2016 06 29 LIBANO Attentati suicidi a Qaa villaggio a maggioranza cristiana PAKISTAN Violenze della polizia sui cristiani CILE altra chiesa incendiata PAPA e genocidio ARMENI
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LIBANO - Attentati suicidi a Qaa, villaggio a maggioranza cristiana; i Capi delle Chiese esprimono sconcerto e cordoglio per le vittime
La raffica di quattro attentati suicidi che all'alba di lunedì 27 giugno ha scnvolto il villaggio libanese di Qaa, vicino al confine con la Siria, abitato in maggioranza da cristiani apartenenti alla Chiesa greco melchita, ha provocato cinque morti e almeno 15 feriti. Sdegno e condanna per la strage terroristica sono stati espressi dai rappresentanti delle istituzioni e delle forze politiche libanesi. Parole di cordoglio e di sconcerto sono state pronunciate anche dai Capi delle Chiese.
L'Arcivescovo Elias Rahal, alla guida dell'arcidiocesi greco melchita di Baalbeck, nativo anche lui di Qaa, ha richiamato lo Stato libanese ad “assumersi le proprie responsabilità”, facendo notare che intorno al villaggio vivono circa 30mila rifugiati siriani, dei quali non si occupa nessuna istituzione pubblica. Il Patriarca Grégoire III, Primate della Chiesa greco melchita, si è detto “inorridito” per l'attacco di Qaa, e ha reso omaggio alle vittime, che fanno parte delle parrocchie e della arcidiocesi di Baalbeck dei greco melchiti. Anche il Patriarca maronita Boutros Bechara Rai, attualmente in visita pastorale negli Stati Uniti, ha auspicato che anche questo “crimine senza nome" spinga i libanesi a ritrovare l'unità nazionale e a difenderla dai piani dei terrroristi. (Agenzia Fides 28/6/2016).
PAKISTAN - Violenze della polizia sui cristiani
I cristiani in Pakistan subiscono abusi anche dalla polizia. Domenica 12 giugno l’agente di polizia Amir Abdullah ha fatto irruzione nella Chiesa cristiana protestante nel quartiere di Fazalia a, Lahore, schiaffeggiando e umiliando il Pastore Riaz Rehmat, che stava celebrando la liturgia, e rivolgendosi con linguaggio offensivo ai fedeli.
Come riferito a Fides dall’Ong CLAAS (Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement), l’agente ha poi dichiarato di aver ricevuto una chiamata che lamentava un abuso dell’altoparlante da parte della chiesa. L’Ong, impegnata per la tutela legale dei cristiani in Pakistan, ha presentato un esposto alla Sovrintendenza della polizia, chiedendo un'azione contro il poliziotto, anche perché si è appurato che la denuncia contro la chiesa era del tutto falsa e nessun altoparlante stava disturbando. L’agente è stato sospeso dal servizio e un'indagine è stata avviata nei suoi riguardi. Nasir Saeed, Direttore di CLAAS, dichiara in una nota inviata a Fides. “Questo è un atto vergognoso commesso dalla polizia. Non è il primo incidente di questo tipo, ed episodi del genere continuano a verificarsi. Il mese scorso un incidente simile è accaduto a Faisalabad. La polizia difficilmente rispetta i sentimenti religiosi dei cristiani e spesso viola il loro diritto alla libertà religiosa. Chiediamo alle autorità di dare disposizioni precise agli agenti durante il servizio: essi sono chiamati a proteggere i cittadini cristiani, non ad abusare del loro potere”. (18/6/2016)
CILE - Violenza nella regione mapuche: chiesa incendiata e attacco alla polizia
Un incendio ha distrutto all'alba del Venerdì 17 una chiesa situata nel comune di Collipulli, nella regione di Araucania. I fatti riferiti a Fides sono molto gravi perché nella zona c’ è stato uno scontro a fuoco dopo l'arrivo della polizia sul posto. Un agente di polizia è stato ferito al volto da schegge di vetro, mentre si trovava a bordo del veicolo della polizia, attaccato da sconosciuti, che stava recandosi sul luogo dell’incendio.
Il ministro dell'interno ha annunciato ieri sera che il governo sta elaborando un piano contro la violenza nella regione di Araucania per i prossimi giorni, "Quello che si è verificato la scorsa notte a Collipulli è un fatto deplorabile e grave, non solo per l'incendio, ma anche perché la polizia è stata attaccata", afferma una nota , “considerando che queste azioni violente sono atti terroristici a cui bisogna reagire”.
Gli incendi di chiese nella regione sono riconducibili allo stesso gruppo: anche a Collipulli sono state trovate scritte a favore della causa Mapuche, fatto che si è ripetuto ultimamente in diverse parti della regione (Vedi Fides 26/04/2016). Il parroco, padre Enrique Catalan, ha detto che il fuoco ha distrutto la cappella di San Jose e i locali della sede sociale dove si riuniva la comunità, "dispiace molto perché questo fatto colpisce tutta la comunità", ha commentato. Ormai sono 14 gli incendi nella Araucania e i vescovi hanno chiesto una risposta politica adeguata per la zona (Vedi Fides 18/4/2016). (Agenzia Fides, 18/06/2016)
IL PAPA e il “genocidio” DEGLI ARMENI
Si dice che scavando di pochi centimetri nel terreno intorno al Tzitzernakaberd Memorial di Yerevan, in Armenia, non sia difficile toccare con le dita ossa e resti umani.
Sono quelli del milione e mezzo di uomini, donne e bambini travolti dal “Grande Male”, il genocidio avvenuto ad inizio secolo sotto l’Impero Ottomano che portò al martirio sistematico di un’intera popolazione.
Al ricordo di tutte le vittime è dedicata la seconda giornata del viaggio in Armenia di Papa Francesco, il quale, alle prime luci dell’alba, si è recato al Mausoleo situato a nord-ovest della città, in una zona verde divenuta nel tempo tappa obbligatoria per ogni ospite del paese caucasico.
Alcune frasi del Papa:
“Ci sono stati grandi avvenimenti nella nostra personale storia di amore con Lui, che vanno ravvivati con la mente e con il cuore”, afferma il Pontefice. E invita a custodire un’altra memoria: la memoria del popolo. Quella del popolo armeno, in particolare “è molto antica e preziosa”: “Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti santi del passato”, dice Francesco, “nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli.”
Anche fra “tremende avversità”, il Signore ha visitato il popolo dell’Armenia e “si è ricordato della vostra fedeltà al Vangelo, della primizia della vostra fede, di tutti coloro che hanno testimoniato, anche a costo del sangue, che l’amore di Dio vale più della vita”. “È bello per voi – osserva infatti il Santo Padre – poter ricordare con gratitudine che la fede cristiana è diventata il respiro del vostro popolo e il cuore della sua memoria”.
Questa stessa fede è ora speranza per il futuro, “luce nel cammino della vita”. Tuttavia c’è un pericolo che rischia di farla “sbiadire” ed è “la tentazione di ridurla a qualcosa del passato, a qualcosa di importante ma che appartiene ad altri tempi, come se la fede fosse un bel libro di miniature da conservare in un museo”.
“Se rinchiusa negli archivi della storia – ammonisce Papa Francesco – la fede perde la sua forza trasformante, la sua bellezza vivace, la sua positiva apertura verso tutti”. La fede, invece, “nasce e rinasce dall’incontro vivificante con Gesù, dall’esperienza della sua misericordia che dà luce a tutte le situazioni della vita”. Allora, “ci farà bene lasciare che l’incontro con la tenerezza del Signore accenda la gioia nel cuore”, una gioia ben più grande della “tristezza” che “resiste anche di fronte al dolore, trasformandosi in pace”.
Al termine, il Pontefice pronuncia la seguente Preghiera d’intercessione:
Cristo, che incoroni i tuoi santi
e adempi la volontà dei tuoi fedeli
e guardi con amore e dolcezza alle tue creature,
ascoltaci dai cieli della tua santità,
per l’intercessione della santa Genitrice di Dio,
per le suppliche di tutti i tuoi santi,
e di quelli di cui oggi è la memoria.
Ascoltaci, Signore, e abbi pietà,
perdonaci, espia e rimetti i nostri peccati.
Rendici degni di glorificarti,
con sentimenti di grazie,
insieme al Padre e allo Spirito santo,
ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.
APPROFONDIMENTO
Armenia. Quando la Santa Sede provò in tutti i modi a fermare il genocidio
Della tragedia che ha decimato gli armeni nell’Impero Ottomano ad inizio secolo molto è stato scritto; tuttavia alcuni aspetti restano ancora inediti, come il grande ruolo svolto dalla Santa Sede durante questa pagina buia di storia contemporanea. Uno spiraglio di luce si apre oggi con il libro La Santa Sede e lo sterminio degli armeni nell’Impero Ottomano, pubblicato in questi giorni per le Edizioni Cantagalli; si tratta di un’accurata e minuziosa ricerca storica attinta dagli Archivi Segreti vaticani che, oltre a fornire al letto un’ampia documentazione della strage, permette di essere partecipe dell’evento rivelando nomi, volti e azioni di chi da Roma ha cercato in tutti i modi di porre fine a questo “Grande Male”. Autrice, insieme ad Omar Viganò, è Valentina Karakhanian, finora assistente dell’ambasciatore d’Armenia in Italia, attualmente postulatrice delle Cause dei Santi alla Pontificia Università Urbaniana di Roma e ricercatrice presso l’Archivio Segreto Vaticano e l’Archivio Storico della Segreteria di Stato. (…)
ZENIT l’ha intervistata.
Il suo libro si propone di analizzare e approfondire il ruolo svolto dalla Santa Sede durante il genocidio d’inizio secolo. Ruolo che, lei afferma nel libro, dopo un secolo è rimasto ancora “in penombra”. In che senso?
Negli studi sulla decimazione del popolo armeno, fatte alcune eccezioni, poco o nulla viene detto a proposito della Santa Sede. Eppure le carte sullo stermino custodite dagli archivi del Vaticano sono in gran parte disponibili agli studiosi già dal 1985. E non parliamo di qualche documento, ma di faldoni pieni di memorandum, telegrammi, relazioni, lettere. Documenti di grande rilevanza che per la loro quantità, varietà e continuità temporale costituiscono una preziosa risorsa per ricostruire quanto è avvenuto nella Turchia sotto gli ultimi due sultani. E che soprattutto mostrano l’incessante attività della Santa Sede e dei suoi rappresentanti a Costantinopoli allo scopo di far arrestare la strage in corso. Non solo di armeni, ma anche di melchiti, siri, maroniti, caldei: tutti accomunati dall’essere vittime di una violenta persecuzione contro il cristianesimo.
Persecuzione che ancora si ha difficoltà a definire “genocidio”…
Non è intenzione di questo lavoro entrare nel merito della definizione di genocidio applicata al Grande Male. Anzi essa è, a mio parere, impertinente. Le spiego: qui, attraverso un’ampia e ragionata selezione, è lasciato ai documenti conservati negli archivi vaticani il racconto dell’oppressione degli armeni secondo una scansione temporale, dall’inizio nel 1915 sino al termine della grande guerra. Tuttavia, è bene sottolineare come le espressioni con le quali viene descritta la tragedia degli armeni durante la sua manifestazione non lasciano dubbi sul fatto che coloro che hanno redatto i documenti ed i loro destinatari avessero chiara la misura e la dimensione di ciò che stava accadendo in Anatolia e nella Siria: deportazioni, massacri, sterminio, annientamento, carneficine, violenze, rovina, esecuzioni, conversioni forzate, rapimenti, eccidi. Parole che messe in fila l’una accanto all’altra danno forse più vivido il senso dell’orrore di ciò che si è consumato cent’anni fa. In questo senso il termine genocidio è ‘impertinente’: oltre ad essere un neologismo è una categoria interpretativa che mette più a fuoco le responsabilità di chi ha perpetrato i crimini che non i crimini stessi. Da questo punto di vista, genocidio invece che troppo, dice troppo poco.
Parlavamo dell’opera svolta dalla Santa Sede durante lo sterminio. Cosa ha scoperto durante le sue ricerche?
Anzitutto va ricordato che la Chiesa cattolica, a differenza delle diverse Nazioni con le loro ambasciate e consolati, aveva all’epoca una posizione privilegiata dalla quale osservare gli eventi. Dalla Palestina alla Siria, dal Bosforo al Caucaso, vi erano missionari provenienti dall’Europa e religiosi delle diverse chiese orientali, suddivise in diocesi e parrocchie. Una capillarità andata perduta oggi ma che nei fondi archivistici del Vaticano si è cristallizzata in un patrimonio unico di testimonianze. I documenti vaticani raccontano infatti i continui tentativi da parte dei rappresentanti ecclesiastici di arrestare la strage in atto. Sin dal momento in cui ha avuto la percezione dello sterminio, la Santa Sede ha percorso tutte le possibili vie per porvi un argine e contenere il furore contro popolazioni inermi, nonché portare assistenza spirituale e materiale ai sopravvissuti dispersi e privati di tutto. Dalle proteste del delegato apostolico a Costantinopoli, mons. Angelo Maria Dolci, alle suppliche autografe di Benedetto XVI al Sultano; dalle raccolte di sussidi per i miseri armeni sino al progetto di navi con soccorsi umanitari battenti bandiere vaticane. Un’opera enorme, tuttavia risultata quasi ‘solitaria’ nell’ingessato contesto internazionale delle alleanze. E che, come dicevamo, ancor oggi è lasciata in penombra dagli studiosi perché considerata un’azione di esclusivo stampo morale, senza rimarchevoli ricadute politiche.
Oltre alla figura di Benedetto XV, nella ricerca emerge anche l’opera svolta da Eugenio Pacelli. Cosa ha fatto il futuro Pio XII in quel contesto drammatico?
Pacelli all’epoca del Grande Male era nunzio apostolico a Monaco di Baviera. Ciò che è emerso dai nostri studi è soprattutto la sua grande competenza e la capacità di mediare, oltre alla grande volontà di dare supporto ai popoli perseguitat. In particolare l’allora nunzio Pacelli si è avvalso della collaborazione con il collega mons. Dolci, uno dei protagonisti principali dell’azione della Santa Sede. Entrambi hanno realizzato una vera e propria strategia per salvare la gente, per farla fuggire o per cercare di far arrivare aiuti materiali tramite la Germania, l’Austria e l’Ungheria.
(…) Salvatore Cernuzio on 23 June, 2016