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2016 03 02 Pakistan - i cristiani chiedono la canonizzazione di Shahbaz Batti a 5 anni dal martirio NIGERIA - cristiani cancellati Etiopia - il Papa: contro i cristiani “violenza devastante” Nuovo appello Kirill: Cattolici e ortodossi lottino insieme cont

Fonte:
CulturaCattolica.it

Pakistan: i cristiani chiedono la canonizzazione di Shahbaz Bhatti

A cinque anni dall’assassinio del ministro, nel paese asiatico la condizione delle minoranze religiose è nettamente peggiorata

“Dopo la morte di Shahbaz Bhatti la condizione delle minoranze religiose in Pakistan è nettamente peggiorata. Sia per il maggior numero di attacchi ai loro danni, sia per la mancanza di rappresentanza a livello federale”. Lo afferma il prof. Shahid Mobeen, docente di pensiero e religione islamici presso la Pontificia Università Lateranense e amico del ministro pachistano ucciso, descrive l’attuale situazione delle minoranze religiose a cinque anni dall’assassinio di Bhatti.
Shahbaz Bhatti è stato il primo e l’unico ministro federale per le minoranze religiose. Dopo la sua morte, avvenuta il 2 marzo 2011 per mano di fondamentalisti, il ministero è stato declassato a semplice dipartimento del Ministero per gli Affari religiosi. “In questo modo né i cristiani, né gli altri non musulmani hanno alcuna rappresentanza politica – prosegue il prof. Mobeen -. L’unico ministro federale cristiano è quello per la Navigazione, che non ha possibilità di intervenire sulla condizione delle minoranze religiose”.
Un tema, quello della difesa dei diritti dei non musulmani, cui Bhatti aveva dedicato la sua vita e per il quale aveva accettato nel 2008 la carica di ministro federale. “Ha acconsentito unicamente perché desiderava che le minoranze potessero contribuire alla crescita del paese – sottolinea il docente -. Purtroppo in Pakistan l’esercizio di cittadinanza dei non musulmani è impedito perfino a livello legislativo”.
La principale battaglia del ministro cattolico è stata contro l’abuso della cosiddetta legge antiblasfemia, la norma corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano che puniscono con l’ergastolo chi profana il Corano e con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto. “Quando il caso di Asia Bibi, per la cui liberazione Shahbaz si era molto speso, esplose a livello internazionale, l’allora presidente Zardari lo nominò presidente della commissione per la revisione della legge – afferma ancora lo studioso -. Avrebbe dovuto mettere a punto provvedimenti che limitassero un uso improprio della norma. Ma purtroppo i suoi assassini, forse talebani, non glielo hanno permesso”.
Oggi, a cinque anni dalla sua morte, i cristiani e la Chiesa del Pakistan chiedono a gran voce l’inizio della causa di canonizzazione. Una richiesta firmata all’unanimità dalla Conferenza episcopale pachistana e giunta a Roma subito dopo l’assassinio. “La Santa Sede ha autorizzato l’apertura di un’indagine che deve essere condotta dal vescovo della diocesi nella quale è accaduto il martirio, ovvero quella di Islamabad-Rawalpindi. Purtroppo però la diocesi è sede vacante da oltre due anni”.
Dall’indagine compiuta è comunque emerso un documento a firma del padre spirituale di Shahbaz Bhatti, monsignor Anthony Lobo, vescovo emerito di Islamabad-Rawalpindi. “Il presule mi ha consegnato personalmente una sua lettera in cui afferma che un paio di anni prima della sua morte Shahbaz era divenuto un laico consacrato”, afferma Mobeen. Una notizia sulla quale il ministro aveva mantenuto il riserbo, così come sulla scelta di rinunciare ad una famiglia per portare avanti la sua causa.
«Una decisione che aveva preso perché era consapevole che poteva essere ucciso. Nonostante ciò era una persona estremamente solare e positiva. Lo rattristavano soltanto le persecuzioni e le discriminazioni ai danni delle minoranze religiose».
(Zenit 25 feb 2016)

NIGERIA - Un nuovo rapporto mette in luce il dramma dei cristiani nigeriani
Da 9.000 a 11.500 cristiani uccisi (secondo una stima prudente); dal 2000 almeno 1,3 milioni di cristiani sono diventati sfollati interni od obbligati a trasferirsi altrove; 13.000 chiese sono state distrutte o costrette a chiudere i battenti; migliaia di attività economiche, proprietà e case di cristiani sono state distrutte.

È questo il bilancio delle violenze delle quali sono vittime i cristiani nel nord della Nigeria e nella cosiddetta Middle Belt, secondo il rapporto “Crushed but not Defeated” dell’organizzazione Open Doors/Porte Aperte, pervenuto all’Agenzia Fides.
A causa delle violenze, afferma il rapporto, in alcune aree della Nigeria del Nord, “la presenza cristiana è stata virtualmente cancellata o consistentemente diminuita, mentre in altre aree il numero di fedeli nelle chiese è cresciuto a causa del flusso di cristiani in fuga dalle violenze e da un certo numero di musulmani convertitesi al cristianesimo”.
“In aggiunta, la coesione sociale tra musulmani e cristiani è stata messa in pericolo. La reciproca fiducia è sostanzialmente scomparsa; cristiani e musulmani sono diventati gruppi sempre più separati e distinti, raggruppati in periferie, quartieri o specifiche aree rurali” avverte il rapporto.
Il documento mostra che sebbene l’etnia, il conflitto politico e la lotta per lo sfruttamento delle risorse siano note fonti di violenza nella Nigeria del Nord, le cause della violenza contro i cristiani in quest’area appaiono invece molteplici. Si possono trovare sfumature religiose, economiche e sociali allo stesso tempo. Gli elementi della violenza specificatamente mirata contro i cristiani nella Nigeria del Nord sono collegati da un comune denominatore religioso: difendere gli interessi dei musulmani del nord, la loro identità e la posizione dell’islam.
“Non solo islam radicale, Boko Haram ne è l’esempio più noto, ma anche allevatori musulmani Hausa-Fulani e l’élite musulmana politica e religiosa del nord sono attori principali della violenza che mira a colpire la minoranza cristiana” si sottolinea nel rapporto.
Ciò nonostante c’è ancora un’ampia presenza cristiana nella Nigeria del Nord, col potenziale di unità e resistenza. Ma la Chiesa di questa regione dovrà cercare di non chiudersi in se stessa e disimpegnarsi dalla società. Dovrebbe fare l’opposto, stimolata dalla sua spinta cristiana a essere coinvolta con la società e operare per la giustizia, la pace e la riconciliazione condividendo le proprie risorse per il bene di tutti.
Per fare tutto ciò, sarà necessario l’aiuto della comunità internazionale affinché la Chiesa possa lavorare per il rinnovamento e la trasformazione della comunità cristiana e della società nigeriana del nord in generale. (Agenzia Fides 24/2/2016)

Nigeria - cristiani perseguitati e nuove violenze a Yola
È il peso della violenza, della persecuzione e dell’insicurezza a caratterizzare la presenza cristiana nel nord della Nigeria e nella cosiddetta “Middle Belt” del Paese africano. Ce ne parla padre Patrick Alumuku, direttore della comunicazione dell’arcidiocesi di Abuja, intervistato da Giada Aquilino:
R. – Stiamo vivendo questa situazione già da 3-4 anni. La maggior parte di questi problemi si verifica nella zona di Jos, nello Stato di Plateau, e anche in quello di Benue. In questi Stati, gli allevatori musulmani, che sono Hausa-Foulani, scendono con mucche e vario bestiame nel centro del Paese, che è una parte popolata da cristiani. Il bestiame si ciba di tutto quello che trova nei campi degli agricoltori e si viene a creare così una situazione di disagio, di tensione tra tali allevatori e la gente del posto.
D. – Su questa situazione già critica si innesta la violenza dei Boko Haram?
R. – Esatto, perché sono tutti insieme. Infatti, tante persone fanno parte di Boko Haram. In questo anno, con il nuovo governo si è fatto molto anche perché il presidente Buhari è musulmano ed è fortemente contro Boko Haram: insiste sul fatto che Boko Haram non è l’Islam e che i musulmani veri non sono membri di Boko Haram. Sottolinea che i Boko Haram sono fondamentalisti che cercano di mettere in difficoltà tutti, sia cristiani sia musulmani.
D. – Proprio nelle ultime ore c’è stato un ennesimo attentato a Yola che ha colpito, tra i vari obiettivi, anche una scuola primaria. Perché?
R. – Adesso, Boko Haram non ha più la forza che aveva prima, quindi cercano “soft target”, cioè cerca obiettivi come la popolazione inerme che si va a trovare davvero in difficoltà con una sofferenza del genere. Boko Haram ha sempre avuto tra i suoi obiettivi le scuole, dove crede che la gente impari i valori occidentali. Però, vedendo quello che faceva prima, sappiamo che Boko Haram non ha più la capacità di conquistare e di instaurare un califfato o quello che sperava di fare.
D. – Ritornando al rapporto, il documento parla di vittime tra i cristiani, di sfollati, di chiese distrutte o costrette a chiudere, di abitazioni, negozi, attività economiche cancellate. Ci sono testimonianze da parte della comunità cristiana su quanto sta avvenendo?
R. – Io vengo dalla zona di Makurdi, nello Stato di Benue. E un giorno, andando da Abuja verso Makurdi, ho incontrato mezzo milione di sfollati che camminavano trasportando tutti i loro averi. E’ stata una cosa incredibile, mai vista prima. Uomini armati hanno cominciato a sparare. Hanno preso il telefonino di un giovane e, dopo averlo ucciso, hanno iniziato a chiamare ogni numero registrato in quel cellulare. Hanno chiamato praticamente tutte le persone della zona, dicendo: “Questa sera saremo lì e, quando arriveremo, uccideremo tutti”. Quindi, gli abitanti impauriti hanno cominciato veramente ad abbandonare la zona.
D. – Nonostante le violenze, le discriminazioni, le persecuzioni nei confronti del cristiani, nelle aree del centro e nord della Nigeria i cristiani sono ancora presenti?
R. – Quella del centro è una zona cristiana. La settimana scorsa poi abbiamo avuto una Messa in cui il cardinale Onaiyekan ha detto come ultimamente nonostante gli attacchi di Boko Haram nel nord - dove sembrava ci fossero tutti musulmani - il numero di cristiani sia molto grande. Per questo dobbiamo pregare per loro: sono lì, nei campi profughi, con la speranza di tornare a casa, perché non c’è alternativa a dove andare. La Chiesa chiede continuamente che il governo faccia qualcosa per chi è perseguitato e fa il possibile. Abbiamo tanti campi profughi, portiamo cibo, vestiti, un po’ di denaro, sapone, medicine.

Etiopia - attaccati tombe e luoghi di culto cristiani
Diverse tombe e luoghi di culto cristiani sono stati incendiati o distrutti e i loro beni saccheggiati in diverse località nello Stato di Oromia nell’Etiopia occidentale. Lo riferisce l’agenzia di stampa etiopica www.ethpress.gov.et, citata dall’agenzia Aoic. Episodi analoghi si sarebbero verificati nelle regioni di Gambella e di Amhara nel nord-ovest nel Paese.

ETIOPIA - Vescovo di Meki: attaccata una parrocchia cattolica
Sgomento e profonda “tristezza” per la distruzione gratuita di strutture frutto di anni di generoso lavoro e sollievo per la mancanza di vittime. Sono i sentimenti espressi da mons. Abraham Desta, vicario apostolico di Meki, nella regione dell’Oromia a circa 130 km da Addis Abeba, in Etiopia, dopo il violento, quanto inspiegabile, attacco compiuto il 18 febbraio da alcuni locali contro le strutture della parrocchia di Ghighessa, la più grande del vicariato.
Attaccata anche una clinica gestita dalle orsoline
È stata attaccata anche una clinica nel Centro gestita dalle religiose orsoline, che sono riuscite comunque a salvare i malati. Tutto è andato perso, ma “ringraziando Dio nessuno è stato ferito”, afferma mons. Desta, che evidenzia che sarà difficile rimettere in piedi quanto ha richiesto anni di sacrifici per essere costruito. Il presule chiede quindi solidarietà e preghiere per superare questo difficile momento per il vicariato.
(Radio Vaticana 27 02 2016)

Papa a ortodossi etiopi: contro i cristiani “violenza devastante”
La storia ha lasciato un fardello di “malintesi e diffidenza”, ma i martiri delle nostre Chiese sono un “seme di unità” sul quale è possibile costruire un “nuovo tempo” di fraternità. È quanto Papa Francesco ha voluto esprimere a Sua Santità Abuna Matthias I, Patriarca della Chiesa ortodossa Tewahedo di Etiopia, ricevuto in udienza. Il Papa ha anche lanciato un nuovo appello in favore dei cristiani perseguitati in Africa e Medio Oriente da una “violenza devastante”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La chiave dell’unità fra le Chiese sta nell’”ecumenismo dei martiri”. È un concetto chiave del suo magistero, che Papa Francesco ripete al cospetto del Patriarca Abuna Matthias I, capo di una popolosa comunità cristiana, quella Tewahedo etiopica, facente parte della “famiglia” delle Chiese ortodosse orientali.
Cristiani perseguitati, il mondo agisca
E proprio a questa antica Chiesa, legata a Roma da rapporti di grande cordialità, che Francesco riconosce il merito di una fedeltà al Vangelo pagata con un alto prezzo di sangue:
“La vostra è stata una Chiesa di martiri fin dal principio, e ancora oggi siete testimoni di una violenza devastante contro i cristiani e contro le altre minoranze in Medio Oriente e in alcune parti dell’Africa. Non possiamo esimerci dal domandare, ancora una volta, a coloro che reggono le sorti politiche ed economiche del mondo, di promuovere una coesistenza pacifica basata sul rispetto reciproco e sulla riconciliazione, sul mutuo perdono e sulla solidarietà”.
Il martirio è strada di unità
In quella fedeltà fino al sacrificio più estremo, il Papa ravvisa l’elemento unificante più sacro, che in certo modo annulla le divisioni che la storia dell’ecumenismo lungo i secoli ha partorito:
“Nello stesso modo in cui lo spargimento del sangue dei martiri è diventato il seme di nuovi cristiani nella Chiesa primitiva, oggi il sangue di così tanti martiri appartenenti a tutte le Chiese diventa seme dell’unità dei cristiani. I martiri e i santi di tutte le tradizioni ecclesiali sono già una cosa sola in Cristo; i loro nomi sono scritti nell’unico martyrologium della Chiesa di Dio. L’ecumenismo dei martiri è un invito rivolto a noi qui e adesso a percorrere insieme il cammino verso un’unità sempre più piena”.
C’è molto che ci unisce
Sul piano del dialogo teologico con la Chiesa ortodossa etiopica, Francesco ricorda la strada intrapresa dai suoi predecessori con gli incontri del ‘93 e del 2009 di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI con il precedente Patriarca, Abuna Paulos, grazie ai quali – sostiene il Papa – è stato possibile instaurare e accrescere un intenso dialogo teologico già dal 2004:
“Abbiamo quasi tutto in comune: una sola fede, un solo Battesimo, un solo Signore e Salvatore Gesù Cristo. Siamo uniti in virtù del Battesimo, che ci ha incorporati nell’unico Corpo di Cristo. Siamo uniti grazie ai vari elementi comuni delle nostre ricche tradizioni monastiche e pratiche liturgiche. Siamo fratelli e sorelle in Cristo. Come è stato più volte osservato, ciò che ci unisce è molto più grande di ciò che ci divide”.
(Radio Vaticana 29 02 2016)

Nuovo appello Kirill: “Cattolici e ortodossi lottino insieme contro persecuzione cristiani”
Dopo l’incontro a Cuba col Papa, il patriarca di Mosca ha proseguito i tour latinoamericano in Paraguay, Cile e Brasile

Dopo lo storico abbraccio con Papa Francesco a L’Avana il 12 febbraio scorso, il patriarca di Mosca Kirill è tornato con determinazione sul tema della persecuzione dei cristiani, già largamente presente nella Dichiarazione congiunta sottoscritta insieme al Pontefice.
Dopo la tappa a Cuba, il leader ortodosso ha proseguito il suo viaggio in America Latina recandosi in Paraguay, Cile (con una deviazione sull’isola di Waterloo in Antartide) e in Brasile. Proprio lì, durante una cerimonia a Rio de Janeiro, ai piedi del Cristo redentore, Kirill ha lanciato un rinnovato appello alla collaborazione tra cattolici e ortodossi per rispondere alle principali sfide del XXI secolo, in particolare la persecuzione contro i cristiani in vaste aree del pianeta.
Il patriarca – informa L’Osservatore Romano – si è appellato a tutte le persone di buona volontà perché si ponga al più presto fine ai conflitti che in molte regioni mettono a rischio la stessa sopravvivenza delle comunità cristiane. “Ortodossi e cattolici insieme possono rispondere a queste sfide”, ha detto. “Certamente abbiamo ancora differenze di dottrina, ma siamo in grado di lottare insieme per porre fine alla persecuzione dei cristiani”.
Di qui anche un invito a unire le energie pastorali per contrastare insieme la secolarizzazione della società. “Abbiamo bisogno di mantenere intatto il nostro senso morale, perché solo la legge morale che è stata data da Dio, può costituire la base della nostra unione in nome di un futuro migliore per il nostro popolo e l’intera specie umana”, ha rimarcato il primate ortodosso.
Come dal sito del patriarcato di Mosca, ha poi fatto tappa Brasilia per un rito presso la chiesa ortodossa dedicata alla Madre di Dio Odigitria. Anche in quell’occasione, un richiamo a vivere continuamente in uno spirito di conversione.
“La via verso il Signore — ha sottolineato Kirill — è sempre difficile. Il Signore ci ha messo in guardia, dicendo che la via che conduce a Lui è un sentiero stretto. La maggior parte delle persone, la gente di oggi, vuole percorrere la via più larga per aver di più, per consumare di più e avere più divertimento. Ma tutto questo ha ben poco a che fare con la felicità umana. Il Signore – ha concluso – ci invita a percorrere la via stretta. È difficile, ma è una via di grazia e di luce. E la persona è felice in questa via”.

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