2020 08 12 IRAQ - sei anni fa la cacciata dei cristiani dalla Piana di Ninive
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EL SALVADOR - Ucciso Padre Ricardo Antonio Cortéz, rettore del seminario maggiore di Santiago de María di Zacatecoluca
Padre Ricardo Antonio Cortéz è stato ucciso colpito da proiettili mentre guidava all’ottantesimo chilometro e mezzo della strada per Tecoluca, nel cantone Ramón Grifal, a San Vicente. Non è ancora chiaro se assassinato da sicari o rimasto vittima di una sparatoria. Padre Ricardo era diretto a Santiago de Maria, sede del seminario del quale era responsabile.
Il suo corpo senza vita è stato trovato vicino al suo veicolo, fermo sul ciglio della strada. Sono in corso le indagini da parte della Polizia Civile Nazionale e dell’Ufficio del Procuratore Generale, ma il presunto omicidio per ora non ha una spiegazione. Per ora le autorità di sicurezza salvadoregne non hanno dato dettagli sulle indagini in corso per fare chiarezza e individuare i responsabili.
Un “vile” atto, un “crimine esecrabile” che resta inspiegabile. Così, in un comunicato, la diocesi di Zacatecoluca esprime tutto il suo dolore alla notizia della morte del sacerdote, che era rettore del Seminario filosofico dedicato proprio a san Oscar Romero, e del quale erano noti a tutti l’amore per i fedeli e la carità con la quale seguiva i suoi seminaristi.
L’incredulità per quanto accaduto traspare dalle parole del comunicato con cui il vescovo, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, insieme ai fedeli della diocesi di Zacatecoluca, danno la notizia. Padre Riccardo, si legge nelle parole usate dai suoi superiori, “era un uomo buono, affabile, integrato nella sua comunità e dedito alla formazione a all’insegnamento dei seminaristi come alla cura dei fedeli che seguiva”.
“Padre Ricardito” continui a guidarci dal cielo
Affettuosa e commossa la testimonianza che su padre Ricardo arriva, al microfono di Cecilia Mutual, da don Raphael Sanchez, sacerdote della Diocesi di Zacatecoluca, da quattro anni in Italia. Con don Ricardo ha trascorso tanti anni in Salvador condividendo la vita pastorale:
R.- Don Ricardo era un sacerdote veramente in gamba, molto intelligente, molto umano, capace di una comunione e una fraternità con gli altri sacerdoti. Quando lavorava pastoralmente si consegnava al lavoro con passione. Abbiamo lavorato insieme in parrocchia dove veniva ad aiutarmi mentre io ero parroco, il fine settimana, perché il resto dei giorni li trascorreva ad insegnare in seminario. Era formatore in seminario e abbiamo lavorato insieme dal 2012 al 2016 nell’ambito pastorale. Don Ricardo era un uomo di grandi qualità umane e spirituali. Tutti i laici che abbiamo conosciuto e mi hanno parlato di lui dicono che era un eccellente direttore spirituale. I ragazzi suoi allievi ne parlano come un grande professore. Si era laureato in Filosofia a Roma tra il 2006 e il 2008 e tornato in Salvador in Diocesi, ha dedicato la sua vita al seminario. Aveva tanta esperienza: 16 anni di sacerdozio e 10 anni in seminario. Lascia nei nostri cuori un vuoto. Era amico, uomo, e grande sacerdote.
L’uccisione di padre Ricardo è l’ennesima profonda ferita per la Chiesa del Salvador....
R: - Parlando dell’esperienza di martirio del Salvador, negli ultimi 40 anni, possiamo dire che veramente abbiamo avuto tanti sacerdoti uccisi per diversi motivi. Ci colpisce che negli ultimi tre anni, sacerdoti giovani sono stati uccisi senza motivo. La delinquenza ha tolto loro la vita: nel 2018 padre Walter, nel 2019 padre Cecilio, e ora padre Ricardo. Non dovrebbe accadere: uccidere uomini così buoni, uomini di fede che lavorano per il popolo, che hanno amore per la comunità, che danno il loro contributo a vari livelli. Ci colpisce, ma come Chiesa noi continueremo a pregare e a chiedere la giustizia del Signore e delle nostre leggi civili perché si faccia chiarezza. Continueremo comunque a dare il messaggio che la Chiesa lotta perla Vita e non per la morte. Desidero il riposo eterno per don Ricardo “padre Ricardito” come lo chiamavamo noi: che ci possa aiutare ancora dal cielo nella guida della nostra vita cristiana.
(Fides, Radio Vaticana, Avvenire)
TESTIMONIANZA
IRAQ - sei anni fa la cacciata dei cristiani dalla Piana di Ninive
Costretti a lasciare la loro terra, quasi metà dei cristiani della Piana di Ninve, in Iraq, è oggi rientrata nelle proprie case. La ricostruzione continua grazie anche agli aiuti internazionali ma restano le incertezze sul futuro economico e politico dell’area e del Paese.
Da Qaraqosh la testimonianza di padre George Jahola
Nella notte tra il 6 e il 7 agosto del 2014 furono circa 120mila i cristiani costretti a fuggire dalla piana di Ninive, cacciati dai miliziani del sedicente Stato islamico. La violenza dell’Is si accanì sui loro villaggi e sulle loro case ma anche sulle chiese: 13mila le abitazioni colpite, oltre mille quelle totalmente distrutte.
I cristiani, una presenza storica nella zona di Ninive, scapparono in fretta e con il poco che riuscirono a portarsi dietro, cercarono riparo verso il Kurdistan iracheno, alcuni andarono oltre i confini del Paese. Solo nella seconda metà del 2016 alcuni di loro cominciarono a tornare nella Piana di Ninive, ormai liberata dall’occupazione jihadista. Sei anni dopo, quasi metà della popolazione cristiana è rientrata. L’aiuto della Chiesa e della comunità internazionale nella ricostruzione è stata molto importante per consentire ai cristiani di tornare nei loro villaggi e nelle loro città. Da Qaraqosh – Baghdeda, città irachena a Est di Mosul, padre George Jahola racconta a Vatican News l’importanza della comunità cristiana nella società del Paese e sottolinea la necessità di garantire condizioni economiche e politiche che consentano ai cristiani di costruire un futuro sicuro nella Piana di Ninive.
R. - Per l’Iraq i cristiani sono una componente necessaria, ma anche una presenza storica. Qui cristiani hanno dato un influsso alla società per la coesione sociale. Hanno contribuito al bene sociale e ad attenuare i conflitti nella regione dove vivono e quindi una testimonianza è necessaria per questa area che ha subito in questi ultimi anni un colpo molto duro per l’Iraq, ma soprattutto per la presenza dei cristiani in Iraq.
Quanti sono i cristiani tornati oggi nella Piana di Ninive?
R. - Quasi la metà, il 50% di quelli che c’erano prima, quindi siamo oggi sui 200mila nella Piana di Ninive. Gli altri hanno trovato altri luoghi dove continuare la loro vita.
I cristiani che sono rientrati nella Piana di Ninive oggi come vivono?
R. - Vivono dei lavori che avevano prima, alcuni sono impiegati nel governo, altri lavorano nel commercio o nell’edilizia e in altri settori, anche se tutto in Iraq, sia dal punto di vista economico che lavorativo, è molto precario e incerto. Anche questa difficoltà diventa per i cristiani motivo per lasciare il Paese.
Padre George, c’è qualche testimonianza delle persone rientrate che l’ha colpita particolarmente?
R. - Gli ostaggi degli Isis che hanno veramente mostrato una tenacia nella fede, nel dare una testimonianza della loro fede. Mi ricordo di una ragazza che i componenti del sedicente Stato islamico obbligavano a pregare come loro, ma lei di nascosto pregava le sue preghiere, per non dimenticare e non distaccarsi dalla propria fede. Questa è stata una testimonianza molto significativa per noi.
Per chi è rientrato, quanto è stato difficile tornare e ricostruire?
R. - Quando la gente ha cominciato a rientrare nella Piana di Ninive, nel 2016, è stata colpita dall’enorme distruzione, dal vedere le proprie case bruciate o rase al suolo e quindi all’inizio le persone erano giù di morale, però con l’aiuto della Chiesa e soprattutto grazie anche all’aiuto delle organizzazioni cristiane abbiamo dato una spinta alle loro speranze. Ancora oggi continuiamo a ricostruire le case, abbiamo superato la metà delle abitazioni ricostruite e abbiamo bisogno ancora di continuare per confermare la presenza dei cristiani e assistere le famiglie che vogliono rientrare.
La Chiesa nel mondo e la comunità internazionale cosa possono fare ancora?
R. - Forse a livello economico abbiamo ancora bisogno di aiuto, ma è soprattutto a livello politico che serve un intervento per essere certi oggi di poter vivere in questa area. I cristiani hanno bisogno di essere rassicurati sul loro futuro, non soltanto economico ma anche politico, perché la gente che sta ricostruendo si chiede a quale futuro vada incontro, se tornerà la minaccia dell’Isis o delle milizie, di cadere nel settarismo che oggi colpisce l’Iraq. Quindi la comunità internazionale ha questo compito di assicurare ai cristiani il loro futuro.
(RV 06 08 2020 Elvira Ragosta)