2017 03 08 Videomessaggio del Papa per i cristiani perseguitati EGITTO Cristiani in fuga dal Sinai CONGO i vescovi ANNIVERSARIO Pakistan sei anni Shahbaz Bhatti
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Videomessaggio del Papa per i cristiani perseguitati
L’invito di Papa Francesco è “aiutare i cristiani perseguitati”, cattolici, ortodossi, protestanti. È stato pubblicato il 2 marzo 2017, il videomessaggio per l’intenzione di preghiera del mese corrente, dedicata alle tante persone “perseguitate a motivo della loro fede, costrette ad abbandonare le loro case, i loro luoghi di culto, le loro terre, i loro affetti”.
Francesco rammenta che queste persone “vengono perseguitate e uccise perché cristiani, senza fare distinzione, da parte dei persecutori, tra le confessioni a cui appartengono”.
Quindi, fa una domanda: “Quanti di voi pregano per i cristiani che sono perseguitati?”. E incoraggia a farlo con lui, “perché sperimentino il sostegno di tutte le Chiese e comunità nella preghiera e attraverso l’aiuto materiale”.
Nel videomessaggio – come ricorda la Radio Vaticana – si vedono cristiani delle varie confessioni, chiese distrutte, fedeli di tutte le razze in preghiera. Infine viene mostrata l’immagine di persone che aiutano in modo concreto chi è vessato per la sua fede.
Il video è stato prodotto dal pontificio Worldwide Prayer Network e sostenuto dalla Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre. Secondo l’ultima edizione del Rapporto Acs sulla Libertà Religiosa, i cristiani sono la comunità più perseguitata al mondo. Il fondamentale diritto umano alla libertà religiosa è seriamente minacciato in 38 nazioni, e in 23 di esse vi è persecuzione vera e propria.
EGITTO - Cristiani in fuga dal Sinai. Vescovo Giza: “E’ atroce, aiutateci!”
Continua il dramma di centinaia di cittadini egiziani di confessione cristiana copta che stanno abbandonando sempre più in fretta al Arish, capoluogo del governatorato del Sinai del Nord a causa della violenza islamista. Famiglie intere sorprese in casa e sterminate. Chi riesce, raggiunge Ismailia, Alessandria o Il Cairo e trova l’accoglienza della Chiesa e delle istituzioni locali. Molti osservatori temono cha questa persecuzione crei emulazioni e quindi si allarghi a tutto il Paese. Proprio ieri il Papa aveva lanciato un appello ad aiutare i cristiani perseguitati. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Uccisi e dati alle fiamme nel Sinai Nord-orientale, in Egitto, assassinati dalla branca locale dello Stato islamico che da tre anni è attiva nella regione. E’ questa la realtà dei cristiani copti e di altre minoranze. Dopo aver colpito poliziotti e militari, ora l’attenzione è per loro, ma in realtà il progetto degli isalmisti è più ampio, secondo analisti e testimoni, come il vescovo copto cattolico di Giza, mons. Antonios Aziz Mina:
“Fanno questi attentati contro tutti, non solo contro i cristiani; ma loro lo fanno per destabilizzare il Paese, per mettere il Paese in difficoltà, per metterlo in ginocchio. E soprattutto, per allontanare i turisti perché sanno benissimo che l’economia del Paese conta sul turismo”.
Due le radici di quanto accade, anche nelle parole del prof. Renzo Guolo, docente di Sociologia dell’Islam all’Università di Pavia: ostilità anti cristiana e indebolimento del governo che, in questa area, cruciale per il Medio Oriente, sta mostrando tutta la sua debolezza:
“Sono ormai anni che tutti i gruppi radicali egiziani o dell’area si sono concentrati nel Sinai, che è diventato una sorta di santuario proprio perché gli accordi di pace con Israele hanno di fatto imposto una sorta di smilitarizzazione. Di questa sorta di vuoto politico e militare, formazioni prima jihadiste – in particolare Ansar Beit al-Maqdis – hanno preso di fatto il controllo; tendono a imporre quella sorta di pulizia religiosa in modo tale da far piazza pulita intorno a quello che si considera un’area di proprio ed esclusivo dominio”.
“Preda preferita, così il gruppo Isis-Sinai chiama oggi i cristiani e segna le loro case con la “N” di nazareni. “Arrivano spaventati e noi facciamo di tutto per accoglierli”: così da Alessandria parla il vescovo armeno cattolico, mons. Krikor Koussa:
“Ci sono bambini, giovani, anziani: tutti hanno paura che facciano loro qualcosa, come hanno fatto in Iraq, in Siria. Non hanno adesso né una casa né cibo; noi accogliamo tutti per l’amore di Dio e soprattutto durante questo periodo di Quaresima dove è necessario che l’uno serva l’altro perchè questo è l’insegnamento di Cristo”.
“La violenza a cui stiamo assistendo è atroce”, non è da “esseri umani”. Ha la voce piena di dolore mons. Antonios Aziz Mina, che dice: “Ancora di più in questo momento abbiamo bisogno”, come ha fatto sapere il Papa nelle intenzioni di preghiera di marzo, dell’aiuto materiale ma anche delle preghiere di tutti. Basta con questa “cultura dell’odio”:
“Dobbiamo ritornare alla vita cristiana e all’amore per la carità. Dobbiamo propagare sempre questo annuncio del Vangelo e dell’amore cristiano”.
Il Nord del Sinai si svuoterà di cristiani? Non è dato di sapere se la sorte sarà quella già toccata alla Siria o all’Iraq; di certo sarà il governo egiziano a dover agire. Ancora il professor Renzo Guolo:
“In qualche modo dovrà cercare di reprimere questo contesto islamista radicale e al contempo di parlare con Israele perché è evidente che ormai per questo compito le forze che sono state dislocate non sono più sufficienti per andare a controllare interamente il suo territorio; in qualche modo dovrà cercare di proteggere la grande comunità copta egiziana, che è parte integrante della storia e del pluralismo religioso esistente sul terreno egiziano”.
(Radio Vaticana 03 03 2017)
CONGO - i vescovi: no al blocco dell’Accordo di San Silvestro
I vescovi della Repubblica Democratica del Congo sono preoccupati per la grave situazione che sta vivendo il Paese, nell’ambito socio-politico, per la mancata attuazione dell’Accordo di San Silvestro e per il moltiplicarsi di episodi di violenza che stanno diffondendo tanta insicurezza. In un documento firmato al termine dell’Assemblea plenaria straordinaria tenutasi a Kinshasa dal 20 al 25 febbraio, dal titolo “No al blocco! Di fronte alle tribolazioni del momento: abbiate coraggio, perché Cristo ha vinto il mondo”, i presuli descrivono il clima di divergenze nella classe politica e una recrudescenza delle tensioni che potrebbero condurre la nazione nel caos.
I punti dell’Accordo di San Silvestro ancora in discussione
L’Accordo politico globale e inclusivo per il processo elettorale è fermo sulla modalità di designazione del primo ministro - per la quale i vescovi esortano ad un dialogo franco, basato sulla buona fede e la fiducia reciproca tra maggioranza presidenziale e coalizione (le due parti attualmente protagoniste dello scenario politico) - e sulla ripartizione dei portafogli ministeriali. In questo clima la tensione sta crescendo, mentre si registrano minacce e violenze, frutto di manipolazioni contro la Chiesa cattolica per ragioni sconosciute.
La missione dei vescovi nel processo elettorale del Paese
Per tale motivo la Conferenza episcopale ribadisce che la sua missione nell’ambito della crisi elettorale “consiste nell’offrire agli attori politici e sociali un quadro propizio alle concertazioni e nell’esortarli a trovare un consenso privilegiando gli interessi della popolazione e il bene superiore della Repubblica”. “La Cenco - scrivono i vescovi - non gioca che un ruolo di mediazione, non le si può attribuire la responsabilità del blocco. Tuttavia, fedele alla sua missione profetica, è decisa ad accompagnare il popolo congolese nell’attuazione dell’Accordo di San Silvestro”.
Gli scontri e i disordini
E sono profondamente addolorati, poi, i presuli per i ripetuti massacri nel Nord-Kivu - attribuiti a presunti ribelli Adf/Nalu - e gli attacchi contro gruppi etnici; per i sanguinosi scontri tra Bantu e Batwa nel Tanganyika, dove la popolazione è stata forzata ad abbandonare le proprie terre; per le ripetute incursioni, nel Kasaï, di milizie che si dichiarano a sostegno di Kamwina Nsapu seminando panico e desolazione; per il fenomeno mistico-politico Bundu dia Mayala nel Kongo-Central, alla base di scontri mortali; per gli atti di vandalismo e le uccisioni durante le manifestazioni a Kinshasa.
Si teme un piano di balcanizzazione del Paese
I vescovi temono un piano di balcanizzazione del Paese e deplorano lo sfruttamento dei minori, arruolati nelle milizie e uccisi dalle forze dell’ordine. Manca, poi, l’assistenza umanitaria, si rischia la fame e si registrano ingenti danni materiali in diverse città. Tutto ciò, spiegano i vescovi nel loro documento, è dovuto ad un deficit nella gestione amministrativa dello Stato, che favorisce l’impunità, la politicizzazione, la strumentalizzazione del potere tradizionale e la porosità dei confini del Paese e a manipolazioni della popolazione, sullo sfondo di scissioni identitarie o politiche.
I vescovi condannano ogni forma di violenza
“Denunciamo e condanniamo fermamente - rimarcano i presuli - ogni violenza. La vita umana è sacra e inviolabile. Deve essere protetta e rispettata a tutti i costi. Condanniamo particolarmente gli attacchi orchestrati contro gli ecclesiastici e le infrastrutture della Chiesa cattolica”. Da qui l’appello della Conferenza episcopale al presidente della Repubblica Joseph Kabila perché venga applicato l’Accordo di San Silvestro e perché venga garantita la sicurezza in tutto il territorio nazionale; alla maggioranza presidenziale, all’opposizione e alla società civile a non bloccare l’applicazione dell’Accordo; alla Ceni (Commissione elettorale nazionale indipendente) ad organizzare le elezioni nel periodo concordato; ai media a contribuire alla coesione nazionale e ad informare obiettivamente e correttamente. Non manca, infine, l’invito ai giovani ad interessarsi dell’Accordo di San Silvestro e ad usare responsabilmente i social network, alla comunità internazionale a sostenere il processo elettorale nella Repubblica Democratica del Congo e ai fedeli a pregare per la pace e a compiere gesti di misericordia durante il periodo preelettorale. Per queste ultime intenzioni i vescovi, il 26 marzo, quarta domenica di Quaresima, celebreranno una Messa nelle proprie diocesi. (A cura di Tiziana Campisi – Radio Vaticana)
ANNIVERSARIO
Pakistan- sei anni fa l’uccisione di Shahbaz Bhatti
Il 2 marzo di sei anni fa il Pakistan perdeva, per mano dell’estremismo islamico, il ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti. Uomo di profonda fede cattolica, ma anche politico di grande respiro, che della difesa dei più deboli aveva fatto uno stile di vita, ha lasciato una cruciale eredità per il cammino dei diritti umani e civili, ma nel Paese resta ancora molta strada da fare, soprattutto sul fronte della legge sulla blasfemia, come sulla difesa delle minoranze. Paola Simonetti:
Un ideale di vita e politica che “non era una semplice idea, seppure nobile ed elevata. Era ciò che i cristiani hanno di più caro, ovvero Cristo stesso”. Così Shahbaz Bhatti, ministro per le e minoranze del Pakistan, ucciso ad Islamabad il 2 marzo del 2011 ad opera di estremisti islamici, descriveva il suo cammino di battaglia per i più deboli, per gli ultimi del suo Paese. Una battaglia che, per sua stessa ammissione, non aveva mai voluto abbandonare, persino a rischio della sua vita: “Voglio servire Gesù – ribadiva – da uomo comune”. Un profilo umano e politico, il suo, a cui il fratello, Paul Bhatti, ha voluto rendere omaggio di recente con la pubblicazione del libro “Shahbaz. La voce della giustizia”, edito da San Paolo. Pagine - scrive il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nella sua prefazione al libro - “scritte con le lacrime agli occhi e con un velo di amarezza, mitigate però dalla certezza che la fede di Shahbaz non è mai venuta meno”. Ma il pensiero e la voce di Bhatti, secondo Mobeen Shahid, professore del pensiero e religione islamica alla Pontificia Università Lateranense, sono stati carichi anche di qualcosa di più:
“Io da cattolico e amico, l’ho conosciuto da vicino, penso che sia appropriato considerare Shahbaz Bhatti come voce della speranza, in quanto il suo esempio – come ripreso anche nella prefazione del cardinale Parolin – nel suo servizio in politica ha dato la possibilità alle minoranze religiose di sperare ancora un’altra volta nel Pakistan, che è la loro Nazione”.
Un’eredità, quella di Shahbaz Bhatti, tuttavia molto concreta anche sul fronte strettamente politico, che ha fornito al Pakistan strumenti importanti sul fronte dei diritti civili, come spiega ancora Shahid:
“Non ha solamente dato possibilità di rappresentanza alle minoranze religiose con quattro seggi al Senato, ma ha lavorato anche per aumentare il numero dei parlamentari nei Parlamenti regionali da cui si ‘selezionano’ i senatori. Questa è una rappresentanza che mancava. Poi ha dato spazio anche ai luoghi di preghiera per i prigionieri non musulmani nelle prigioni statali e quando fu nominato presidente della Commissione per la revisione della blasfemia si è impegnato per vedere non solo il bene delle minoranze religiose, ma ha cercato di mettere in evidenza anche le ingiustizie vissute dai cittadini di fede islamica del Pakistan!”.
Ma nel Paese resta il grande nodo della dura legge sulla blasfemia, composta dagli articoli del Codice penale che puniscono con l’ergastolo o la pena di morte il vilipendio all’Islam. Tentativi di revisione sono in atto, ma il cammino sembra esser ancora molto lungo.
(Radio Vaticana 02 03 2017)