2016 06 15 CILE - Chiese al rogo e crocifissi distrutti AFGHANISTAN - Attivista cattolica indiana rapita ACS: “Italia riconosca genocidio in Medio Oriente”
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CILE - Chiese al rogo e crocifissi distrutti
Chiese che bruciano, crocifissi distrutti, un seminario al rogo. Il tutto in un Paese, il Cile, dove la violenza anticattolica e religiosa in passato non ha mai toccato vette preoccupanti. Eppure, l’escalation di attacchi nei confronti della fede cattolica, o meglio, del sentimento religioso che vede la Chiesa come un’istituzione, sta interrogando non poco i vescovi cileni, che sono dovuti intervenire per spegnere una miccia che sembra avere diverse matrici.
L’ultimo episodio inquietante è un crocifisso distrutto nel corso di una manifestazione studentesca nel centro della capitale Santiago. Giovedì 9 giugno il corteo di studenti incappucciati è entrato dentro la chiesa cattolica della “Gratitud Nacional” che è stata saccheggiata. Le telecamere dei media cileni hanno immortalato il momento in cui il crocifisso veniva portato fuori dal tempio e preso a calci e a bastonate fino distruggerlo. Un atto di violenza insensata che stona con la manifestazione, che doveva essere pacifica, per reclamare un’istruzione di qualità. Ma a molti è parso evidente che quella della migliore istruzione altro non era che una scusa per sfogare un odio anticattolico che sta covando sotto la cenere di diverse frange della popolazione cilena.
Dopo la condanna del gesto da parte della presidente Michelle Bachelet l’arcivescovo di Santiago Ricardo Ezzati domenica ha celebrato nella stessa chiesa un’affollatissima messa di riparazione per il grave atto sacrilego. Nel corso dell’omelia il cardinale ha definito “ripugnante” la violenza operata contro il crocifisso, “opera di un gruppo accecato dalle più oscure passioni” e ha citato il passo evangelico in cui Gesù in croce chiede al Padre perdono per i suoi carnefici “che non sanno quello che fanno”.
Ma l’episodio della guerriglia urbana di Santiago è servito da incipit al vescovo per chiedersi “che cosa sta succedendo in Cile”. Subito dopo infatti il porporato ha citato l’incredibile escalation di violenze che avvengono nel sud del Paese, in particolare in due regioni del Cile, Biobio e Araucarìa, dove in appena due anni sono state incendiate 25 chiese, la maggior parte cattoliche e alcune evangeliche.
Numeri che fanno pensare più ad un imminente clima di persecuzione più che a manifestazioni di rivendicazione sociale. In quei due territori infatti, vive una nutrita comunità di indio Mapuche, che da tempo reclama allo Stato i territori sottratti nei secoli scorsi. Il gruppo etnico, fortemente caratterizzato e che rappresenta il 4% della popolazione, si batte contro i proprietari terrieri, spesso multinazionali, che considerano usurpatori e sfruttatori. Una rivendicazione sociale, se vogliamo, che si è acuita nel corso degli ultimi governi e che vede la chiesa come vittima prescelta. (…)
“E’ allarmante e incomprensibile la lentezza dello Stato e dei governi che si sono succeduti in questi anni nel non riuscire a trovare soluzioni efficaci a questa situazione – ha scritto riconoscendo all’etnia un “legittimo desiderio che da un secolo chiede di avere giustizia affinché venga riconosciuta l’identità di questo popolo”.
I Mapuche, per tutta risposta sembrano essersela presa non con lo Stato, ma proprio con la Chiesa.
Il bollettino degli attacchi negli ultimi mesi è preoccupante. Il sito tierrasdamerica ne ha contati 25. A partire dallo scorso gennaio gli attacchi incendiari si sono succeduti con cadenza quasi mensile: il 2 marzo era stato sgomberato il Seminario Maggiore San Fidel, appartenente alla diocesi di Villarrica, che – riferisce l’agenzia Fides - era stato occupato dai membri di un gruppo attivista della comunità mapuche Trapilhue, la quale rivendica la proprietà del terreno su cui sorge il Seminario. Il leader di questo gruppo ha affermato: “la Chiesa ha dimostrato di essere un membro in più dello Stato, e non ci sarà pace fino a quando la Chiesa non sarà espulsa dal territorio Mapuche”.
La Chiesa nel frattempo si trova stretta tra quelle che definisce le aspirazioni legittime dei Mapuche e la violenza che, arrivati a questo punto potrebbe anche declinare in attentati terroristici a tutti gli effetti facendo segnare un salto di qualità alla rivolta degli indios.
di Andrea Zambiano LNBQ 14.06.2016
AFGHANISTAN - Attivista cattolica indiana rapita: appello alle autorità civili
C’è profonda preoccupazione nella società civile per il rapimento della attivista per i diritti umani Judith D’Souza, 40 anni, avvenuto a Kabul, in Afghanistan, il 9 giugno nella zona di Qala-e-Fatullah. La D’Souza, cittadina indiana di religione cattolica, lavorava con l’Ong “Aga Khan Foundation” a Kabul come consulente tecnico dal luglio 2015. Prima di trasferirsi a Kabul, aveva accumulato 15 anni di esperienza come specialista sociale e ambientale in Bengala occidentale, Pondicherry, Tamil Nadu e Orissa. D’Souza è originaria di Calcutta e ha frequentato le scuole e università cattoliche. Dal 2000, D’Souza ha lavorato attivamente sulle questioni di genere, povertà e conservazione ambientale con diverse organizzazioni. Con la Fondazione Aga Khan, a Kabul D’Souza lavorava in attività di ricerca e sviluppo di strategie per l’emancipazione delle donne.
“Il rapimento di Judith D’Souza mostra non solo i pericoli affrontati dalle donne che lavorano in Afghanistan, ma anche il fallimento del governo nell’intraprendere azioni concrete per proteggere le donne minacciate” nota in un messaggio inviato a Fides l’attivista per i diritti Umani William Gomes. “Esprimiamo grave preoccupazione per la sorte e di Judith D’Souza. Crediamo che il suo rapimento è direttamente collegato al suo lavoro pacifico per la promozione dei diritti umani” prosegue.
La società civile afgana e altre Ong internazionali, in una missiva inviata ad Ashraf Ghani, Presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan, esortano le autorità civili ad “adottare immediatamente tutte le misure necessarie per salvare Judith D’Souza e garantire la sua integrità e la sicurezza fisica e psicologica”, avviando “un’indagine immediata, approfondita e imparziale sul rapimento e portare i responsabili alla giustizia”. Intanto in India le comunità cattoliche stanno elevando preghiere per la liberazione della donna. (Agenzia Fides 13/6/2015)
ACS: “Italia riconosca genocidio in Medio Oriente”
Aiuto alla Chiesa che Soffre lancia un appello alle istituzioni italiane attraverso Il Foglio. Una intera pagina del quotidiano per richiamare la loro attenzione, affinché la questione diventi centrale nella discussione in Parlamento e nelle altre sedi rappresentative.
In Iraq nel 2014 oltre 125mila cristiani, assieme a migliaia di appartenenti ad altre minoranze religiose, sono stati costretti da Isis ad abbandonare le proprie case. Restando a Mosul o nella Piana di Ninive, avrebbero avuto l’alternativa fra la morte e il ripudio della fede. Hanno deciso che è più importante la confessione religiosa e in una sola notte hanno lasciato le loro case. Non tutti però sono potuti fuggire. In centinaia hanno trovato la morte per mano dei jihadisti, come testimoniano i cadaveri ritrovati qualche settimana orsono in fosse comuni a Ramadi, Anbar e Tikrit.
“Non abbiamo fatto nulla di fronte al massacro collettivo di persone innocenti. Ora il minimo che possiamo fare è chiamare con il loro nome le atrocità commesse dall’Isis. È il primo passo per rendere giustizia alle vittime”. Così Pascale Warda, già ministro iracheno per le politiche migratorie e oggi presidente dell’organizzazione Hammurabi Human Rights, aderisce alla campagna di Aiuto alla Chiesa che Soffre per chiedere alle istituzioni italiane il riconoscimento del genocidio commesso da Isis in Iraq e Siria.
Una richiesta, quella dell’attivista cattolica che ha partecipato attivamente alla campagna che ha portato al riconoscimento del genocidio da parte del Congresso e del Dipartimento di Stato Usa, che non è caduta nel vuoto.
Infatti, oltre 50 deputati del Parlamento italiano di quasi tutti i gruppi presenti alla Camera (Fi, FdI, Pd, Lega, Cor, Ncd, Idea) hanno aderito alla petizione di Acs “Definiamolo genocidio” presentando una mozione a difesa della libertà religiosa.
La mozione, i cui primi firmatari sono Eugenia Roccella, Giancarlo Giorgetti e Emanuele Fiano, chiede di riconoscere come genocidio lo sterminio in atto, per tentare di invertire la rotta rispetto all’immobilismo e all’accoglienza tiepida che hanno avuto altre iniziative, e inserire il tema nell’agenda internazionale.
Le persecuzioni attuate con l’intenzione di distruggere un gruppo etnico, razziale o religioso sono, giuridicamente, riconosciute come genocidio. Le atrocità commesse dall’Isis in Medio Oriente, e di cui arriva quotidianamente notizia (stupri, torture, rapimenti, schiavitù, uccisioni di massa) hanno come fine l’eliminazione fisica delle minoranze religiose: yazidi, cristiani, sciiti.
“La qualifica di genocidio a queste tremende violenze è già stata attribuita dagli Usa e dalla Gran Bretagna; è importante che anche l’Italia lo faccia, per sollecitare con forza l’attenzione e l’azione della comunità internazionale sul tema ed evitare che la nostra indifferenza ci renda involontariamente complici di quanto accade.” Lo dichiara la parlamentare di Idea Eugenia Roccella.
Si può aderire alla campagna di Aiuto alla Chiesa che Soffre attraverso l’hashtag #DefiniamoloGenocidio e inviando una email all’indirizzo definiamologenocidio@acs-italia.org
Per maggiori informazioni: http://acs-italia.org/definiamologenocidio/
SIRIA - Aleppo: i Salesiani aprono l’oratorio estivo
Un piccolo segnale di rinascita nella martoriata Aleppo arriva dai Salesiani. Ha infatti preso il via in questi giorni, l’Estate ragazzi, portata avanti presso l’oratorio della città siriana da circa 85 animatori, a servizio di circa 800 ragazzi.
“Nonostante la guerra e il buio che da essa deriva, cerchiamo di accendere qualche lumino di speranza nel cuore dei ragazzi di Aleppo – ha dichiarato don Pier Jabloyan, uno dei responsabili dell’oratorio -. Con molta cautela cerchiamo di portare i ragazzi all’oratorio con l’autobus, affinché possano vivere qualche ora nella gioia e nella serenità”.
Il tema scelto per l’oratorio estivo di quest’anno ruota intorno alla misericordia e alla vicenda del profeta Giona.
“In questa guerra spietata, infatti – aggiunge don Jablovan – la città vive la massima contraddizione: da un lato tutta la cittadinanza è costretta a vivere nel pieno del conflitto, con la paura della guerriglia e dei cecchini, le esplosioni, la mancanza di servizi pubblici, la morte aleggiante, le malattie”.
“Dall’altra, la comunità educativa si sforza di vivere la quotidianità il più possibile nella pace, ripristinando appena possibile la scuola, le gite, il gioco. E in questo l’Oratorio salesiano è uno dei protagonisti”, prosegue il Salesiano, concludendo con un appello: “Pregate per noi, perché ci aspettano giornate difficili”. (Zenit Posted 14 June, 2016)