2020 11 11 COREA DEL NORD – i metodi da Auschwitz contro i cristiani
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COREA DEL NORD – i metodi da Auschwitz contro i cristiani
Mentre l’Occidente si chiude in casa per paura, in Corea del Nord i cristiani preferiscono la libertà dell’anima alla sicurezza del corpo.
Un documento della Korea Future Initiative riporta le testimonianze di un centinaio di ex detenuti dei campi di lavoro, raccontando le atrocità commesse contro donne, vecchi e bambini ma anche la risposta dei credenti che non temono gli aguzzini di fronte a cui pregano e sorridono. (…)
Leggendo l’ultimo rapporto dell’organizzazione no-profit Korea Future Initiative emerge una persecuzione sempre più feroce contro la comunità cristiana della Corea del Nord che, anziché rinunciare alla propria esistenza, cresce preferendo la tortura e il martirio alla preservazione fisica. Ossia preferisce la libertà dell’anima alla sicurezza del corpo. (…)
Basti pensare che nel rapporto, che conta ben 117 testimonianze di fuggiti alla persecuzione, si parla di oltre 200 persone punite perché cristiane, insieme alle varie tecniche di tortura come lo strangolamento, la morte per fame e sete, l’avvelenamento da cibo inquinato, la privazione di sonno e le botte continue. (…)
Diverse sono state le esecuzioni pubbliche di cristiani trovati con una Bibbia o di altri che hanno portato testi religiosi nel paese. Un testimone racconta in particolare di una persona legata ad un palo e giustiziata davanti a mille persone. O di un altro chiuso in una gabbia elettrica di un metro per uno con l’accusa di essersi convertito al cristianesimo. Ma le torture sono anche “l’essere appeso per le gambe; avere il corpo legato a bastoni...sedersi e alzarsi per centinaia o migliaia di volte ogni giorno; il rovesciamento nelle narici di un liquido di polvere di peperone rosso;...essere costretti ad assistere all’esecuzione o alla tortura di altri prigionieri...”.(…)
Insomma, mentre chi visita Auschwitz oggi si chiede come sia possibile che l’uomo sia arrivato ad accettare come normale l’abominevole (Hannah Arendt descrive nella “Banalità del Male” le SS naziste come persone comuni che semplicemente si erano abituate a fare il peggio obbedendo agli ordini e mettendo a tacere le proprie coscienze), e mentre ce lo si domanda come se si trattasse di una parentesi del passato, ci sono ancora regimi comunisti dove l’abisso del male umano continua a mostrare il suo volto. Pochi media ne parlano perché saperlo costringerebbe a chiedersi come mai. Magari trovando risposta nel comune denominatore di questi poteri: il rifiuto di Gesù Cristo. A dire che la sola possibilità di libertà sta invece in un potere che riconosce che esiste qualcosa di più grande da cui dipendere. (…)
A raccontarlo è questo episodio descritto nel rapporto da un ex detenuto: un intero gruppo fu arrestato per aver “formato una chiesa clandestina composta da adulti e bambini di età variabile, dai 10 anni ai quasi 80 anni di età”. In prigione le famiglie si sono messe a pregare. E quando uno di loro ha domandato agli altri “se avevano paura. Hanno appena sorriso. [Una vittima] ha detto che non aveva paura e mi ha detto: “Gesù ci guarda” [...] Ho cominciato a piangere perché sapevo cosa sarebbe successo a persone come lei, ma mi ha detto di non preoccuparmi. Anche i bambini non piangevano. Sorridevano tutti. Hanno detto che non erano spaventati. Il giorno successivo sono stati tutti inviati a Chongjin Susong, un campo di prigionia”. Nel documentato si parla di 36 casi che hanno coinvolto le famiglie di credenti e in alcuni casi “ciò ha portato all’arresto di bambini anche di 3 anni di età”.
Perciò, ha affermato un ex pastore detenuto in uno di questi campi, «mi dissero: “Non abbiamo paura delle armi nucleari... ma abbiamo paura di gente come te che porta la fede nel nostro paese. Se questo diventerà il paese di Dio il nostro potere cadrà”».
MOZAMBICO – Mozambico, orrore Daesh: 50 civili decapitati. Donne rapite dai villaggi
I terroristi islamici che si autoproclamano affiliati alla Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico” (ISCAP) hanno attaccato alcuni villaggi nel distretto di Muidumbe, nella provincia settentrionale del Mozambico di Cabo Delgado, nella mattinata del 31 ottobre, facendo irruzione nei villaggi Muidumbe di Magaia, Nchinga, Namacunde, 24 de Março, Muatide e Muambula.
«Oltre 50 persone sono state ritrovate morte e senza testa in un campo da calcio di un villaggio nella provincia di Cabo Delgado – ha confermato la polizia locale alla stampa –. Anche un altro villaggio è stato preso di mira e diverse donne e bambini sono stati rapiti».
Secondo le prime ricostruzioni, i militanti hanno bruciato e distrutto edifici. Hanno poi costretto decine di civili a raggrupparsi in un campo da calcio. Infine, hanno sparato sulla folla prima di usare i machete per proseguire con il massacro.
I sopravvissuti nel villaggio 24 de Março affermano che 20 persone, tra cui 15 adolescenti, sono stati decapitati, mentre gli assalitori hanno rapito un numero imprecisato di bambini da Nchinga.
I raid hanno infatti anche lo scopo di reclutare a forza i giovani dei villaggi nelle file jihadiste.
Ad aprile sempre nel distretto di Muidumbe, i terroristi avevano decapitato 52 civili per essersi rifiutati di unirsi a loro. Oltre ad avere dato alle fiamme diverse abitazioni, i jihadisti potrebbero avere sabotato l’infrastruttura di comunicazione, visto che dopo l’assalto le comunicazioni cellulari con Muidumbe sono diventate precarie.
Le violenze jihadiste nella provincia di Cabo Delgado hanno compromesso il raccolto 2020-2021 perché migliaia di contadini sono fuggiti dagli attacchi terroristici. Il raccolto è già messo a dura prova da inondazioni e dalla proliferazione di insetti nocivi. Si calcola che almeno 400.000 abitanti siano fuggiti dalla provincia. Domenica 1° novembre almeno 40 persone sono morte quando l’imbarcazione che trasportava 74 persone in fuga dalle violenze è affondata tra le isole di Ibo e Matemo, appena a nord della capitale provinciale di Pemba.
Nel frattempo i terroristi con base nel nord del Mozambico hanno attraversato il fiume Ruvuma al confine tra Tanzania e Mozambico, per colpire alcuni villaggi in Tanzania. Secondo la polizia tanzaniana più di 300 terroristi pesantemente armati ritenuti affiliati all’ISCAP, hanno fatto irruzione nel villaggio di Kitaya, sulle rive del fiume Ruvuma, dove hanno distrutto case e ucciso più di 20 persone.
Fonti della sicurezza ritengono che il gruppo terroristico mirava a reclutare giovani nelle regioni costiere, in particolare Pwani, Tanga e Mtwara, i cui abitanti nutrono rimostranze sociali, economiche e politiche nei confronti delle autorità tanzaniane. I jihadisti fanno leva sul malcontento dei giovani disoccupati per diffondere la loro propaganda e reclutare nuovi combattenti. (L.M.) (Agenzia Fides 4/11/2020)
CAMERUN – Rapito e liberato il Cardinale Tumi
Resta molto alta la tensione nel Camerun anglofono che sta sprofondando nel caos. Nei giorni scorsi in un attacco sono stati uccisi 7 bimbi in una scuola. E ieri un gruppo di individui armati ha sequestrato almeno dieci persone nella località di Baba, a qualche chilometro da Bamenda, capoluogo della regione Nord-ovest.
Tra i rapiti c’era anche il cardinale Christian Tumi, arcivescovo emerito della città meridionale di Douala, l’unico ad essere stato per il momento rilasciato.
È stato rilasciato il Cardinale Christian Tumi, Arcivescovo emerito di Douala, che è stato rapito ieri, 5 novembre intorno alle 18 sulla strada Bamenda-Kumo (nord-ovest).
Il capo tradizionale Fon Sehm Mbinglo II e altre dieci persone che erano state sequestrate con il Cardinale Tumi, sono ancora nelle mani dei rapitori
I rapitori sarebbero un gruppo di separatisti “ambazoniani” guidati da un certo “generale Chaomao”, un ex pastore che lo avrebbe accusato di “riportare i bambini a scuola”. Il 24 ottobre, 8 bambini sono stati uccisi da sospetti aggressori separatisti a Kumba, nel sud-ovest, durante un attacco al loro college, l’Accademia bilingue internazionale Madre Francisca (vedi Fides 26/10/2020)
Il rapimento del cardinale Tumi, 90 anni, è stato condannato da molti camerunesi. Questo avviene meno di una settimana dopo che undici insegnanti della Presbyterian Nursery and Primary School sono stati rapiti dal loro campus scolastico a Kumbo.
Il Cardinale è impegnato nella risoluzione della crisi che dal 2016 ha scosso il nord-ovest e il sud-ovest del Camerun, ed ha più volte invitato il governo e i separatisti di lingua inglese a un dialogo inclusivo per una soluzione concertata al conflitto nel nord-ovest e nel sud-ovest del paese. (L.M.) (Agenzia Fides 6/11/2020)
TESTIMONIANZA
SIRIA – appello per le famiglie cristiane di Aleppo e Damasco
Il grido di aiuto arriva dalla Congregazione di Gesù e Maria, e dalla coordinatrice dei progetti di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Siria: ci sono centinaia di migliaia di famiglie che a causa di isolamento, prezzi elevati e sanzioni, sono disperate. “Stiamo vivendo – dicono – il periodo peggiore della nostra storia dopo tanti anni di guerra”
“Per favore, non dimenticate la Siria!” è l’appello di suor Annie Demerjian, della Congregazione di Gesù e Maria, coordinatrice dei progetti di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Siria, che richiama l’attenzione sulle centinaia di famiglie bisognose di aiuto. “La guerra non è finita, la nostra gente soffre ancora”, aggiunge la religiosa, ogni giorno al fianco dei cristiani di Aleppo e Damasco. L’escalation dei conflitti internazionali, l’epidemia di Covid-19, la mancanza di prospettive di lavoro, l’aumento esorbitante dei prezzi, l’isolamento del Paese a causa di embarghi e sanzioni e l’assenza del minimo indispensabile per sopravvivere stanno provocando tanta disperazione nella popolazione.
Tra i bisogni più urgenti le spese per gli alloggi
Suor Annie ad Aleppo si prende cura di 273 famiglie, con l’aiuto di un team di cinque persone e insieme ad una consorella dirige un programma di aiuti a Damasco per più di 100 famiglie. Molti gli anziani che vivono in condizioni pessime. “Attraverso ad Aiuto alla Chiesa che Soffre forniamo loro un’assistenza mensile per il sostentamento – precisa suor Annie –, buoni per acquistare beni essenziali come cibo e carburante, soprattutto ora che l’inverno sta arrivando, e ancora sterilizzatori e medicine”. Ma tra i bisogni più urgenti, a causa della difficile situazione economica, ci sono le spese per gli alloggi. Molte famiglie non hanno una casa propria, né potrebbero permettersi di pagare l’affitto senza il sostegno economico delle suore.
Programmi di sostegno per seminare speranza
“Stiamo sicuramente vivendo il periodo peggiore della nostra storia, dopo dieci anni di sanguinosa guerra – spiega suor Annie –. L’assistenza di Aiuto alla Chiesa che Soffre in tutti questi anni è stata un’ancora di salvezza e una speranza per le nostre famiglie cristiane che vivono in condizioni veramente disumane”. C’è povertà ovunque, prosegue la religiosa, scarseggiano i farmaci, a volte manca l’elettricità o non c’è acqua per lunghi periodi di tempo. “La vita è insopportabile per molte persone – precisa suor Annie –. Le famiglie siriane sono rattristate dalla pressione psicologica e materiale”. Ma a fronte di tutto questo sono diversi i programmi di formazione giovanile e sostegno spirituale: “Questo è molto necessario in un Paese dove la desolazione e lo scoraggiamento sono diffusi. Dobbiamo seminare speranza” conclude suor Annie.
VATICAN NEWS 04 11 2020 Tiziana Campisia