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2017 02 22 Orrore in CONGO Pakistan cristiani vicini ai sufi dopo l’attentato al santuario FRANCIA varata “legge bavaglio” contro siti in difesa della vita

Fonte:
CulturaCattolica.it

Orrore in CONGO

Ho visto filmati raccapriccianti girati con il telefono da componenti di bande armate mentre sparavano a donne e bambini e poi si divertivano a filmare gli ultimi attimi di vita o, ad alcuni, sparavano in testa.
Ho visto le foto che mi hanno inviato della distruzione di un orfanotrofio dove le milizie si sono presentate per “prendere” i bambini e hanno massacrato gli adulti che si opponevano.
Ho visto dolore e sangue, le Ostie buttate per terra e la statua della Madre di Dio distrutta, la povera gente che con le suore e i preti è scappata nella foresta per non essere uccisa.
Ma intorno a noi, al Papa, alla chiesa che prega c’è il buio di chi non vuol vedere.
La Chiesa che vive in Congo è presa di mira perché difende il popolo tra
i gruppi armati e l’esercito congolese.

Riportiamo di seguito il testo completo delle parole pronunciate da Papa Francesco domenica 19 febbraio 2017, al termine dell’Angelus.

Cari fratelli e sorelle, continuano purtroppo a giungere notizie di scontri violenti e brutali nella regione del Kasai Centrale della Repubblica Democratica del Congo.
Sento forte il dolore per le vittime, specialmente per tanti bambini strappati alle famiglie e alla scuola per essere usati come soldati.
Questa è una tragedia, i bambini soldati. Assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera, anche per il personale religioso e umanitario che opera in quella difficile regione; e rinnovo un accorato appello alla coscienza e alla responsabilità delle Autorità nazionali e della Comunità internazionale, affinché si prendano decisioni adeguate e tempestive per soccorrere questi nostri fratelli e sorelle. Preghiamo per loro e per tutte le popolazioni che anche in altre parti del Continente africano e del mondo soffrono a causa della violenza e della guerra. Penso, in particolare, alle care popolazioni del Pakistan e dell’Iraq, colpito da crudeli atti terroristici nei giorni scorsi. Preghiamo per le vittime, per i feriti e i familiari. Preghiamo ardentemente che ogni cuore indurito dall’odio si converta alla pace, secondo la volontà di Dio. Preghiamo un attimo in silenzio. [Ave Maria…]

CONGO RD - Atti vandalici contro la Chiesa: la denuncia del Card. Monsengwo
“C’è una recrudescenza di paura, di collera, di incertezza” afferma il Card. Laurent Monsengwo Pasinya, Arcivescovo di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, in un messaggio inviato all’Agenzia Fides nel quale denuncia le aggressioni contro la Chiesa avvenute negli ultimi giorni.
“Abbiamo appreso con indignazione, sabato 18 febbraio, dell’incendio di una parte del Seminario maggiore di Malole da parte di incivili che hanno in seguito seminato il terrore presso le vicine suore carmelitane a Kananga “ scrive il Cardinale, che ricorda pure le manifestazioni avvenute in tre occasioni (7, 10 e 11 febbraio) di fronte all’Arcivescovado di Kinshasa, da parte di gruppi di giovani che “hanno creato un clima di panico”.
A questi episodi è seguita la profanazione della parrocchia San Domenico di Limete da parte di una “ventina di giovani malintenzionati” che hanno “rovesciato il tabernacolo, saccheggiato l’altare, rotto le panche, fino a cercare d’incendiare la chiesa. La comunità dei Padri Oblati non è stata risparmiata”.
Il Card. Monsengwo mette in relazione questi fatti con il tentativo della Conferenza Episcopale congolese (CENCO) di mediare nell’attuazione degli accordi di San Silvestro e di trovare un Primo Ministro che guidi un governo di unità nazionale come previsto dalle intese.
“La CENCO ha solo un ruolo di mediatore” ricorda il Cardinale. “I politici devono riconoscere con umiltà che sono le loro velleità politiche a portare all’impasse e al blocco delle istituzioni. Ne assumeranno la responsabilità di fronte alla storia”.
Dopo aver sollecitato le autorità a proteggere i beni della Chiesa da eventuali nuovi atti vandalici, il Cardinale conclude ricordando Etienne Tshisekedi, lo storico leader dell’opposizione morto di recente che ha combattuto fino all’ultimo per dare alla RDC “la pace nella giustizia”.
(Agenzia Fides 21/2/2017)

La ragione politica della violenza in atto in Congo
A fine novembre 2016 nel paese si sarebbero dovute svolgere le elezioni presidenziali. Ma il capo di stato in carica, Joseph Kabila, che non si può ricandidare avendo già ricoperto i due mandati previsti dalla costituzione, ne ha impedito lo svolgimento con la complicità della Commissione elettorale secondo cui un irrecuperabile ritardo nella compilazione del registro degli aventi diritto al voto e problemi di bilancio costringevano a rimandare le presidenziali al 2018. Dopo giorni di proteste e di scontri tra opposizione e forze dell’ordine, con decine di morti tra i dimostranti, il governo e alcuni partiti di minoranza si sono poi accordati per andare alle urne entro il 2017.

Ma il giovane Kabila non ha intenzione di rinunciare al potere, per questo prende tempo, per trovare una soluzione. Ha solo 45 anni e uno stuolo di parenti che devono a lui il fatto di controllare innumerevoli fiorenti imprese, controllo che potrebbero perdere con un nuovo presidente che a sua volta dovrà far spazio per parenti e sostenitori. La famiglia Kabila risulta titolare di oltre 120 permessi di sfruttamento di miniere di oro, rame, cobalto e diamanti, possiede o detiene azioni e quote di banche, aziende agricole, distributori di carburante, compagnie aeree, imprese di costruzione, alberghi, ditte fornitrici di prodotti farmaceutici, agenzie di viaggio, negozi, locali notturni...

Così il 16 febbraio, per bocca del ministro del tesoro Pierre Kangudia, Kabila ha fatto sapere che, nonostante l’impegno preso, “purtroppo” non sarà possibile votare entro il 2017. Le elezioni presidenziali – ha detto il ministro – costeranno 1,8 miliardi di dollari e il Congo non è in grado di spendere una cifra del genere. Qualcuno ricorderà che anche il padre di Joseph Kabila, Laurent Désiré, dopo aver conquistato il potere con le armi nel 1997, aveva rifiutato di far votare i propri connazionali. A una accigliatissima Madeleine Albright, allora segretario di Stato Usa, che gli chiedeva conto del processo democratico promesso e mai iniziato, aveva risposto ridendo che la democrazia costa: “mandateci del denaro e poi ne riparliamo”. Subito dopo se ne era andato esclamando: “comunque, non ho forse ribattezzato lo Zaire Repubblica democratica del Congo? E dunque, viva la democrazia!” (Anna Bono LNBQ 21 02 2017)

GLI AUTORI di violenze eccezionali e atrocità inimmaginabili nei confronti della popolazione
I miliziani di Kamwina Nsapu hanno saccheggiato il seminario maggiore di Malole di Kananga, nel Kasai Centrale, nella Repubblica Democratica del Congo, provincia congolese da mesi sconvolta dalle violenze dei seguaci del defunto leader tradizionale Kamwina Nsapu, ucciso ad agosto dalle forze di sicurezza
In un comunicato inviato all’agenzia Fides, il vescovo di Luiza, mons. Félicien Mwanama Galumbulula, aveva denunciato “violenze eccezionali e atrocità inimmaginabili nei confronti della popolazione”, commesse dai miliziani di Kamwina Nsapu in diverse località della sua diocesi del Kasai Centrale

ED ANCHE

Decapitati 25 civili Hutu
25 civili di etnia Hutu sono stati decapitati ad opera delle milizie Mai-Mai Mazembe di etnia Nende nel villaggio di Kyaghala, nella turbolenta provincia congolese del Nord Kivu. A riferirlo è il rappresentante locale del governo di Kinshasa.
Le violenze e la preghiera del Papa
Le vittime si vanno ad aggiungere ai circa cento morti dei giorni scorsi che si contano in varie aree del Paese. (Radio Vaticana 19 02 2017)

Guerra in Congo, un missionario: è lotta anche per le risorse naturali
L’appello per la pace all’Angelus domenicale di Papa Francesco, pone l’attenzione sulla Repubblica Democratica del Congo. Dalla regione del Kasai Centrale continuano a giungere notizie di scontri brutali. Ma anche altre regioni congolesi sono colpite da violenze continue. In questa situazione la Chiesa è fortemente impegnata per riportare la stabilità nel Paese africano.
Giancarlo La Vella ne ha parlato con padre Loris Cattani, missionario saveriano, membro della Rete “Pace per il Congo”:

R. – La Conferenza episcopale è impegnata in una missione di mediazione tra l’opposizione e la maggioranza presidenziale, per portare a compimento l’accordo firmato il 31 dicembre dello scorso anno.

D. - La Repubblica Democratica del Congo rimane purtroppo terreno di confronto armato. Ci sono vari gruppi militari che operano in varie zone...

R. - Soprattutto per la questione del Kasai, che vede in contrasto le forze armate ed un gruppo armato, la soluzione non è tanto di tipo militare, quanto politico; nel senso che si tratta di una rivendicazione di un capo tradizionale. In ballo ci sono questioni di successione a capo del potere tradizionale, che vanno risolte col dialogo.

D. - Dietro questa serie di microconflitti, c’è anche il controllo del territorio, un territorio che è ricco di materie prime?

R. - Questo fenomeno si manifesta soprattutto nell’Est. È normale che si lotti per il controllo di un territorio ricco di risorse naturali, però queste risorse naturali vanno gestite dall’amministrazione. C’è un codice minerario che regola l’attività mineraria. Quindi si tratta di farlo applicare. Bisogna ripristinare l’autorità dello Stato sul territorio. Se non c’è un’autorità efficiente, è chiaro che si lascia libero spazio alle rivalità dei vari gruppi armati per impossessarsi, appunto, di un territorio in vista dello sfruttamento delle risorse naturali che si trovano in quel territorio.

D. - In questa situazione così instabile, in quali condizioni si trova la popolazione civile?

R. - La popolazione civile si trova tra due fuochi: i gruppi armati e l’esercito congolese. Quindi praticamente è proprio la popolazione civile che ne fa le spese, in quanto si vede poi costretta a fuggire, per evitare di essere vittima di uno scontro tra esercito e gruppo armato.
Pakistan - cristiani vicini ai sufi dopo l’attentato al santuario
Giro di vite in Pakistan dopo la strage di giovedì scorso nel Santuario sufi a Sehwan, nella provincia del Sindh, costata la vita ad almeno 80 persone, tra le quali 20 bambini. L’attacco è stato rivendicato dal sedicente Stato islamico. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Le Forze armate pakistane hanno annunciato l’uccisione di oltre 100 presunti terroristi in blitz effettuati in diverse zone del Paese dopo l’attentato. Le autorità hanno deciso di chiudere il confine con l’Afghanistan per motivi di sicurezza accusando Kabul di non fare nulla per impedire l’ingresso di estremisti nel Paese. Centinaia di civili afghani, anche malati, sono rimasti bloccati alla frontiera. Lo Stato islamico ha rivendicato l’attentato kamikaze nel tempio sufi dove i fedeli erano in preghiera.

La vicinanza dei cristiani ai sufi
La piccola minoranza cristiana in Pakistan si è detta sconvolta da questa ennesima strage che colpisce innocenti. La gente si sente vulnerabile – dice all’agenzia Fides padre Bernard, direttore del Seminario Santa Maria a Lahore – ed è arrabbiata con le istituzioni che non proteggono i cittadini. “Oggi sappiamo di essere tutti dei potenziali obiettivi – osserva - nessuno è escluso. Le vittime di questi ultimi attentati sono tutte musulmane, domani potrebbero essere cristiane, indù o sikh”.

Chi sono i sufi
I sufi seguono la via mistica dell’Islam per giungere a Dio, accorciano la distanza tra l’uomo e il Trascendente e per questo non sono visti di buon occhio sia dai sunniti che dagli sciiti. I sufi sono più aperti al dialogo. Un detto di un maestro sufi recita: “Quand’ero giovane ero un rivoluzionario che voleva cambiare il mondo. Ora che sono vecchio chiedo a Dio di cambiare me stesso. Se avessi pregato per questo fin dall’inizio non avrei sprecato la mia vita”.
Radio vaticana 18 02 2017

FRANCIA- varata “legge bavaglio” contro siti in difesa della vita

«Ostruzione all’aborto»: approvata in Francia la norma che vieta la difesa della vita via Web.
Alla fine l’ordine del governo socialista di François Hollande è stato rispettato: la legge va approvata a ogni costo.
Così in un’Assemblea Nazionale quasi deserta è stato varato il testo definitivo che punisce chi su Internet si batte per affermare il diritto alla vita perché in questo...

In Francia, il parlamento ha approvato in via definitiva la legge che estende il reato “di ostacolo all’interruzione volontaria di gravidanza” ai siti web, molti dei quali cattolici, che vogliono offrire alle donne alternative all’aborto. In molti, sia credenti che non credenti, attaccano la norma come un attentato alla libertà di espressione. Il servizio di Sergio Centofanti:

200 mila aborti all’anno in Francia
In Francia i siti statali propongono solo l’aborto alle donne che vogliono informarsi sull’argomento. Non nominano mai il bambino, non parlano di embrione o feto, ma solo e genericamente di “contenuto” della gravidanza. Ogni anno nel Paese si registrano 200mila aborti. I siti internet a difesa della vita sono nati come luogo d’ascolto di quelle donne che si trovano nell’angoscia di una decisione drammatica e vorrebbero saperne di più.

Legge liberticida: si rischiano due anni di carcere
Ora, secondo la nuova legge, chi scrive sul web rischia una pena fino a 2 anni di carcere e 30 mila euro di multa. Le Associazioni familiari cattoliche francesi parlano di “un giorno buio per il diritto alla vita” e di “un giorno nero per la libertà di espressione”. I fautori della legge minimizzano: dicono che non saranno perseguiti i siti chiaramente in difesa dei nascituri, ma solo quelli che si presentano come neutri dando false informazioni. Ma la legge nella sua formulazione è vaga ed estensibile. Persino testate laiche come “Le Monde” parlano di legge liberticida e misura bavaglio.

I vescovi francesi scrivono a Hollande
Il presidente della Conferenza episcopale francese, mons. Georges Pontier, ha inviato una lettera al presidente Hollande. “L’interruzione volontaria di gravidanza – scrive – che lo si voglia o no, rimane un atto pesante e grave che interroga profondamente la coscienza. In situazioni difficili, sono numerose le donne che non sanno se portare a termine o meno la gravidanza e avvertono il bisogno di parlarne con qualcuno, cercare un consiglio”. I siti Internet – ora incriminati – “compensano l’assenza di luoghi di ascolto” e “il loro successo prova che essi rispondono ad un’attesa”. Sono luoghi che accolgono tutti: “Donne che dopo un aborto hanno bisogno di parlare; altre che poi decidono di perseverare nel loro progetto di abortire, altre ancora che scelgono di tenersi il bambino. “Questa diversità di situazioni e comportamenti è resa possibile – afferma – perché questi siti garantiscono sempre spazi di libertà”.

Papa Francesco: difendere la vita senza compromessi
Nel gennaio scorso Papa Francesco ha fatto pervenire un messaggio di sostegno a quanti hanno partecipato alla Marcia per la vita in Francia: la Chiesa – aveva detto – non deve mai “rinunciare a proclamare che la vita umana deve essere protetta senza condizioni dal momento del concepimento fino alla morte naturale”. “Qui - aveva detto il Papa ai vescovi francesi nella loro visita ad Limina - non possiamo mai fare compromessi, senza diventare anche noi stessi colpevoli della cultura dello scarto, purtroppo largamente diffusa” e che colpisce sempre i “più deboli e indifesi”: i bambini ancora non nati, gli anziani e i malati: “Tutti noi alla fine ne porteremo le conseguenze dolorose”.
(Radio Vaticana 17 02 2017)

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