2017 10 17 NIGERIA Rapito don Maurizio Pallù
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NIGERIA - Rapito don Maurizio Pallù. Il Papa in preghiera
Un sacerdote missionario della diocesi di Roma, don Maurizio Pallù, legato al Cammino Neocatecumenale e da tre anni in Nigeria, è stato sequestrato da un gruppo di uomini armati mentre si recava con altre quattro persone a Benin City, nel sud del Paese.
I rapitori avrebbero portato via il sacerdote dopo aver rapinato il gruppo, per questo si pensa all’azione di una banda di delinquenti comuni pronti a chiedere il riscatto.
Sulla vicenda è al lavoro l’Unità di crisi della Farnesina, mentre la procura di Roma ha aperto un fascicolo coordinato dal pm Sergio Colaiocco.
In un tweet, il direttore della Sala Stampa Vaticana, Greg Burke, fa sapere che "Papa Francesco è stato informato del sacerdote italiano rapito in Nigeria, don Maurizio Pallù, e sta pregando per lui".
Originario di Firenze, 63 anni, entra al seminario Redemptoris Mater di Roma nel 1988, dopo aver trascorso 11 anni come missionario laico in diversi Paesi del mondo. Opera in due parrocchie romane e in seguito viene inviato in Olanda, dove diventa parroco nella diocesi di Haarlem.
Riparte per l’Africa per lavorare nell’arcidiocesi di Abuja, Nigeria. E’ un “presbitero itinerante” della Fondazione Famiglia di Nazareth.
Lo Stato di Edo, di cui Benin City è la capitale e in cui don Maurizio è stato fino ad ora impegnato, è un’area ad alto rischio rapimenti. Il 27 settembre scorso viene sequestrato anche don Lawrence Adorolo, parroco della chiesa di San Benedetto di Okpella.
Monsignor Gabriel Dunia, vescovo di Auchi, nel condannare all’Agenzia Fides il rapimento come “atto abominevole”, rivelò che i rapitori si erano "fatti vivi “per chiedere un riscatto alla Chiesa”. Ma la “Chiesa non paga riscatti” rispose il vescovo, confermando la linea adottata da tempo dalla Conferenza episcopale nigeriana di respingere ogni richiesta da parte dei sequestratori di sacerdoti e religiosi. Non si tratta di atti legati all’odio religioso, ma compiuti molto spesso da gruppi di criminali comuni che mirano al denaro.
Secondo quanto riportato da Fides, quest’anno nel Sud della Nigeria sono stati rapiti altri 3 sacerdoti.
Padre Samuel Okwuidegbe, gesuita, prelevato da sconosciuti il 18 aprile e poi rilasciato il 22 dello stesso mese. Il 18 giugno scorso con un blitz della polizia viene liberato, a tre giorni dal rapimento, padre Charles Nwachukwu, della diocesi di Okigwe - sud est della Nigeria.
L’episodio più drammatico è invece quello del primo settembre, giorno in cui viene rapito e ucciso - sempre nello Stato di Imo - padre Cyriacus Onunkwo: il suo corpo viene ritrovato il giorno dopo nei pressi di un villaggio.
Da due anni non si hanno ancora notizie di padre Gabriel Oyaka, religioso nigeriano della Congregazione dello Spirito Santo, sequestrato il 7 settembre 2015.
13/10/2017 Radio Vaticana
EGITTO - Cairo, ucciso un sacerdote copto
Si teme un attacco islamista
L’odio fondamentalista colpisce ancora l’Egitto. Il 12 ottobre, infatti, è stato ucciso padre Samaan Shehata, un sacerdote della Chiesa copta, colpito a morte con un grosso coltello, nel quartiere di El-Marg, nella periferia nord est del Cairo. L’attacco è stato improvviso e realizzato mentre il sacerdote si trovava con un altro confratello. Dopo l’uccisione, il killer è sparito, anche se, secondo quanto è dato sapere, sarebbe stato fermato dalle forze di sicurezza egiziano.
Come riporta La Stampa, “con questa morte i copti tornano a piangere una propria vittima al Cairo a dieci mesi dall’attentato alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo nel quartiere di Abbassiya, che l’11 dicembre 2016 lasciò dietro di sé 25 morti tra i fedeli che affollavano la celebrazione domenicale. Nei mesi successivi erano poi arrivate le stragi della domenica delle Palme a Tanta ed Alessandria e quella di maggio contro un convoglio di pellegrini che si stavano recando a un monastero, nella regione desertica di Minya”.
L’allarme di Aiuto alla Chiesa che Soffre
Proprio oggi (13 ottobre), è stato presentato a Palazzo Lombardia il rapporto sulla persecuzione anticristiana di Aiuto alla Chiesa che soffre dal titolo “Perseguitati e dimenticati. Rapporto sui Cristiani oppressi in ragione della loro fede tra il 2015 e il 2017”.
I Paesi presi in esame sono tredici Paesi, undici dei quali, tra la metà del 2015 e la metà del 2017, hanno subito una svolta drammatica, come si legge nel rapporto: “Tra il 2015 e il 2017, i cristiani hanno subito crimini contro l’umanità: alcuni sono stati impiccati o crocifissi, altri violentati, alcuni rapiti e mai più ritrovati”. Un vero e proprio genocidio, insomma.
Ma un genocidio è anche quello in atto contro i cristiani in Nigeria, dove all’azione della setta islamista Boko Haram si uniscono le violenze commesse da pastori estremisti di etnia fulani, che hanno devastato villaggi cristiani e ucciso molti fedeli.
Al fondamentalismo islamico si unisce il nazionalismo indù, la cui ascesa India è favorita dal Bharatiya Janata Party (BJP), il partito del primo ministro Narendra Modi. Le conseguenze sono drammatiche per i cristiani che hanno subito 365 atti di violenza nel 2016 e ben 316 nei soli primi cinque mesi del 2017.
Se in Pakistan il governo risulta incapace di proteggere le minoranze dall’estremismo e dalla discriminazione, nonché di apportare modifiche alla legge anti-blasfemia, in altri Paesi i regimi totalitari sono attori diretti delle persecuzioni anticristiane.
In Cina i diritti umani vengono gravemente violati nel tentativo statale di assoggettare qualsiasi attività religiosa al proprio controllo, mentre continua la campagna di rimozione delle croci e di distruzione delle chiese. Preoccupa inoltre la possibilità che Pechino possa adottare un sistema di stratificazione sociale analogo a quello del songbun, che in Corea del Nord determina l’accesso a beni e servizi necessari quali cibo, educazione e assistenza sanitaria, sulla base della posizione occupata dai cittadini tra le 51 potenziali categorie che indicano maggiore o minore lealtà al regime.
“Il nostro impegno a favore dei cristiani perseguitati è nato all’inizio della legislatura, nel 2013, anche in nome della difesa delle radici cristiane. È un tema di cui si parla poco, anche dal punto di vista mediatico, ma che riguarda purtroppo tanti territori e tanti Paesi in tutto il mondo”, ha detto l’assessore alle Culture Cristina Cappellini. “Spesso si pensa che – ha aggiunto l’assessore regionale – la persecuzione riguardi solo i territori sotto il giogo dell’Isis che ora pare essere in difficoltà, se non addirittura definitivamente sconfitto in alcune aree del Medio Oriente ma come abbiamo sentito oggi il problema della libertà religiosa c’è ancora in troppi Paesi, dalla Cina alla Corea del Nord. È una piaga di questo secolo”.
(OTT 13, 2017 MATTEO CARNIELETTO occhidellaguerra.it)
INDIA - Preghiera per sette cristiani dell’Orissa, in carcere da innocenti
La Chiesa in India si ritrova in preghiera per il rilascio di sette cristiani innocenti dello stato indiano di Orissa, in carcere da nove anni. I loro nomi sono: Bhaskar Sunamajhi, Bijay Sanseth, Buddhadev Nayak, Durjo Sunamajhi, Gornath Chalanseth, Munda Badamajhi e Sanatan Badamajhi. Come appreso da Fides, i sette, originari del distretto di Kandhamal, teatro dell’ondata di violenza anticristiana nel 2007 e nel 2008, sono accusati ingiustamente di essere tra i responsabili dell’uccisione del leader indù Swami Laxmanananda Saraswati, freddato in Orissa il 23 agosto 2008. Un tribunale distrettuale li ha condannati nel 2013, e un processo di appello è in corso all’Alta Corte di Cuttack. L’udienza del processo è stata rinviata per diverse volte. L’episodio della morte del leader indù fu la scintilla che fece esplodere la violenza anticristiana nel 2008. I cristiani furono accusati in modo pretestuoso dell’omicidio, poi rivendicato e attribuito ai gruppi maoisti.
Nei giorni scorsi, in una assemblea di sacerdoti tenutasi in Kerala sul tema “Che cosa è successo a Kandhamal?”, i presenti hanno ricordato che la Chiesa indiana ha organizzato veglie di preghiera per il Salesiano indiano p. Tom Uzhunnalil, rapito in Yemen e poi liberato. “Ora urge pregare per gli innocenti di Kandhamal”, nota a Fides il giornalista e intellettuale cattolico Anto Akkara, che ha viaggiato molte volte nel distretto e ha scritto diversi libri sull’argomento. In uno di questi libri-inchiesta, dal titolo “Chi ha ucciso Swami Laxmanananda?”, il giornalista riporta prove che scagionano i sette cristiani.
Attivisti per i diritti umani, operatori sociali, giornalisti e leader della Chiesa hanno contestato le conclusioni del tribunale distrettuale che ha condannato i sette cristiani in primo grado: il verdetto si è basato sulla teoria di una cospirazione che mancava di prove e di autenticità. Akkara ha anche lanciato una petizione online per il rilascio dei sette, inviandola al Giudice capo della Corte Suprema dell’India, al Presidente dell’India e al Presidente della Commissione nazionale per i diritti umani. “Questo è per me un viaggio di fede. Il Signore ha guidato il mio cammino negli ultimi nove anni, e la petizione e la campagna di preghiera sono emerse dal desiderio di verità e di giustizia”, conclude Akkara.
Il distretto di Kandhamal, nello Stato di Orissa (o Odisha) ha vissuto tensioni intercomunitarie e un’ondata di violenza senza precedenti durante il Natale nel 2007 e poi a partire da agosto 2008. La violenza, durata almeno quattro mesi, ha ucciso più di 100 persone e ha reso più di 56.000 senza tetto. (SD-PA) (Agenzia Fides 17/10/2017)
ITALIA - MADONNINA DECAPITATA sulla Grignetta: un gesto che non offende i preti ma la gente della valle
Di recente la croce metallica collocata in vetta alla Grigna Meridionale, montagna simbolo del lecchese, è stata divelta da alcuni vandali. Danneggiata anche la Madonnina.
Girando per rifugi di montagna è piuttosto frequente vedere sventolare bandierine tibetane multicolori appese a cavi o pali. Da qualche mese mi capita di passare davanti ad un condominio in Brianza dove, tra due finestre, è appesa una corda da montagna con attaccate diverse di queste bandierine che, dallo stato del tessuto, sono lì già da diverso tempo; un paio di volte ne ho viste sventolare anche nel giardino di villette a schiera. Fino a poche settimane fa ce n’era una fila appese ad una fune stesa tra la roccia e la croce anche in cima alla Grignetta. (…)
Racconto questo per ricordare, anche senza parlare di croci, che la tradizione di vedere nella montagna un luogo privilegiato dove porre dei simboli della memoria religiosa è comune in molte religioni.
Dalle nostre parti vi sono sulle montagne croci che hanno una grande valenza non solo cristiana ma anche per la storia e la tradizione delle genti che abitano nelle valli circostanti; quella sulla Grigna meridionale, ad esempio, non era stata piantata dai parroci della zona ma dagli alpinisti locali molti anni fa a ricordo dei loro amici morti in montagna.
Svellere dal suo basamento quella croce e decapitare la sottostante madonnina, prima ancora di un gesto di lotta contro i simboli religiosi è stato un atto di grande ignoranza e mancato rispetto per la storia della gente. Non è un caso che i primi ad accorrere sulla cima per risollevarla e cercare di darle una sistemazione provvisoria in attesa della riparazione non siano stati i ragazzi degli oratori o i sacerdoti ma proprio gli alpinisti della Valsassina, tra i quali alcuni fortissimi rocciatori, che al di là del loro credo hanno visto in quel gesto un’offesa alla loro valle.
Certo, chi gira per le Alpi sa benissimo che ci sono croci che sarebbe meglio togliere perché appaiono messe lì su una cima tanto per metterle o anche per puro esibizionismo: basti pensare alla croce alta trentasei metri con ascensore interno e terrazzo panoramico recentemente montata in Svizzera.
Molto bella a questo proposito un’intervista di qualche anno fa a Luigi Casanova, portavoce di Mountain Wilderness e ripresa anche da Avvenire ("Croci sulle vette: non banalizzare quei simboli sacri", F. Dal Mas, 18 aprile 2013) dove l’alpinista spiega bene la differenza tra quali siano i simboli, anche moderni, che hanno un valore e il proliferare di segni messi senza una logica o con significati personalistici.
In un documento della commissione diocesana di Belluno-Feltre che si occupa delle "terre alte" si afferma: "Le nostre montagne sono una lode al Creatore senza bisogno che si aggiungano orpelli, se non quelli essenziali", sottolineando anche che "L’importante è non strumentalizzare la sobrietà in chiave laicista".
Gli abitanti della Valsassina restaureranno presto la croce di vetta della Grignetta, simbolo di tutti, al di là di come ciascuno la possa guardare quando, da qualsiasi via, arriva su quella vetta. (venerdì 13 ottobre 2017 ilsussidiario.net di Ezio Goggi)