sanitaria e all’istruzione scolastica e universitaria.
(SD-PA) (Agenzia Fides 16/2/2021)