2017 08 16 Centrafrica Sgozzati per vendetta 50 cristiani
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I drammatici messaggi di Juan José Aguirre, il comboniano spagnolo che guida la diocesi.

Juan José Aguirre Muñoz, 63 anni, è un vescovo comboniano di origini spagnole che vive nella Repubblica Centrafricana. Nella serata di martedì 8 agosto ha inviato al fratello Miguel drammatici messaggi email e whatsapp. Poi la strage e il racconto raccolto da Avvenire.
8 AGOSTO 2017
«Hanno attaccato una missione a 75 chilometri da Bangassou chiamata Gambo. Hanno sgozzato diversi uomini e bambini. I giovani musulmani non ascoltano nessuno e cercano lo scontro: si siedono proprio davanti alla cattedrale, perché nessuno possa passare. Sono tre domeniche che non possiamo aprire la cattedrale».
Monsignor Aguirre ha spiegato al fratello che la domenica si trasferisce in Congo per celebrare la messa dove ci sono 10.000 sfollati e ha detto di non aver fiducia nei soldati della Minusca, la forza coordinata dall’Onu con truppe africane.
A Gambo sono arrivate le milizie cristiane anti-balaka, «che l’altro ieri hanno allontanato» i miliziani musulmani seleka, «però lunedì sono entrati i soldati egiziani della Minusca che hanno mandato via gli anti-balaka e così i seleka sono tornati e hanno tagliato una decina di gole». Il vescovo ha detto di essere rimasto asserragliato insieme a tre suoi preti, tutti dotati di telefono. «Abbiamo bisogno delle vostre preghiere» ha scritto al fratello.
Poi un nuovo messaggio: «La missione di Gambo è stata saccheggiata, ci sono stati cinquanta morti». E in una successiva comunicazione Aguirre ha informato il fratello che anche la missione di Bema rischia di essere attaccata.
(09/08/2017 La stampa ANDREA TORNIELLI)
9 AGOSTO 2017
Centrafrica. Sgozzati per vendetta 50 cristiani. Il dolore di papa Francesco
«A furia di ragionare con la logica “dell’occhio per occhio” finiremo per diventare tutti ciechi. In parte sta già accadendo. Non riusciamo più a vedere con chiarezza. Confondiamo vicini, parenti, amici con dei nemici da massacrare». Monsignor Juan José Aguirre vive in Centrafrica da oltre 35 anni. Da 17 guida la diocesi di Bangassou, nel sud-est della Repubblica, che chiama «la mia casa» proprio come Córdoba, in Spagna, dove è nato. Eppure, afferma il vescovo, fa sempre più fatica a riconoscere la sua terra d’adozione. «È orribile quanto sta accadendo...», dice con voce forzatamente calma. «Non ho tempo per disperarmi – aggiunge –. Ci sono i feriti da soccorrere». Già, i feriti.
Gli ultimi tre sono arrivati poche ore prima. Li hanno portati da Gambo. Il villaggio, a 75 chilometri da Bangassou, è da tre anni sotto il controllo dei ribelli Seleka. Miliziani islamisti addestrati in Ciad: da là, nel 2013, sono arrivati in Centrafrica, scatenando il conflitto. Venerdì sera, a Gambo, c’è stata l’irruzione degli anti-Balaka. Questi ultimi – in principio gruppi di autodifesa formati da non musulmani, in buona parte cristiani – sono diventati spietati quanto i nemici. Il loro blitz, dunque, ha scatenato il panico a Gambo. Il contingente di stabilizzazione Onu (Minusca) ha risposto con forza. «Eccessiva, vorrei sottolineare. Nella sparatoria sono morti tanti civili. Tra loro Adele, la corista della parrocchia. E suo papà. Li conoscevo bene...», prosegue monsignor Aguirre. Tra sabato e lunedì i fatti sono ulteriormente precipitati. Gli anti-Balaka sono riusciti a cacciare i Seleka. Alla fine, però, questi ultimi hanno avuto la meglio. «La loro vendetta è stata brutale. Hanno fatto irruzione nell’ospedale della Croce Rossa e hanno massacrato feriti e parenti in visita. Donne, uomini, bambini, anziani. Civili cristiani in gran parte, non si trattava di anti-Balaka. Li hanno sgozzati uno dopo l’altro. I testimoni mi hanno parlato di almeno cinquanta vittime. Ma potrebbero essere di più». Una strage che ha «profondamente addolorato» papa Francesco. Bergoglio ha ricordato l’episodio ieri, nell’Udienza generale, e ha rivolto un forte appello affinché si metta fine a «questi crimini vergognosi».
Tra i morti anche sei operatori della Croce Rossa, secondo quanto confermato dalla stessa organizzazione. «Li hanno massacrati sotto gli occhi della Minusca. E nessuno di loro ha alzato un dito per fermarli», prosegue monsignor Aguirre. La parrocchia di Gambao è stata saccheggiata. Ora, il pastore teme che un attacco nella vicina missione di Bema. «La tensione è altissima».
Monsignor Aguirre la vive sulla sua pelle. Dal 13 maggio, ospita nel seminario minore, nella Cattedrale e, perfino, nella sua casa, oltre 2mila islamici di Bangassou scampati a un massacro degli anti-Balaka. Questi ultimi li avevano accerchiati nella moschea ed erano pronti a trucidarli. Poi, sul posto è arrivato monsignor Aguirre insieme a due sacerdoti e al cardinale Dieudonné Nzapalainga. I quattro hanno fatto da scudi umani per portare in salvo gli ostaggi.
Dato che le loro casa erano state date alle fiamme, nelle strutture della missione è stato improvvisato un campo di accoglienza. «Non possono restare là, però. Non sono luoghi adeguati per contenere un così grande numero di persone: è urgente trovare una nuova sistemazione. Alcuni dormono sulle verande e, quando piove, devono rannicchiarsi per stare tutti sotto la tettoia. Molti sono pieni di rabbia. Tanto più che, da quando sono ricominciate le violenze, gli operatori umanitari incaricati di portare i viveri hanno cominciato a non venire. La gente ha fame. Io non so più dove trovare il cibo. Un gruppetto di giovani radicali – una quarantina di persone su un totale di più di duemila ospiti – soffia sul fuoco dell’esasperazione. Da tre settimane, hanno occupato la Cattedrale e mi impediscono di celebrare la Messa».
Fra due mesi ricomincerà la scuola e le lezioni si svolgono proprio nei locali occupati dagli sfollati. «I genitori non manderanno i figli da noi, se ci sono i profughi musulmani. Li identificano, a torto, con i Seleka. È quest’odio sordo e cieco, che si ammanta di etichette religiose, a preoccuparmi. E dire che fino a quattro anni fa, i rapporti tra le comunità erano fratermi...». Ora, invece, come ha detto il vice-segretario per gli Affari umanitari dell’Onu, Spephen O’Brien, in Centrafrica ci sono «segnali precursori di un genocidio». Per questo – ha sottolineato – è necessaria «un’azione immediata per contenere la crisi, prima che sia troppo tardi».
Nel frattempo, monsignor Aguirre continua a lavorare. Sotto un fuoco incrociato. I radicali musulmani lo attaccano in quanto cristiano. Gli anti-Balaka lo accusano di difendere gli islamici. «Risultato: anche l’altra notte hanno sparato contro il muro di casa. Le telefonate minatorie sono continue». Quando gli si chiede, dove trovi la forza di andare avanti, risponde: «Ieri, una sfollata islamica mi ha sorriso e mi ha chiesto scusa per i comportamenti aggressivi di alcuni dei suoi compagni. Mi ha detto: “Noi le vogliamo bene”. Non era la prima volta. Questi piccoli gesti mi ricordano che Dio cammina con noi. Anche nell’orrore del Centrafrica».
(Avvenire Lucia Capuzzi mercoledì 9 agosto 2017)
Ma la situazione è grave in molte altre regioni
Caos e violenza in Centrafrica: colpite anche comunità cristiane
Nonostante la tregua firmata a giugno a Roma, dall’inizio del mese di luglio sono almeno sessanta le persone rimaste uccise negli scontri nella Repubblica Centrafricana. Come ha ricordato Papa Francesco ad essere colpite sono anche le comunità cristiane. A Bangassou è stata attaccata la cattedrale mentre alla missione di Gambo, tre operatori della Croce Rossa e un’altra dozzina di persone sono state uccise dai gruppi armati. 24 morti a Batangafo, altre dieci vittime al confine con il Ciad e il Camerun. “Sono i primi segnali di un genocidio”, ha commentato Stephen O’Brain, segretario aggiunto per gli affari umanitari delle Nazioni Unite.
In un Paese in cui tre quarti del territorio sono fuori dal controllo dello Stato e dei caschi blu della missione delle Nazioni Unite, la situazione è talmente caotica che è difficile persino stabilire gli autori degli attacchi. Spiega il padre carmelitano scalzo Aurelio Gazzera, da oltre 25 anni in Centrafrica: “È complicato saperlo perché è soprattutto un gioco di potere tra varie bande. Ci sono le bande della ex-Seleka, che avevano attaccato e preso il potere nel 2013, vengono dall’Est, con molti elementi ciadiani e sudanesi, e al loro interno sono molto divise e si fanno la guerra tra loro. Ci sono poi le milizie non musulmane Anti-Balaka, anche quelle piuttosto divise e purtroppo sostenute da ex ministri, che continuano a fomentare tutto questo anche per poter avere poi un posto al tavolo delle trattative”.
Dalla visita del Papa del 2015, le elezioni di un nuovo presidente avevano lasciato presagire un percorso di stabilizzazione, che però sembra essere limitato solo alla capitale Bangui. “Dopo la visita del Papa le cose continuano ad evolvere abbastanza bene ma soprattutto nella capitale”, afferma ancora padre Aurelio. “Il fatto che Bangui sia abbastanza tranquilla mette il cuore in pace al governo e alla comunità internazionale, nel senso che non si preoccupano più di tanto di quello che succede fuori”.
La tregua di giugno, poi, siglata con l’intermediazione di S. Egidio, non ha ancora raccolto quanto sperato. “Gli accordi presentano molti punti di perplessità anche perché non si sa quanto fossero rappresentative le persone che li hanno firmati”, commenta padre Aurelio.
(09/08/2017 Radio Vaticana di Michele Raviart)