2017 04 05 Continua l’orrenda carneficina in Congo.
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Continua l’orrenda carneficina in Congo.
Il silenzio dei nostri mezzi di comunicazione è imbarazzante
Solo il Papa ha pregato all’Angelus (domenica 2 aprile) e poi ilfattoquotidiano.it (il 3 aprile) e Avvenire (il 4 aprile) hanno dedicato alcuni articoli.
Il dramma è della popolazione che viene massacrata dai miliziani che si contrappongono al presidente Kabila (che vuole mantenere il potere a tutti i costi) e l’esercito (che pure massacra incolpando chiunque di essere miliziano).
Il caos nella regione è culminato con il sequestro, il 12 marzo, di due esperti inviati dalla Nazioni Unite per investigare sulle fosse comuni. I corpi di Michael Sharp, 34 anni, statunitense, e Zaida Catalan, 36 anni, svedese di origine cilena, sono stati ritrovati una settimana fa, insieme a quello dell’interprete congolese Bete Tshintela. La svedese è stata decapitata. Un orrore che ha scosso tutte le più alte istituzioni e ha gettato un faro sui massacri in corso nel Kasai.
Ma intanto ogni notte è un incubo per la popolazione.
La chiesa cattolica cerca una mediazione per salvare il popolo, ma questo la rende un bersaglio.
CONGO RD - Nuovi assalti alle proprietà della Chiesa nel Kasai; il Papa “pregate per la pace nella RDC”
Nuovi assalti a strutture della Chiesa cattolica nel Kasai, la regione della Repubblica Democratica del Congo sconvolta dagli scontri tra i militari e i seguaci del defunto capo tradizionale Kamuina Nsapu.
Il 31 marzo un gruppo di miliziani ha assalito la città di Luebo, saccheggiando diversi edifici tra cui alcuni appartenenti alla Chiesa locale. “I miliziani hanno assalito, saccheggiato e bruciato l’episcopio, la cancelleria episcopale, hanno attaccato e incendiato gli uffici di coordinamento delle scuole cattoliche, i noviziati dove vengono formate le religiose, hanno profanato la cattedrale di San Giovanni. Si sono poi diretti a Lunkelu dove hanno saccheggiato il seminario propedeutico dove vengono formati i candidati sacerdoti” ha riferito don Charles Mukubayi, responsabile della Caritas diocesana di Luebo.
Don Mukubayi denuncia inoltre che “i preti sono stati costretti a fuggire nella foresta. Se escono da lì vengono uccisi”.
Tra gli altri edifici saccheggiati e incendiati dai miliziani vi sono la prigione e il palazzo di giustizia oltre alle sedi locali di alcune ONG.
A febbraio in diverse aree del Kasai erano stati assaliti edifici ecclesiastici, tra i quali il seminario maggiore di Malole di Kananga (vedi Fides 21/2/2017 e 24/2/2017).
Domenica 2 aprile, Papa Francesco all’Angelus aveva ricordato il dramma della Repubblica Democratica del Congo: “Continuano a giungere notizie di sanguinosi scontri armati nella regione del Kasai della Repubblica Democratica del Congo, scontri che stanno provocando vittime e sfollamenti e che colpiscono anche persone e proprietà della Chiesa: chiese, ospedali, scuole... Assicuro la mia vicinanza a questa nazione ed esorto tutti a pregare per la pace, affinché i cuori degli artefici di tali crimini non rimangano schiavi dell’odio e della violenza, perché sempre odio e violenza distruggono”. (L.M.) (Agenzia Fides 3/4/2017)
Vescovi del Congo: dialogo è unica via per uscire dalla crisi
L’accordo globale e inclusivo di San Silvestro rappresenta “la sola, realistica road map in grado di far uscire il Paese dalla crisi istituzionale. Purtroppo, la particolarità del piano destinato ad assicurare la messa in opera di tale accordo stenta a completarsi, mentre la popolazione attende con impazienza le elezioni”. Con queste parole mons. Marcel Utembi Tapa, presidente della Conferenza episcopale congolese (Cenco), ha ribadito la delusione dell’Episcopato per la nuova battuta di arresto del negoziato per l’applicazione dell’intesa raggiunta il 31 dicembre 2016 sulla formazione di un Governo di unità nazionale che porti finalmente il Paese alle elezioni presidenziali entro la fine del 2017.
La stessa opposizione divisa al suo interno
L’accordo, come è noto, prevede il mantenimento al potere del Presidente Joseph Kabila fino all’entrata in funzione del suo successore e alla formazione di un governo guidato da un membro dell’opposizione. I nodi sui quali si sono arenate le trattative, che hanno visto nuovamente riuniti il 27 marzo a Kinshasa rappresentanti del Governo e dell’opposizione, riguardano ancora le modalità di designazione del Premier, che deve essere dell’opposizione, e del Presidente del Consiglio di Monitoraggio dell’Accordo. Le divergenze dividono non solo maggioranza e opposizione, ma anche quest’ultima al suo interno.
La minaccia dei vescovi di ritirarsi dalla mediazione
Di fronte all’impasse i vescovi congolesi, in una dura nota diffusa martedì, hanno ventilato la possibilità di abbandonare i negoziati (vista la mancanza di un reale impegno dei negoziatori e il prevalere degli interessi di parte sul bene comune), ma mons. Utembi in una successiva dichiarazione ripresa dall’Osservatore Romano, ha lasciato intendere che per il momento essi resteranno al loro posto, disponibili a proseguire il loro ruolo di “facilitatori” di dialogo: “Abbiamo concluso un lavoro, ma siamo sempre pronti a ricominciarne un altro”, ha detto l’arcivescovo di Kisangani. (A cura di Lisa Zengarini)
(Radio Vaticana 01 04 2017)
Le notizie recenti per data:
01 04 2017
I Vescovi congolesi e il Nunzio a Kinshasa denunciano le violenze nel Grande Kasai
“Denunciamo e condanniamo ogni forma di violenza contro le vite umane e le strutture pubbliche e private” afferma un comunicato firmato da Mons. Marcel Utembi Tapa, Arcivescovo di Kisangani e Presidente della CENCO (Conferenza Episcopale Nazionale Congolese), da Mons. Madila Basanguka, Arcivescovo di Kananga, e da Mons. Luis Mariano Montemayor, Nunzio Apostolico nella Repubblica Democratica del Congo, nel quale si denunciano le violenze commesse nel Grande Kasai, dove le forze dell’ordine si scontrano con i miliziani del defunto leader tradizionale Kamuina Nsapu (vedi Fides 15/3/2017).
“Da oltre un anno- afferma il documento pervenuto all’Agenzia Fides- i sanguinosi scontri tra militari e miliziani di Kamuina Nsapu provocano conseguenze spaventose e insopportabili”.
Si lamentano l’uccisione di poliziotti e di molti civili, tra cui i due esperti della Nazioni Unite, l’americano Michael Sharp e la svedese Zaida Catalan, e del loro interprete congolese (vedi Fides 29/3/2017).
L’insicurezza ha creato uno spostamento massiccio di popolazioni verso le foreste o verso i centri urbani principali della regione. “Le popolazioni vivono in un’insostenibile precarietà umanitaria e alimentare. Alcune parrocchie sono quasi del tutto svuotate e abbandonate, in particolare nelle diocesi di Luiza, di Luebo e di Mbuijmayi” afferma il documento che denuncia “le recenti uccisioni di civili nel corso di perquisizioni, casa per casa, a Nganza e a Katoka II nell’arcidiocesi di Kananga”.
La CENCO, la Nunziatura Apostolica e l’Arcivescovo di Kananga chiedono la fine del reclutamento di giovani e bambini, degli assassini di civili da parte degli insorti, delle esecuzioni sommarie di cittadini innocenti, e fanno appello alla forze dell’ordine perché facciano un uso proporzionato della forza.
I firmatari chiedono al governo di rilanciare con urgenza il negoziato per trovare una soluzione politica alla crisi socio-politica e umanitaria che sconvolge la regione, e allo stesso tempo invocano azioni concrete per identificare rapidamente gli autori dei crimini attraverso un’inchiesta indipendente e obiettiva. (L.M.) (Agenzia Fides 1/4/2017)
29 02 2017
Trovati i corpi dei due esperti ONU rapiti nel Kasai centrale
Kinshasa (Agenzia Fides)- Sono stati ritrovati i corpi senza vita dei due esperti della Commissione ONU incaricata di indagare sulle violenze in corso nel Kasai, nella Repubblica Democratica del Congo.
I due, l’americano Michael Sharp e la svedese Zaida Catalan, erano stati sequestrati il 12 marzo sulla strada Bukonde-Tshimbulu sul ponte Moyo, nei pressi del villaggio Ngombe, nel Kasai Centrale, regione sconvolta dagli scontri tra i militari e i seguaci del defunto capo tradizionale Kamuina Nsapu (vedi Fides 15/3/2017). Secondo un portavoce del governo, Zaida Catalan è stata decapitata.
Nella stessa regione 39 poliziotti erano stati decapitati dopo essere caduti in un’imboscata stradale tesa dai seguaci di Kamuina Nsapu (vedi Fides 27/3/2017).
La scoperta dei corpi degli esperti dell’ONU avviene mentre al Palazzo di Vetro si sta dibattendo il rinnovo della Missione delle Nazioni Unite nella RDC (MONUSCO). In un comunicato inviato all’Agenzia Fides, l’ONG congolese CEPADHO sottolinea che in questa fase di debolezza delle istituzioni nazionali e di instabilità in diverse aree del Paese, è opportuno che le truppe ONU rimangano. Il CEPADHO sottolinea però che il grosso del contingente della MINUSCO sia ritirato in modo progressivo mentre sia invece potenziata la Brigata d’Intervento Rapido, un’unità particolarmente efficace nel contrastare le milizie e gli altri gruppi armati che infestano diverse aree della RDC. Tra questi il CEPADHO ricorda l’ADF di origine ugandese, le FDLR di origine rwandese e i gruppi Mayi Mayi presenti nel Nord Kivu (dove è riapparso pure l’M23, movimento che aveva deposto le armi alcuni anni fa), la milizia di Kamuina Nsapu nel Kasai Centrale, mentre la provincia del Tanganyi ka è in preda a scontri inter-etnici.
La crisi politica con il mancato accordo per l’attuazione delle intese di San Silvestro (vedi Fides 28/3/2017) non fa che accentuare l’instabilità del Paese. (L.M.) (Agenzia Fides 29/3/2017)
27/3/2017
Nuovi massacri nel Kasai; sotto accusa i militari, non solo i miliziani di Kamuina Nsapu
Kinshasa (Agenzia Fides) - Una quarantina di poliziotti sono stati decapitati dopo essere caduti in un agguato teso dai miliziani del defunto capo tradizionale Kamuina Nsapu. L’agguato risale al 24 marzo ed è stato perpetrato contro un convoglio di membri delle forze dell’ordine lungo la strada tra le città di Tshikapa e Kananga, nella provincia del Kasai Centrale. I miliziani hanno decapitato 42 poliziotti ma ne hanno liberati sei che parlavano la lingua locale, lo Tshiluba.
Il nuovo massacro si aggiunge alle continue scoperte di fosse comuni dove sono state sepolte le vittime di uccisioni di massa di civili, tra cui donne e bambini.
Secondo la commissione di esperti dell’ONU che sta indagando sui crimini contro l’umanità commessi nella Repubblica Democratica del Congo, i massacri nel Kasai vanno oltre il conflitto che oppone le forze dell’ordine ai miliziani del defunto capo tradizionale Kamuina Nsapu. Alcune delle fosse comuni finora scoperte si trovano in aree dove non sono presenti i miliziani di Kamuina Nsapu.
La Commissione dei Diritti Umani dell’ONU ha recensito circa dodici fosse comuni tra il Kasai Centrale, dove sono attivi i miliziani di Kamuina Nsapu, e il Kasai orientale. In precedenza Radio France International (RFI) e la Reuters avevano riferito della scoperta di altre otto fosse comuni. Secondo la Commissione delle Nazioni Unite le vittime sepolte nelle fosse comuni sono state uccise in un modo atroce.
A metà marzo due componenti della commissione di esperti dell’ONU, l’americano Michael Sharp e la svedese Zahida Katalan, sono stati rapiti nel Kasai Centrale e di loro al momento si sono perse le tracce (vedi Fides 15/3/2017).
Le testimonianze raccolte sul posto accusano i militari delle forze armate congolesi (FARDC) di aver sterminato i presunti fiancheggiatori dei miliziani. Ma il sospetto è che i massacri derivino non solo da una pessima gestione di un conflitto con un capo tradizionale (che era stato ucciso ad agosto dalla polizia), ma dalle tensioni politiche legate al mancato svolgimento delle elezioni presidenziali nel dicembre 2016. Le trattative per attuare gli accordi di San Silvestro, volti a creare un governo di unità nazionale che porti il Paese alle elezioni entro l’anno, non si sono ancora concluse, mentre cresce la tensione tra la popolazione. (L.M.) (Agenzia Fides 27/3/2017)
Ilfattoquotidiano.it (3 aprile) ha raccolto la testimonianza di un volontario italiano che proprio in queste ore è su un volo che lo riporta a casa. L’uomo (che chiede di restare anonimo per motivi di sicurezza) era in missione con la famiglia per conto del COE (il Centro di Orientamento Educativo), associazione che gestisce un ospedale a Tshimbulu, proprio la zona epicentro degli scontri. E nel mezzo alle violenze si sono ritrovati anche loro. “Il secondo giorno di scontri in città”, racconta, “abbiamo ricevuto la visita dei miliziani che hanno cercato di entrare in casa, hanno cercato di forzare le porte, ma le avevamo blindate. Li ho visti dalla finestra, erano una trentina, con loro diversi bambini di meno di dieci anni”. E prosegue: “Il giorno successivo il colonnello della polizia e un colonnello dell’esercito sono venuti per accompagnarci a Kananga (il capoluogo di provincia), su un camion militare con a bordo un capitano, il colonnello dell’esercito e numerosi militari di scorta. Nel viaggio siamo stati bersaglio dei tiri dei fucili tradizionali dei miliziani per almeno 40 km. I militari hanno risposto al fuoco con migliaia di colpi e cinque di loro sono stati feriti. Gli ufficiali che erano in cabina con noi ci hanno assicurato che i colpi non potevano entrare in cabina perché blindata. Siamo rimasti a Kananga tre notti, poi ci hanno accompagnati all’aeroporto da dove siamo partiti per la capitale Kinshasa. Durante i due giorni di permanenza a Kananga, la città è stata attaccata due volte con decine di vittime. Potevamo essere uccisi tutti, sarebbe bastato che i miliziani avessero sbarrato la pista con un grosso tronco e ci avrebbero sterminati.”
Le origini del conflitto
Per comprendere ciò che sta accadendo nell’est della Repubblica Democratica del Congo occorre fare un passo indietro e mettere a fuoco principalmente tre questioni:
il ruolo del presidente Kabila, le ingerenze di Rwanda e Uganda e gli interessi energetici ed economici in gioco.
Il presidente Kabila è al potere dal 2001 dopo l’assassinio del padre Laurent-Désiré Kabila. Questi nel 1997, tra le due guerre del Congo del 1996-97 e del 1998-2003, con l’appoggio del Rwanda di Paule Kagame aveva deposto il presidente di allora Mobutu Sese Seko archiviando di fatto la storia dello Zaire.
Da allora l’ombra di Kagame non ha però più abbandonato la Repubblica Democratica del Congo. In questi anni Kagame è stato infatti accusato più volte dalla comunità internazionale di sostenere economicamente e militarmente vari gruppi ribelli, compreso il movimento M23, che nell’aprile del 2012 si era rivoltato contro il governo centrale di Kinshasa occupando la regione del Kivu per protestare contro l’emarginazione della minoranza etnica Tutsi e rivendicare l’equa distribuzione dei profitti derivati dallo sfruttamento delle importanti risorse minerarie del Paese.
Nella Repubblica Democratica del Congo – ed è questa la terza questione da mettere a fuoco – sono presenti centinaia di miniere di oro, diamanti, stagno, cobalto, rame, bauxite e, soprattutto, ingenti quantità di minerali tra cui il coltan, combinazione di columbite e tantalite, essenziale per il business dell’industria elettronica globale poiché consente il risparmio di corrente elettrica nei chip di smartphone, videocamere e computer portatili.
È su questa enorme ricchezza che convergono gli interessi di chi oggi sta mettendo a ferro e fuoco la regione del Kivu. Nonostante abbia risolto in parte il problema dell’M23 (il movimento è stato neutralizzato alla fine del 2013 a seguito di un massiccio intervento delle forze MONUSCO ma buona parte dei suoi miliziani non sono stati integrati nell’esercito regolare), Kabhila ha molti altri nemici da fronteggiare, comprese le opposizioni interne che spingono per ottenere nuove elezioni presidenziali e politiche entro il prossimo novembre. Il presidente sembra però intenzionato a continuare a governare nonostante la Costituzione gli impedisca di correre per un terzo mandato consecutivo.
Se non arriverà in tempi brevi un segnale forte dalla comunità internazionale, che finora ha chiuso più volte un occhio sulla condotta di Kabhila, per la Repubblica Democratica del Congo si prevede una lunga estate di tensioni. E violenze e soprusi continueranno a dilagare nella disperata regione del Kivu.
Il caos nella regione è culminato con il sequestro, il 12 marzo, di due esperti inviati dalla Nazioni Unite per investigare sulle fosse comuni. I corpi di Michael Sharp, 34 anni, statunitense, e Zaida Catalan, 36 anni, svedese di origine cilena, sono stati ritrovati una settimana fa, insieme a quello dell’interprete congolese Bete Tshintela. La svedese è stata decapitata. Un orrore che ha scosso tutte le più alte istituzioni e ha gettato un faro sui massacri in corso nel Kasai. Sono seguite prese di posizione ufficiali da parte delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti, anche del procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja. Il 2 aprile anche il viceministro degli esteri italiano, Mario Giro, ha diffuso un comunicato molto preoccupato sull’aggravarsi della situazione in RDC. E il Papa, durante la visita a Carpi, ha ricordato il travagliato Paese.