2017 09 13 Pakistan - 3000 giorni in cella per Asia Bibi, simbolo dei perseguitati
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NEPAL - no Chiese cristiane e Codice penale che punisce conversioni
COREA DEL NORD - Ecco come la Corea del Nord sta perseguitando i cristiani
INDIA - Libero il Salesiano rapito “grazie a Dio e all’impegno di Papa Francesco”

Pakistan - Tremila giorni in cella per Asia Bibi, simbolo dei perseguitati
Stefano Vecchia sabato 9 settembre 2017 Avvenire
Il tremendo anniversario della prima donna cristiana condannata alla pena capitale per blasfemia. Il processo alla Corte suprema per scagionarla non viene fissato
Asia Bibi trascorre oggi il giorno numero 3.000 della sua odissea carceraria senza vedere una luce in fondo al suo tunnel di vicissitudini giudiziarie, prigionia, frustrazione ma illuminato finora anche da fede e coraggio esemplari. Vissuti in detenzione nel carcere femminile di Multan, dove è rinchiusa dal giugno 2013, dopo essere stata “ospite” di quelle di Nankana Sahib e Sheikhupura dall’arresto nel giugno 2009. Vittima di accuse pretestuose di oltraggio all’islam avanzate da conoscenti musulmane dello stesso villaggio in cui la mamma cattolica di cinque figli viveva.
In un significativo intreccio di vite e azioni, impegnato a ottenere dalla Corte Suprema il verdetto finale che probabilmente garantirebbe alla sua assistita (prima donna condannata alla pena capitale per blasfemia) la libertà, è l’avvocato Saif ul Malook. Il musulmano Malook ha avuto un ruolo essenziale nel portare al patibolo, correndo gravi rischi, Mumtaz Qadri, l’estremista islamico e assassino del governatore della provincia del Punjab Salman Taseer, il politico che aveva sostenuto pubblicamente l’innocenza di Asia Bibi incontrandola anche in carcere. «Solo la sua famiglia o un difensore possono entrare nella sua cella e così io e Ashiq (il marito della donna) siamo andati insieme a visitarla. I detenuti del braccio della morte sono in isolamento in celle di 2,5 metri per tre. Ve ne sono tre nella prigione, di cui solo una occupata. (…)
A portare la 50enne cattolica a diventare simbolo e vittima suo malgrado, una serie di cause. L’accanimento evidente dell’estremismo islamico nei suoi confronti ha propiziato la condanna a morte in primo e secondo grado. Situazione estrema che ha spinto a intervenire a suo favore prima il musulmano laicista Taseer, poi il ministro per le Minoranze, il cattolico Shahbaz Bhatti. Entrambi assassinati, rispettivamente il 4 gennaio e il 2 marzo 2011. Eventi che hanno ancor più attirato su di lei l’attenzione internazionale e incentivato pressioni sul governo pachistano. Il processo, la condanna a morte e il 29 febbraio 2016 l’esecuzione di Mumtaz Qadri, guardia del corpo e killer di Bhatti hanno creato per l’estremismo religioso un «martire» inevitabilmente ponendo Asia Bibi – nel frattempo consegnata ancora al braccio della morte da una sentenza dell’Alta Corte di Lahore nell’ottobre 2014 con l’esecuzione sospesa successivamente dalla Corte Suprema – nella condizione di “catalizzatore” della volontà di vendetta da parte degli estremisti.
L’eventualità di una reazione organizzata nel caso della sua liberazione e probabilmente di un esilio immediato, è sicuramente più temibile per il governo delle pressioni internazionali che chiedono giustizia per la donna. Una sommossa anti-governativa porterebbe – sostengono diversi osservatori laici – tra l’altro al blocco del debole tentativo chiesto da più parti e accolto dalla politica nazionale di individuare una evoluzione della legislazione posta a tutela della fede islamica ma che, alla fine, è il punto di partenza della disgraziata vicenda di Asia Bibi e di centinaia di altri. (…)
CONGO - Nord Kivu. Sacerdote sfugge ai sequestratori in Congo
Padre Athanase Waswandi, ex rettore dell'Università cattolica, è stato preso nel dormitorio dell'ateneo. E' riuscito a scappare dall'auto dei rapitori. Minacce alla società civile
La zona dell'Università cattolica di Butembo, nel Nord Kivu congolese, dove è avvenuto il sequestro del sacerdote poi sfuggito
Le violenze contro i religiosi e i civili continuano con impunità nel nord-est della Repubblica democratica del Congo. Due sacerdoti congolesi, padre Charles Kipasa e padre Jean Pierre Akilimali, erano già stati rapiti lo scorso luglio, mentre un terzo, padre Athanase Waswandi, è riuscito a scappare dai suoi rapitori nella notte tra venerdì e ieri. «Per noi è solo un piccolo problema farvi fuori tutti», sono state le parole minacciose pronunciate ieri da un comandante della polizia. Proprio quest’ultimo stava compiendo le indagini per il tentativo di rapimento nei confronti di padre Waswandi, ex rettore dell’Università cattolica di Graben (Ucg), situata a Butembo, cittadina della martoriata provincia del Nord Kivu.
«Individui armati in uniforme verso l’una di notte hanno fatto irruzione nell’università e hanno catturato padre Waswandi mentre era nella sua camera all’Ucg a Butembo. Poi lo hanno costretto a salire sulla loro auto – hanno confermato ieri alcune fonti locali –. L’auto ha però ha avuto dei problemi e si è fermata. A quel punto il sacerdote è riuscito ad aprire la porta, buttarsi in una scarpata e poi a scappare sulle colline».
Padre Waswandi è ora ricoverato in ospedale con una grave ferita alla testa. Secondo le prime ricostruzioni, sarebbero banditi locali chiamati «kasukwistes» ad aver compiuto il sequestro.
Si tratterebbe, però, solo di esecutori materiali, mentre i mandanti sembrano essere altri. I residenti sono infatti sicuri si tratti di una risposta da parte delle autorità alle manifestazioni e allo sciopero di giovedì contro il governo locale per denunciare l’alto livello di insicurezza che regna in tutta la regione da tempo guidato dal vice-rettore dell’università. Forse era lui il vero obiettivo del rapimento. E la responsabilità delle violenze è spesso “condivisa” tra i vari gruppi ribelli, come quello dei Mai-Mai, e i soldati dell’esercito regolare (Fardc).
(Avvenire Matteo Fraschini Koffi, Lomé (Togo) sabato 9 settembre 2017)
NEPAL - no Chiese cristiane e Codice penale che punisce conversioni
In Nepal desta forti preoccupazioni nella comunità cristiana la nuova legge inserita nel Codice Penale che punisce tutte le conversioni religiose e le attività di evangelizzazione e proselitismo.
Il provvedimento che entrerà in vigore dall’agosto 2018 stabilisce che chiunque verrà “colto in fragrante” mentre svolge azioni di proselitismo atte a convertire una persona “o a minare la religione, la fede o il credo di un’altra casta, gruppo etnico o comunità” potrà essere punito con la detenzione fino a cinque anni. Inoltre chiunque “offenda il sentimento religioso” (di un altro gruppo confessionale) potrà essere condannato a due anni di carcere e al pagamento di una multa di 2mila rupie nepalesi (parii a circa 16 euro). Essa si applicherà sia ai cittadini che agli stranieri, compresi quindi ai missionari.
Diversi esponenti cristiani nepalesi hanno espresso all’agenzia AsiaNews il timore che la nuova normativa possa portare a un giro di vite contro la libertà religiosa, che in teoria è garantita dalla Costituzione laica e democratica approvata nel 2015. Tra questi mons. Paul Simick, vicario apostolico del Nepal, secondo il quale, “esiste la possibilità che venga limitato il diritto dei sacerdoti di esercitare il proprio credo e doveri”.
Nel tentativo di giustificare la riforma, il Ministro della giustizia Agni Kharel, ha affermato che “il controllo si applica anche agli indù e ai buddisti, non è solo per i cristiani”. Anche il consigliere del Primo Ministro, Dinesh Bhattarai, ha assicurato che la nuova normativa “non vuole colpire in maniera particolare una fede o un fedele”.
Di diverso avviso C. B. Gahatraj, presidente della Federazione cristiana nepalese: l’obiettivo del nuovo Codice penale, afferma, “è controllare la libertà religiosa e di conversione. Condanniamo questo controllo, in ogni forma”. Il leader cristiano denuncia quindi che “i partiti politici stanno tentando di controllare il crescente interesse delle persone che si convertono al cristianesimo”. ribadendo che “noi non costringiamo nessuno e allo stesso tempo non chiediamo di cambiare religione. (L.Z.) 12/09/2017 Radio Vaticana
INDIA - Libero il Salesiano rapito “grazie a Dio e all’impegno di Papa Francesco”
“Esprimiamo prima di tutto profonda gratitudine a Dio per la felice conclusione di questa vicenda. Bisogna poi ringraziare l’azione del governo indiano, che ha messo in campo ogni sforzo per la liberazione di p. Tom Uzhunnalil, il salesiano indiano rapito oltre un anno fa in Yemen. E bisogna ringraziare anche l’impegno personale di Papa Francesco, che ha speso tutta la sua influenza. P. Tom è libero e ora è in viaggio proprio verso il Vaticano”: lo dichiara all’Agenzia Fides il Vescovo Thedore Mascarenhas, Segretario Generale della Conferenza Episcopale dell’India, confermando la notizia del rilascio di p. Tom Uzhunnalil, il salesiano rapito il 4 marzo 2016 ad Aden, nell’attacco in cui morirono 16 persone, tra cui 4 religiose delle Missionarie della Carità.
Il Vescovo dice a Fides: “E’ stata una vicenda difficilissima da gestire e molto delicata. Solo la Provvidenza di Dio e la sua benedizione hanno potuto condurre a un esito felice. Milioni di persone hanno pregato nel mondo per la liberazione di p. Tom e oggi possiamo dire a tutti: questa è la forza della preghiera”.
(Agenzia Fides 12/9/2017)
COREA DEL NORD - Ecco come la Corea del Nord sta perseguitando i cristiani
Non solo le provocazioni nei confronti degli Stati Uniti e un programma atomico (…)
Da quindici anni consecutivi la Corea del Nord si conferma il posto peggiore al mondo per chi professa la fede in Cristo. Accusati di essere “spie dell’Occidente” i cristiani sono relegati nella “classe ostile”, l’ultima delle categorie sociali in cui si divide la società nordcoreana, secondo il criterio della fedeltà alla dinastia della famiglia Kim. Così, a Pyongyang si può essere arrestati, torturati o uccisi per il semplice fatto di possedere una Bibbia in casa, come mette in luce l’ultimo Rapporto sulla Libertà religiosa curato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. Il cristianesimo (…) infatti, è considerato da Kim Jong-un come un’arma dell’Occidente per “ledere lo Stato e l’ordine sociale”. Non una religione, bensì uno strumento di penetrazione delle agenzie di intelligence occidentali. Tutti i cristiani sono, quindi, considerati alla stregua di spie statunitensi e sudcoreane e, per questo, si legge nel rapporto di Acs-Italia, “vengono giustiziati”.
Torture, aborti forzati e crocifissioni
Nei campi di lavoro, dove si stima possano essere attualmente recluse fino a 200mila persone, sono imprigionati moltissimi cristiani, privati della libertà soltanto perché considerati rei di aver organizzato incontri di preghiera o altri tipi di attività connesse con la religione. Dal 2014, anche la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Corea del Nord ha denunciato le “indicibili atrocità” commesse dal regime nei confronti dei cristiani residenti nel Paese, che, secondo le stime dell’Onu, oscillerebbero tra 200 e 400mila. Tra queste, secondo fonti dell’associazione pontificia che si occupa dei cristiani perseguitati nel mondo, ci sarebbero “aborti forzati, privazione di cibo e casi di crocifissioni”.
Decine di religiosi imprigionati
Sebbene la libertà religiosa sia garantita dall’articolo 68 della Costituzione nordcoreana, nelle chiese cristiane presenti a Pyongyang – tre protestanti, una cattolica e una ortodossa russa – i sacerdoti non ci sono quasi mai. Più frequenti delle Messe, infatti, sono le condanne ai lavori forzati. Nel 2015, un pastore canadese di origini sud coreane, il reverendo Hyeon Soo Lim, impegnato in attività umanitarie nel Paese, è stato condannato all’ergastolo e costretto a scavare buche per otto ore al giorno in un campo di lavoro. L’accusa, per lui, è quella di “aver utilizzato la religione per rovesciare lo Stato e nuocere alla dignità della leadership suprema”. Stessa sorte per altri due pastori di origine sudcoreana, Kim Kuk Gi e Choe Gun Gil, accusati di spionaggio nello stesso anno. Nel 2016, sempre per spionaggio, è stato condannato ai lavori forzati il missionario sudcoreano Kim Dong Chul. E le violenze non si fermano all’interno dei confini nordcoreani. Sono in molti, infatti, a ritenere che possa essere stato opera di agenti segreti di Pyongyang l’omicidio di Han Choo-ryeol, pastore sino-coreano assassinato in Cina a maggio del 2016. Il religioso aveva istituito delle chiese sotterranee in Corea del Nord e per questo potrebbe essere finito nel mirino dei servizi segreti di Kim Jong-un.
L’appello per la fine delle persecuzioni
“La minaccia nord-coreana non è solo quella degli ordigni ad altissimo potenziale, capaci di mettere a rischio la sicurezza delle altre nazioni, ma anche quella nascosta, ma non per questo meno letale, della più crudele, violenta ed estesa persecuzione, soprattutto religiosa”, commentano in una nota congiunta il presidente di Acs-Italia, Alfredo Mantovano, e il direttore, Alessandro Monteduro, auspicando che l’Occidente non si limiti ad una “reazione settoriale” e mirata alla “neutralizzazione delle bombe”, ma si adoperi valutando “con lo stesso metro quel che in Corea del Nord viene fatto a ogni singolo perseguitato”. www.occhidellaguerra.it SET 10, 2017 ALESSANDRA BENIGNETTI