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2015 12 09 Cristiani i più perseguitati nel mondo: Europarlamento si muove? BANGLADESH - Minacce ai Pastori cristiani protestanti EGITTO - Minacce jihadiste ai monasteri copti PERù - Uccisi dai maoisti di Sendero: oggi sono beati

Fonte:
CulturaCattolica.it

Cristiani, i più perseguitati nel mondo: Europarlamento si muove?

I cristiani costituiscono la comunità religiosa al mondo maggiormente colpita da odio, violenza e aggressione sistematica. Anche se tale persecuzione avviene fuori dall’Europa, “l’Ue non può permettersi di ignorarla”. E’ quanto ha detto il presidente dell’Europarlamento Schulz intervenuto ieri a Bruxelles ad una conferenza sul tema. Sono 150 milioni i cristiani perseguitati per la fede. Iraq, Siria, Pakistan, Corea del Nord e Nigeria, tra i Paesi maggiormente colpiti.
Il servizio di Paolo Ondarza (per Radio Vaticana)

Torturati, struprati, imprigionati, in una parola perseguitati per la fede in Cristo. Sono i 150 milioni di fedeli che nel mondo soffrono a motivo del loro credo secondo i dati diffusi dalla Ong Open Doors. In 700mila sono fuggiti dalla Siria in 4 anni, il 70% dei cristiani ha lasciato l’Iraq dal 2003. In un solo anno sono 4344 i fedeli uccisi e 1062 le chiese bruciate. A causa del Vangelo in Corea del Nord circa 70mila persone sono in carcere, mentre in Pakistan ogni anno 700 donne sono vittime di conversioni forzate. Va sfatata l’idea che i cristiani siano intrusi nei luoghi in cui l’Islam è ora religione di maggioranza: la loro presenza in Medio Oriente e nel sub continente indiano infatti risale a secoli prima della diffusione del Corano, ha spiegato il vescovo ausiliare di Bruxelles Malines Jean Kockerols nel corso di una conferenza di alto livello organizzata dal Parlamento Europeo. In quest’occasione il presidente Schulz ha inviato l’Ue a scuotersi assicurando l’impegno a proteggere i cristiani ovunque perseguitati.
Quanto le istituzioni europee hanno fatto finora? Alfredo Mantovano, presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre:
R. – Io credo che sia meglio parlare di quanto possono fare da subito e nell’immediato futuro, perché di ciò che è stato fatto finora c’è – ahimé! – ben poco da dire. E’ evidente che la denuncia non può essere il punto d’arrivo, ma che debba essere il punto di partenza. E un punto di partenza dal quale attendersi una traduzione concreta di questa attenzione. Negli ultimi cinque anni, la percentuale di cristiani tra i profughi che arrivano in Europa è salita del 30%, il che sottolinea ancora di più, con questo dato a valle, la persecuzione che c’è a monte. L’altro canale che comunque va preso in seria considerazione con azioni concrete, è quello di fare in modo che nelle aree di partenza non si sia costretti a fuggire. Se i cristiani lasciano in numero così significativo alcuni territori, non è un problema soltanto per ciascuno di loro e per le loro famiglie, ma anche per quei territori che sono oggettivamente impoveriti.
D. – Tant’è che diviene quasi convinzione che i pochi cristiani che rimangono siano quasi degli “intrusi” nei luoghi in cui magari l’islam diventa la religione prevalente …
R. – Se noi vogliamo avere un’idea di quello che succederà tra pochi anni – se non addirittura tra pochi mesi – in zone di antichissimo radicamento cristiano come la Siria e l’Iraq, guardiamo alla presenza cristiana nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Sant’Agostino era vescovo di Ippona: cosa è rimasto, oggi, della comunità cristiana in quel territorio?
D. – Un distorto concetto di laicità, cui spesso si ricorre in Occidente come risposta al radicalismo religioso, sempre più si è rivelato o si rivela inefficace. Allora, come rompere il muro di silenzio sulla persecuzione dei cristiani? A partire da cosa? R. – Ma, a partire, innanzitutto, dalla descrizione di ciò che accade a questi nostri fratelli i quali sono oggi gli autentici testimoni della fede: per il semplice fatto di essere cristiani sono duramente perseguitati. La prima cosa da fare è conoscere, perché l’indifferenza si nutre della non conoscenza del fenomeno. La seconda cosa è chiedersi che cosa possiamo fare, per loro e anche per noi, perché la loro esperienza attuale rischia di essere la nostra esperienza dell’immediato futuro. Se noi riteniamo che nascondere la nostra identità, quasi a vergognarcene, possa renderci indenni da atti di violenza nei nostri confronti, stiamo proprio sbagliando strategia. Si è visto che non funziona e, anzi, mostrarsi poco convinti di se stessi, della propria storia, della propria identità convince l’aggressore a potersi muovere con ancora maggiore virulenza e decisione, perché sa che non incontrerà nessuna resistenza.

D. – E se va rilevato e sottolineato che in Europa non c’è una persecuzione pari a quella in altri continenti, ugualmente non si può dire di un pieno rispetto della libertà religiosa nel Vecchio Continente …
R. – Si fa strada quella discriminazione che è l’anticamera della persecuzione. Certamente vi è un clima di intolleranza culturale non soltanto nei confronti della fede cristiana, ma di uno stile di vita conforme ai principi del diritto naturale. Con sempre maggiore frequenza, dall’intolleranza si sta passando alla discriminazione. Quando l’estensore di una sentenza come quella del Consiglio di Stato di fine ottobre di quest’anno - una sentenza ritenuta da tutti ineccepibile che riguardava la impossibilità di trascrivere nell’ordinamento giuridico italiano un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero – viene additato dalla larga parte dei media come “non adeguato a svolgere il ruolo di giudice”, solo perché è un cristiano, a prescindere dal contenuto della sentenza, beh, vuol dire che stiamo percorrendo la stessa strada che negli Stati Uniti ha portato un’impiegata statale addirittura in carcere, perché si era rifiutata di celebrare civilmente le nozze tra persone dello stesso sesso. E’ un piano inclinato, a valle del quale vi è poi la persecuzione diretta.
(Radio Vaticana 02 12 2015)

BANGLADESH - Minacce ai Pastori cristiani protestanti
“Chi predica il cristianesimo deva lasciare il paese o morire”: è l’avvertimento minatorio ricevuto da dieci leader di comunità cristiane protestanti presenti nel Nord del Bangladesh. Come rivelano fonti locali, le minacce sono giunte in forma di lettere anonime. I Pastori, tutti residenti nella provincia di Rangpur, si sono rivolti alla polizia che ha avviato indagini e rafforzato la sicurezza nella regione, specialmente sui luoghi di culto cristiani.
Di recente il missionario cattolico italiano Piero Parolari è stato ferito gravemente ma ora è fuori pericolo. Data la gravitò della situazione, a molti sacerdoti e Pastori nel Nord del Bangladesh è stata data una scorta. Secondo le stime sono circa 3.000 le chiese cristiane in Bangladesh in un paese con il 90% della popolazione musulmana. (Agenzia Fides 4/12/2015)

EGITTO - Minacce jihadiste ai monasteri copti
Nelle ultime ore, secondo fonti egiziane consultate dall’Agenzia Fides, minacce jihadiste sono state rivolte in particolare contro il monastero copto ortodosso di al Baramos, dedicato alla Vergine Maria. Le minacce sono state corredate di informazioni relative alla dislocazione e alla struttura del monastero, già sottoposto da tempo a misure di protezione consistenti da parte della polizia egiziana.
Alla luce degli ultimi sviluppi, Yussif Malak, avvocato e direttore del Centro egiziano per i diritti umani, ha chiesto che siano garantite misure di protezione eccezionali per le chiese e i monasteri copti sotto minaccia. Malak ha ricordato che minacce analoghe furono diffuse anche prima della strage terroristica compiuta la notte di capodanno del 2011 presso la chiesa copta dei Santi di Alessandria d’Egitto, che provocò 23 morti e un centinaio di feriti.
(Agenzia Fides 7/12/2015).

Uccisi dai maoisti di Sendero: oggi sono beati
Don Alessandro Dordi, sacerdote fidei donum, e i due frati polacchi, Michele Tomaszek e Zbigniew Strzalkowski

Il 6 Dicembre 2015 Papa Francesco ha concluso l’Angelus con un pensiero a quanto avvenuto sabato a Chimbote, in Perù, ossia la proclamazione dei beati Michele Tomaszek e Zbigniew Strzałkowski, francescani conventuali, e Alessandro Dordi, sacerdote fidei donum, uccisi in odio alla fede nel 1991. “La fedeltà di questi martiri nel seguire Gesù dia la forza a tutti noi, ma specialmente ai cristiani perseguitati in diverse parti del mondo, di testimoniare con coraggio il Vangelo”.

Ecco la storia dei nuovi beati:

Uccisi dai maoisti di Sendero: oggi sono beati
di Giorgio Bernardelli

Due giovani francescani polacchi e un sacerdote bergamasco di mezza età. Uccisi nel 1991 a pochi giorni di distanza gli uni dagli altri; colpiti da un’ideologia che non accettava concorrenti tra i poveri delle Ande. È il profilo di don Sandro Dordi e dei padri Miguel Tomaszek e Zbigniew Strzalkowski, i missionari uccisi dalla guerriglia maoista di Sendero Luminoso che oggi a Chimbote in Perù salgono all’onore degli altari con il solenne rito di beatificazione presieduto dal prefetto della Congregazione per le cause dei santi, il cardinale Angelo Amato.
Da quando Benedetto XVI ha voluto riportare i riti di beatificazione nelle diocesi in cui i testimoni del Vangelo sono vissuti, il rischio è quello di derubricare questi eventi al rango di cerimonie locali. Ma in questo caso sarebbe davvero un peccato; questo rito, che avviene a meno di venticinque anni dalla tragica uccisione dei tre missionari, dice, infatti, una parola molto importante su un tema come il primato dei poveri, con così grande forza affermato da papa Francesco. Perché è tra gli ultimi, al servizio delle periferie in assoluto più dimenticate (quelle rurali) che i padri Miguel e Zbigniew e don Sandro hanno speso la loro vita. Trovando la morte proprio per mano di chi, in nome di un’ideologia, pensava di cancellare la povertà attraverso la rivoluzione, da coltivare sulle montagne e poi esportare a Lima, la capitale del Perù.
I due frati - polacchi come il Papa che a Puebla nel 1979 aveva indicato la strada alla Chiesa dell’America Latina - erano arrivati nella cittadina di Pariacoto nel 1989, proprio l’anno in cui l’Europa dell’Est iniziava a uscire dalla cortina di ferro. A mandarli là, a 1200 metri di altezza, era stato l’allora vescovo di Chimbote, monsignor Luis Bambarin; un pastore che aveva ben chiaro il confine tra l’attività in favore dei poveri e l’ideologia armata. Aveva lanciato una campagna dal titolo emblematico: «Mi impegno per Cristo e per il Perù ad essere costruttore di pace e difensore della vita». Non sorprende che Sendero Luminoso lo vedesse come un pericoloso concorrente. «Io stesso sono sopravvissuto a due tentativi di assassinio», ha raccontato monsignor Barbarin, oggi ottantasettenne, in un’intervista a Mondo e Missione (clicca qui). «I terroristi avevano minacciato di uccidere due dei miei preti ogni settimana se non avessi lasciato la diocesi. Allora a Chimbote c’erano quasi solo missionari stranieri, pochissimi preti peruviani».
Non erano solo parole: il 9 agosto 1991 i guerriglieri maoisti prelevarono padre Miguel e padre Zbigniew subito dopo la celebrazione della Messa in parrocchia. E li riportarono cadaveri il giorno dopo. Uccisi per via di attività come leggere la Bibbia, pregare il rosario, organizzare l’attività caritativa: tutte cose che per Sendero Luminoso potevano gravemente ritardare l’avvento della rivoluzione. Pochi giorni dopo toccò a don Sandro Dordi, sacerdote della diocesi di Bergamo donato al Perù come fidei donum, quella forma di cooperazione missionaria che - per volontà di Pio XII, ribadita poi dal Vaticano II - vede anche i preti diocesani partire per la missione. Come gli altri sacerdoti di Chimbote non aveva voluto lasciare la sua gente, don Sandro, pur sapendo i rischi che correva.
«Gli aiuti che ci vengono dall’estero li investiamo senza dar nell’occhio, con molta cautela, perché siamo controllati da Sendero Luminoso che non vuole queste cose, perché sono interpretate come forme di paternalismo imperialista», scriveva pochi giorni prima di morire. «Proprio in questi ultimi giorni per questo motivo i terroristi hanno ammazzato due padri polacchi della nostra diocesi di Chimbote; non descrivo i dettagli raccapriccianti dell’uccisione di questi due sacerdoti. Noi pure siamo in una situazione tesissima perché non mancano le minacce… viviamo in uno stato di preoccupazione ed angoscia… pregate per noi». Il 25 agosto di quello stesso anno fu ucciso anche lui. Quindici giorni dopo, esattamente come avevano detto a monsignor Barbarin.

Il sangue di questi martiri non è stato inutile: ha rivelato a tutti il vero volto di Sendero Luminoso. Se colpivano così quelli che spendevano la vita per i poveri, in favore di chi era la rivoluzione che i guerriglieri predicavano? «La beatificazione di questi tre martiri», ha commentato ancora monsignor Bambarin su Mondo e Missione, «è un evento storico per il Perù. Consegna definitivamente al passato il capitolo sinistro del conflitto interno costato al Paese 70 mila morti». Martiri della verità annunciata stando accanto ai poveri. Figure oggi quanto mai preziose.
LNBQ 7 dicembre 2015

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