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2020 12 16 I luoghi della persecuzione

Fonte:
CulturaCattolica.it
NIGERIA - Rapito un sacerdote - Assalto ad una scuola nel nord della Nigeria PAKISTAN - giustizia per una ragazza cristiana sfuggita al suo rapitore - dopo 12 anni assolto in un cristiano condannato per blasfemia ETIOPIA - Conflitto nel Tigray, mistero sulle sorti del Vescovo, dei sacerdoti e dei religiosi dell’Eparchia di Adigrat

NIGERIA - Rapito un sacerdote mentre si recava ai funerali del padre

Un prete cattolico è stato rapito da quattro uomini pesantemente armati mentre si recava nello stato di Anambra ai funerali del padre. P. Valentine Oluchukwu Ezeagu, della congregazione dei Sons of Mary Mother of Mercy (SMMM), era in viaggio per il suo villaggio, Igboukwu, nella zona del governo locale di Aguata, nello stato di Anambra, quando alcuni uomini armati sono usciti dalla boscaglia, hanno bloccato l’auto del sacerdote e lo hanno costretto a salire sul retro della vettura e sono partiti a tutta velocità.
Il rapimento è avvenuto il 15 dicembre.
I rapimenti di sacerdoti, religiosi e religiose è da anni una triste realtà in Nigeria. A fine novembre era stato rapito p. Matthew Dajo, poi liberato il 2 dicembre (vedi Fides 30/11/2020 e 3/12/2020). (L.M.) (Agenzia Fides 16/12/2020)

NIGERIA - Assalto ad una scuola nel nord della Nigeria; messaggi contradditori sul numero degli studenti ancora nelle mani dei rapitori

Giungono messaggi contradditori sul numero degli studenti della scuola secondaria governativa di Kankara, nello Stato di Katsina, assalita nella notte tra l’11 e il 12 dicembre, ancora nelle mani dei rapitori. Il governatore di Katsina, Aminu Bello Masari. ha riferito che la Scuola ospita 839 studenti. Ne mancano all’appello 333. Diversi ragazzi rapiti sono riusciti a fuggire dalle mani dei sequestratori. Per questo motivo il governatore afferma che le autorità stanno contattando le famiglie dei ragazzi per chiedere se i loro figli sono tornati a casa.
Secondo un giornale nigeriano però il numero degli studenti rapiti è molto più alto di quanto dichiarato dalle autorità.
Secondo i testimoni, un folto gruppo di banditi armati con Kalashnikov ha assalito i dormitori della scuola.
L’attacco scolastico più grave è avvenuto nell’aprile 2014, quando membri del gruppo jihadista Boko Haram hanno rapito 276 ragazze dal loro dormitorio scolastico a Chibok, nello stato nord-orientale del Borno. Circa 100 ragazze mancano ancora all’appello.
(L.M.) (Agenzia Fides 14/12/2020)

PAKISTAN - I cristiani in Pakistan chiedono giustizia per una ragazza cristiana sfuggita al suo rapitore

“Vogliamo giustizia per Sheeza Maqsood, 16enne cristiana di Faisalabad, rapita, violentata, torturata, convertita con la forza all’Islam e costretta a sposare uno dei quattro uomini che l’hanno violentata più volte, prima che riuscisse a fuggire.
Nessuno ci ascolta, nemmeno la polizia”: è quanto l’Agenzia Fides apprende da Intizar Gill, presidente di “Aqleeti Tahafuz Pakistan”, organizzazione che opera a Faisalabad per tutelare i diritti delle minoranze religiose.
Intizar Gill, che sta aiutando la famiglia della giovane, ha detto: “La ragazza continua a ripetere la sua triste storia ai funzionari di polizia, e anche al giudice in tribunale, ma nessuno è pronto ad ascoltare la verità”. Gill racconta i frangenti che hanno danneggiato la credibilità della ragazza: “Le dichiarazioni rilasciate da Sheeza pochi mesi fa in tribunale - in cui diceva di aver liberamente scelto di sposarsi - non erano vere: era traumatizzata e minacciata, temeva per la sicurezza della sua famiglia e, terrorizzata, ha ripetuto in tribunale quanto le era stato insegnato dai suoi rapitori” .
Intizar Gill, che ha anche lavorato a stretto contatto con l’ex ministro per le Minoranze Shahbaz Bhatti, ucciso da terroristi nel 2011, informa: “Bisogna ascoltare Sheeza: ora che è fuori dal trauma ed è con la sua famiglia, sta raccontando tutta la sua storia e ha anche presentato una domanda scritta all’Ufficio centrale di polizia. (CPO) di Faisalabad per cercare giustizia e protezione per se stessa e la sua famiglia”.
Sheeza Maqsood parlando all’Agenzia Fides ha dichiarato: “Sono triste perchè la mia domanda è stata respinta dal tribunale. Ho continuato a dire loro che sono stata rapita e violentata da Talha Haider e altri tre amici per due giorni e poi mi ha convertito con la forza all’Islam e mi ha costretto a sposare Talha, il mio rapitore”.
Racconta inoltre: “Sono cristiana da sempre, appartengo a una famiglia cristiana, mi hanno rapita e hanno cambiato con la violenza la mia religione. Sono riuscita a fuggire e a tornare dai miei genitori, ora vivo felicemente con la mia famiglia. Non ho mai rifiutato davvero i miei genitori, i miei familiari, la mia fede. Ora siamo costretti a nasconderci a causa delle continue minacce dei miei rapitori che possono farci del male”.
Sheeza è stata rapita da casa sua il 28 settembre alle 22:00. Ricordando quell’orribile incidente, Sheeza racconta: “Hanno bussato al cancello principale, e sono andata ad aprire la porta. Il mio rapitore Talha Haider era al cancello con tre complici. Quando ho aperto la porta, mi ha puntato la pistola alla testa e mi ha intimato di non urlare e di seguirli in silenzio, minacciando di uccidere me e la mia famiglia”.
Sheeza informa: “Mi hanno portato in un luogo sconosciuto e mi hanno violentato per due giorni, nei quali ho solo pianto. Il terzo giorno mi hanno portato in una scuola islamica dove sono stata costretta a convertirmi all’Islam”. E prosegue: Poi mi hanno portato da un avvocato dove erano presenti un imam, la madre di Talha e un’altra signora che mi hanno percosso. Per paura ho detto di sì al matrimonio e hanno preso con la forza le impronte digitali, ponendole sul certificato di matrimonio”.
Sheeza spiega: “Minacciavano sempre di ritorsioni sui miei cari. Sono stata torturata in prigionia per circa 45 giorni. Un giorno, era il 20 novembre, ho avuto un’opportunità di fuga. Ho telefonato a mio fratello dicendogli dove mi trovavo, ho scavalcato il muro di cinta e sono riuscita a scappare”. Oggi la giovane chiede “giustizia per il mio rapimento, conversione forzata e matrimonio forzato” e reclama protezione per la sua famiglia.
Il 10 dicembre scorso Maqsood Masih, il padre di Sheeza, con le lacrime agli occhi ha parlato pubblicamente chiedendo giustizia per sua figlia e per la sua famiglia. Ha detto: “Siamo totalmente impotenti: anche il tribunale ha respinto la nostra domanda, è un’enorme ingiustizia per me e la mia famiglia. Chiediamo al governo e ai funzionari di polizia di avere pietà di noi, di accertare la verità, di assicurarci giustizia”.
(AG-PA) (Agenzia Fides 12/12/2020)

PAKISTAN - Assolto in appello DOPO 12 ANNI IN CARCERE un cristiano condannato all’ergastolo per blasfemia

Imran Masih, 38enne di Faisalabad, condannato all’ergastolo per blasfemia, è stato assolto il 15 dicembre, nel processo di appello davanti all’Alta Corte di Lahore. Il tribunale ha ribaltato la sentenza di primo grado che, nel 2010, lo aveva condannato al carcere a vita. Lo comunica all’Agenzia Fides Khalil Tahir Sandhu, avvocato cattolico che ha preso a cuore il caso e ha difeso Imran, come numerosi altri cristiani pakistani accusati ingiustamente di blasfemia.
“E’ una buona notizia per la giustizia, per i cristiani, per il paese. Siamo felici per l’esito positivo del processo che, finalmente, riconosce la libertà a un innocente. Ma d’altro canto c’è amarezza: basti ricordare che il caso ha subito in tribunale oltre 70 rinvii. Imran è rimasto per 12 anni in carcere ingiustamente, non ha potuto salutare i suoi genitori, entrambi deceduti durante la sua prigionia, ha perso parte della sua giovinezza recluso per un crimine non commesso”, dice a Fides l’avvocato, in un commento a caldo.
Visto il perpetrarsi di casi del genere, l’avvocato Sandhu osserva: “Occorre continuare a lottare, a tutti i livelli, per modificare questa ingiusta legge sulla blasfemia. Da troppo tempo si abusa di questa legge e spesso i cristiani ne sono vittime innocenti. Va notato che fino al 1986 non c’erano in Pakistan casi di accuse di blasfema. Dal 1986 in poi – quando il generale Zia-ul-Haq promulgò la legge – sono scoppiati i casi di blasfemia un po’ dappertutto. Ma per la maggior parte le accuse sono totalmente false e strumentali”.
Imran Masih è in carcere dal primo luglio 2009. A gennaio del 2010 è stato condannato all’ergastolo. Le accuse a suo carico erano totalmente false e inventate. Un suo vicino di casa lo ha accusato di aver bruciato una copia del Corano. Il giovane è stato vittima di un tranello: ripulendo il suo negozio, voleva infatti disfarsi di alcuni libri scritti in arabo (lingua che non comprende) e, per questo, aveva chiesto ad un suo vicino di esaminarli, per appurare se i libri non fossero di argomento religioso o di preghiera islamica. Il vicino ha assicurato che non era così, e così Imran Masih li ha bruciati. Poi si è ritrovato vittima di una denuncia per blasfemia, inoltrata dallo stesso vicino, con l’accusa di aver dissacrato e incenerito una copia del Corano.
(PA) (Agenzia Fides 15/12/2020)


AFRICA/ETIOPIA - Conflitto nel Tigray, mistero sulle sorti del Vescovo, dei sacerdoti e dei religiosi dell’Eparchia di Adigrat

Addis Abeba (Agenzia Fides) - Dal 4 novembre, data d’inizio delle operazioni militari nel Tigray, non si hanno notizie certe in merito alle condizioni del Vescovo cattolico Tesfaselassie Medhin e di tutti i sacerdoti, religiosi e religiose dell’Eparchia di Adigrat. Lo riferiscono all’Agenzia Fides fonti locali, che non nascondono la crescente preoccupazione dovuta al perdurante silenzio sulla sorte di “Abune” Tesfaselassie, del clero e dei consacrati. Sono un centinaio di persone, appartenenti a dieci ordini maschili e femminili, che animano la vita ecclesiale nella diocesi cattolica di rito orientale che comprende l’intero Tigray. L’unica, tenue e indiretta comunicazione recente, attribuibile al Vescovo è la lettera inviata ad alcuni collaboratori, che risale al 23 novembre scorso. Nella missiva, l’Abune Medhin faceva riferimento alla difficile situazione umanitaria del Tigray, dove mancano medicinali, generi alimentari, carburante e ogni bene di prima necessità.
Il conflitto nella regione settentrionale del Tigray dell’Etiopia tra il governo federale e l’amministrazione locale ha finora causato oltre 50 mila profughi in Sudan, che secondo le Nazioni Unite potrebbero raddoppiare entro la fine di dicembre. Quasi 900mila persone, per la maggioranza bambini sotto gli 11 anni, si trovano in condizioni gravi dal punto di vista alimentare e sanitario.
In tale quadro, è stato imposto un black-out delle comunicazioni, rendendo pressoché impossibile verificare la veridicità delle informazioni fornite da entrambi i fronti. Secondo fonti locali, l’esercito etiope attualmente avrebbe il controllo di diverse città vicino al confine con l’Eritrea, comprese Dansha e Shire. Diplomatici, ufficiali della sicurezza regionale e operatori umanitari affermano che i combattimenti si diffondono nella parte nord-occidentale del Paese, lungo il confine tra Tigray e Amhara, che sostiene il governo di Addis Abeba, e vicino al confine con il Sudan e l’Eritrea. “La situazione sta sfuggendo al controllo con un impatto spaventoso sui civili e c’è urgente bisogno di un monitoraggio esterno” ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet.
(GF/AP) (14/12/2020 Agenzia Fides)

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