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2018 06 27 Papa FRANCESCO Medio Oriente rischio di cancellare i cristiani

Fonte:
CulturaCattolica.it
L’altra faccia della emigrazione: aiutiamo i cristiani a rimanere o tornare in Medio Oriente.
Lo dice persino il segretario ONU!!!
Come cristiani in Occidente abbiamo il dovere di sostenere la presenza della Chiesa in Medio Oriente: l’esempio della Chiesa Polacca

Papa FRANCESCO - Medio Oriente: rischio di cancellare i cristiani

Il Medio Oriente rischia di rimanere senza cristiani. Papa Francesco lo ricorda parlando stamattina, in Vaticano, con i circa 100 partecipanti alla 91.ma Assemblea Plenaria della Roaco (Riunione delle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali). Forte la denuncia degli interessi internazionali di cui è oggetto quella regione
Volevo leggervi il discorso preparato, ma “siccome la preoccupazione per il Medio Oriente è grande” mi permetto di dire qualcosa a braccio: così esordisce il Papa all’udienza in tarda mattinata con i partecipanti alla Plenaria della Roaco, Riunione delle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali che, dice, “è una cosa molto importante”.

Il Medio Oriente oggi è un crocevia di situazioni difficili, sofferenti, e anche in Medio Oriente c’è il rischio – non voglio dire la volontà di qualcuno – il rischio di cancellare i cristiani. Un Medio Oriente senza cristiani… Non sarebbe un Medio Oriente.

Lo sguardo di dominio delle potenze
“Il Medio Oriente oggi soffre, piange - continua Francesco - e le potenze mondiali guardano il Medio Oriente non con tanta preoccupazione per la cultura, la fede, la vita di quei popoli, ma sì, lo guardano, per prendere un pezzo e avere più dominio”. Di fatto, afferma il Papa, il numero dei cristiani in quelle terre, culla del cristianesimo, diminuisce. “E tanti non vogliono tornare perché la sofferenza è forte”.

Un grande patrimonio da custodire
Il vostro lavoro di aiuto al Medio Oriente, riconosce il Papa alla Roaco, è molto grande e lo ringrazio tanto. Quante ricchezze ci sono nelle Chiese in Medio Oriente - dice - la loro teologia, le liturgie. Dobbiamo custodire questa grande tradizione e lottare per questo. Essa, prosegue Francesco è “anche il succo – diciamo così – che viene dalle radici per dare vita alla nostra anima” in Occidente, insegnandoci la strada della contemplazione, della santità.

La questione delle migrazioni
Il Papa parla poi del problema più grave che il Medio Oriente si trova ad affrontare, quello delle migrazioni. E cita il Libano dove la metà sono libanesi e la metà profughi siriani che il Paese accoglie. Così in Giordania, in Turchia e in Europa e ricorda la sua visita a Lesbo, in Grecia: tanti profughi, e in Italia lo stesso:
C’è un grande peccato in Medio Oriente, e lo soffre la povera gente. Il peccato della voglia di potere, il peccato della guerra, ogni volta, più forte, più forte… Anche con armamenti sofisticati. E soffre la gente, i bambini.

La sofferenza di tanta gente
In Medio Oriente ci sono oggi poche scuole, pochi ospedali – sottolinea il Papa - “perché i bombardamenti distruggono tutto. È il grande peccato della guerra”. (…)

Coltivare la speranza nel Medio Oriente
L’ultima parola di Francesco è di speranza: “Il Signore non ci lascerà da soli - conclude - e per questo dico che il Medio Oriente è una speranza: una speranza che noi dobbiamo coltivare”. Come voi state già facendo.
(Adriana Masotti – RV 22 giugno 2018)

Card. Zenari: in Siria una catastrofe umanitaria senza precedenti

Il cardinale, Nunzio apostolico in Siria, è intervenuto in un convegno organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana e dal Centro Astalli in occasione della Giornata mondiale del rifugiato
Quando pensa alla Siria, spiega il card. Zenari nel suo intervento, due sono le immagini a cui pensa. Una è la Pietà di Michelangelo, sulla quale il porporato si sofferma ogni volta che entra in S. Pietro, in cui vede “la Siria che tiene in braccio i propri figli”, migliaia di morti e feriti e la parabola del buon samaritano: “la Siria è stata assalita dai ladroni e lasciata sul ciglio della strada.

Donne e bambini
Il racconto del nunzio apostolico in Siria di questi sette anni di guerra è il racconto delle donne e dei bambini, spiega, che più di tutti hanno pagato il conto per questo conflitto, nato con le proteste di piazze e arrivato ora con cinque eserciti “tra i più temibili del mondo” sul terreno. Ad Aleppo est, racconta il card. Zenari durante l’incontro organizzato dal Centro Astalli in occasione della giornata del rifugiato di domani, ci sono tra i duemila e i seimila bambini che vivono in strada senza nessuno, e succede che muoiano di fame e di freddo. Le donne, invece, devono mantenere anche nove figli, perché i mariti o sono morti in guerra o sono spariti.

12 milioni fuori dalle loro case
Un quarto dei rifugiati nel mondo poi sono siriani. In tutto 12 milioni di persone hanno lasciato il Paese o sono sfollati. Il loro sogno, aggiunge il card. Zenari è poter tornare a casa, “al loro focolare”.
(Michele Raviart – RV 20 giugno 2018)

UN ESEMPIO DI COME TUTTA LA CHIESA EUROPEA DOVREBBE FARE

Caritas Polonia per la Siria: Tobji, ad Aleppo bimbi abbandonati per strada

Intervista con mons. Joseph Tobji, arcivescovo della Chiesa maronita di Aleppo, in questi giorni in viaggio in Polonia per parlare della situazione in Siria e illustrare il programma di Caritas Polska “Famiglie per le famiglie”
“Ogni famiglia della Polonia che partecipa all’iniziativa sostiene una famiglia in Siria, fornendo un aiuto mensile per la vita quotidiana: penso sia un’iniziativa di carità e di amore, perché uno pensa all’altro, con una partecipazione quotidiana alla vita”. Così mons. Joseph Tobji, arcivescovo della Chiesa maronita di Aleppo, raggiunto telefonicamente a Danzica, in Polonia, illustra il programma di Caritas Polska “Famiglie per le famiglie”, attraverso il quale oltre 1100 nuclei familiari siriani sono stati presi in carico da altrettanti polacchi.

La missione in Polonia
Il presule sta compiendo in questi giorni una missione per aggiornare il Paese europeo sulla situazione in Siria. Nei giorni scorsi ha incontrato a Varsavia il presidente dei vescovi polacchi, l’arcivescovo Stanislaw Gadecki, che ha sottolineato come Aleppo sia il “simbolo della sofferenza” della Siria, proprio mentre a Roma il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, ha ricordato come cinque milioni e mezzo di siriani siano oggi rifugiati e oltre sei milioni siano sfollati interni. Cioè 12 milioni circa sono fuori dalle proprie case.

L’emergenza per i bambini
Ad Aleppo est, in particolare, ci sono tra i 2 mila e i 6 mila bambini in strada. “Sono quelli che non hanno più case perché - spiega l’arcivescovo Tobji - la guerra ne ha distrutte più della metà in città. Quindi vivono letteralmente ‘ammucchiati’ in una stanza o stanno per strada. Vengono aiutati dalle organizzazioni internazionali, ma non basta. Ci sono la Croce Rossa, la Mezzaluna Rossa, le organizzazioni cristiane come Jesuit Refugee Service e altre realtà, ma il bisogno è grande”. Anche Caritas, aggiunge, “sta lavorando per i bambini, attraverso il sostegno dell’educazione e per altri bisogni dell’infanzia. Un’altra questione molto importante riguarda le persone anziane; i giovani hanno lasciato il Paese, hanno lasciato magari i loro parenti e man mano le persone che restano invecchiano ed hanno bisogno di qualcuno che stia loro accanto”.

I rifugiati e i cristiani
Nella Giornata mondiale del Rifugiato, l’arcivescovo maronita di Aleppo pensa ai “problemi quotidiani” di chi ha dovuto abbandonare tutto per la guerra, che dura ormai da oltre 7 anni, ed è fuggito: “manca il minimo necessario per vivere come l’acqua, l’elettricità, il lavoro, la sanità, l’educazione. Non so come - prosegue mons. Tobji - ma la gente si arrangia. Non posso dire che sia abituata, perché non ci si abitua” a tale dramma. Poi, aggiunge, “bisogna pensare al sostegno, soprattutto in campo medico, perché quando una persona viene colpita da qualche malattia o deve subire interventi chirurgici, non ce la fa. È un disastro”. Quindi un pensiero per i cristiani: al riguardo, evidenzia, “l’emergenza è l’emigrazione che sta svuotando il Paese. Questa è una ferita aperta che speriamo - conclude - non faccia poi morire il corpo”.
(Giada Aquilino – RV 20 06 2018)

IRAQ - la lenta rinascita della Piana di Ninive

Dopo la sconfitta dell’Is, diverse città irachene sono però ancora vuote. Molti cristiani hanno paura di tornare nelle loro case. La testimonianza di mons. Basilio Yelda, vescovo ausiliare di Baghdad
Nel 2014 la Piana di Ninive è caduta sotto il controllo dei miliziani jihadisti del sedicente Stato islamico. Violenze, conflitti, case distrutte. Una situazione che ha portato all’allontanamento di decine di migliaia di persone. Così nell’agosto del 2014 è iniziato l’esodo dei cristiani. Nell’estate del 2017, dopo tre anni dalla fuga dei cristiani, il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha annunciato che le truppe irachene avevano liberato Mosul, la più grande città irachena che era controllata dallo Stato Islamico.

L'Iraq, un Paese in ginocchio
L’Iraq del dopo Isis, però, è un Paese in ginocchio che deve ripartire da zero. A Ninive le macerie si stagliano per chilometri e chilometri: case, ponti, strade, ospedali, chiese. Poco è sopravvissuto alla furia del Califfato e ai mesi di combattimenti per strappare all’Isis la roccaforte di Mosul e i villaggi cristiani della Piana.

La paura di tornare
Nonostante siano mesi che tutta la città di Mosul e l’intera pianura di Ninive sono state liberate dal dominio dei jihadisti, ancora molte città della Piana di Ninive sono quasi vuote perché molti cristiani hanno paura di tornare in quei luoghi. “Oltre 6.000 famiglie sono rientrare nei villaggi della Piana – spiega nell'intervista mons. Basilio Yelda, vescovo ausiliare di Baghdad – però sono ancora molte le persone che hanno paura di rientrare nelle proprie abitazioni".(…)

L’importanza del cristianesimo in Medio Oriente
“Avere i cristiani nel Medio Oriente – spiega – è di fondamentale importanza perché anche loro hanno costruito la cultura di queste terre. L’importanza dei cristiani – prosegue - è emersa anche nel corso delle ultime elezioni politiche: tutti i partiti volevano avere almeno un membro cristiano. Questo perché le persone sono consapevoli che i cristiani sono persone buone e pacifiche”.

L’appello dell’ONU
Dello stesso avviso del vescovo ausiliare di Baghdad è anche Antonio Guterres, segretario generale dell'ONU, che, in occasione del colloquio avuto il 20 giugno con il Patriarca Kirill, Primate della Chiesa ortodossa russa, ha sottolineato come il cristianesimo sia “parte integrante” della cultura mediorientale e occorra “assicurare il ritorno dei cristiani e dei membri di altre minoranze religiose”, garantendo la stabilizzazione della situazione politica in Iraq.
(Luisa Urbani – RV 21 giugno 2018)

TESTIMONIANZA

Assassinata dal terrorista dell’ISIS che aveva cercato di aiutare
Una bambina copta racconta l'omicidio della madre, una delle vittime degli attentati al Cairo del dicembre scorso

Sul sito Aleteia il giornalista Jesús Colina riprende una testimonianza giunta a noi grazie all’Aiuto alla chiesa che soffre (ACS)| Giu 20, 2018 Aleteia

Uomini armati hanno attaccato i cristiani che uscivano da una chiesa copto-ortodossa alla periferia del Cairo il 29 dicembre 2017. L’attentato, rivendicato dallo Stato Islamico, ha avuto luogo dieci minuti dopo la fine della Messa nella chiesa di San Menas ed è costato la vita a nove persone.
Una delle vittime era una giovane madre di nome Nermeen Sadiq.
Nesma ha reso pubblico il suo racconto attraverso la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre:

“Quando è finita la Messa, mia cugina, mia madre ed io siamo uscite dalla chiesa. Mia madre portava un crocifisso al collo e nessuna di noi portava il velo. Nei quartieri poveri le donne musulmane spesso portano il velo per distinguersi dalle donne cristiane.
Abbiamo preso una strada laterale e abbiamo visto che un uomo che si avvicinava alla chiesa in modo cadeva in una buca. Mia madre è andata subito ad aiutarlo e gli ha detto: “In nome di Gesù Cristo, sta bene?” L’uomo si è ripreso rapidamente e nell’arco di un battito di ciglia ha aperto il fuoco contro di noi con un’arma che ha tirato fuori da sotto il gilet.
Appena io e mia cugina abbiamo visto l’arma ci siamo nascoste dietro mia madre, che ci ha gridato di scappare. Il terrorista prima le ha sparato al braccio mentre stava ancora cercando di proteggerci. Siamo corse via, ma mia madre è caduta e non è riuscita a fuggire con noi. La distanza tra noi e il terrorista quando ha tirato fuori l’arma era poco più di un metro. Mia cugina ed io abbiamo corso fino a un piccolo supermercato, in cui la venditrice ci ha nascoste dietro il frigorifero. Dal nostro nascondiglio potevamo vedere che l’uomo ci cercava con lo sguardo. Visto che non ci vedeva si è rivolto di nuovo verso mia madre e le ha sparato varie volte.
Tutto questo è accaduto nell’arco di pochi minuti. Quando il terrorista se n’è andato siamo corse ad aiutare mia madre. È arrivata molta gente, ma nessuno si è avvicinato per assisterla, anche se era ancora viva.
Ho chiamato mio padre, ma non ha risposto. Sono riuscita a localizzare mio zio, che è arrivato subito. È arrivata un’ambulanza, ma il personale d’emergenza si è rifiutato di far salire mia madre finché non ha ottenuto il permesso degli agenti di sicurezza, che stavano cercando per le strade il terrorista e un altro che aveva attaccato le persone che si trovavano davanti alla chiesa.
Allora è iniziata una sparatoria e la gente è corsa via. Mia cugina, mio zio ed io siamo rimasti con mia madre, che mi ha guardata e mi ha detto: “Non avere paura, io sono con te. Obbedisci a tuo padre e prenditi cura di tua sorella”. Quando la sparatoria è finita sono tornata in chiesa per cercare mia sorella minore, Karen, che ha otto anni ed era rimasta lì perché la catechesi dei bambini non era ancora finita. Ho visto tre persone conosciute che giacevano in pozze di sangue perché erano state assassinate davanti alla chiesa.
Quando finalmente hanno fatto salire mia madre in ambulanza era già morta.
Oggi non giro più per strada da sola; mio padre mi accompagna sempre ovunque. Nonostante il dolore che mi attanaglia il cuore – mia madre mi manca moltissimo – sono contenta perché ero con lei durante l’attacco e non sono stata neanche ferita. È stato Dio a sceglierla per andare in Cielo.
Non voglio abbandonare il mio Paese, ma voglio trovare senz’altro il modo per studiare e vivere in modo più confortevole, soprattutto perché le nostre condizioni economiche non sono buone. Mio padre, che ha 35 anni, fa l’autista ma non ha un lavoro fisso. Mia madre era la fonte principale di entrate della nostra famiglia. Era infermiera presso il Centro Nefrologico del Cairo. Io voglio diventare dottoressa specializzata in Nefrologia, perché era quello che mia madre sognava per me.

Questo è il mio messaggio a tutte le persone perseguitate nel mondo: non temete! La nostra vita è nelle mani di Dio e dobbiamo rimanere fedeli alla nostra fede”.

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