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2015 12 02 Papa Francesco: non “ricordiamo” i martiri ma testimoniamo. IRAQ - Erbil una tenda come Porta Santa del Giubileo. Pakistan parla Marito Asia Bibi; Rapimento e conversione all’islam di una 13enne cristiana; bruciata sede di una Tv cristiana

Fonte:
CulturaCattolica.it

Papa Francesco nella sua visita in Uganda ha celebrando i martiri cattolici e anglicani trucidati fra il 1885 e il 1887 dal re Mwanga II per non avere voluto rinnegare la loro fede cristiana e – nel caso di San Carlo Lwanga e dei suoi compagni, canonizzati cinquantuno anni fa dal beato Paolo VI – per non avere voluto cedere alle brame omosessuali del sovrano.

Il Papa ha voluto visitare a Namugongo, il luogo del martirio di 45 cristiani, anzitutto il santuario anglicano, scoprendo una targa e raccogliendosi in preghiera silenziosa. Ha quindi celebrato la Messa nel santuario cattolico, dove ha ricordato che «dall’età apostolica fino ai nostri giorni, è sorto un grande numero di testimoni a proclamare Gesù e a manifestare la potenza dello Spirito Santo».
«Oggi, ha detto, ricordiamo con gratitudine il sacrificio dei martiri ugandesi, la cui testimonianza d’amore per Cristo e la sua Chiesa ha giustamente raggiunto “gli estremi confini della terra”. Ricordiamo anche i martiri anglicani, la cui morte per Cristo dà testimonianza all’ecumenismo del sangue». «Non ci si appropria di questa eredità», ha aggiunto Francesco, «con un ricordo di circostanza o conservandola in un museo come fosse un gioiello prezioso. La onoriamo veramente, e onoriamo tutti i Santi, quando piuttosto portiamo la loro testimonianza a Cristo nelle nostre case e ai nostri vicini, sui posti di lavoro e nella società civile, sia che rimaniamo nelle nostre case, sia che ci rechiamo fino al più remoto angolo del mondo».
Il Pontefice ha evocato in particolare «i santi Joseph Mkasa e Charles Lwanga, che, dopo essere stati istruiti nella fede dagli altri, hanno voluto trasmettere il dono che avevano ricevuto. Essi lo fecero in tempi pericolosi. Non solo la loro vita fu minacciata ma lo fu anche la vita dei ragazzi più giovani affidati alle loro cure. La loro fede divenne testimonianza; oggi, venerati come martiri, il loro esempio continua a ispirare tante persone nel mondo».

Iraq: ad Erbil, una tenda come Porta Santa del Giubileo
Una tenda aperta come Porta Santa da varcare pregando per le proprie vite, per quelle dei propri cari e per l’Iraq. La comunità cattolica irachena si appresta a vivere il Giubileo della Misericordia da sfollata all’interno del proprio Paese. Come riferisce l’agenzia Sir, persa Mosul, dove i terroristi del sedicente Stato Islamico (Is) hanno cancellato una presenza più che millenaria, quasi disabitata la Piana di Ninive, dopo che l’estate scorsa 120mila cristiani furono costretti alla fuga dall’avanzata dell’Isis, la minoranza cristiana oggi conta meno di mezzo milione di fedeli, rispetto al milione e mezzo che era prima dell’invasione dell’Iraq, nel 2003, da parte degli americani e dei loro alleati. La maggior parte ora si trova nelle zone curde ritenute più sicure, a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, in particolare nel sobborgo cristiano di Ankawa. Qui sono al sicuro, ma non hanno prospettive di sorta.

Patriarca Sako: il martirio, carisma della Chiesa in Iraq
“La gente vorrebbe tornare nelle proprie città e villaggi ma ciò è semplicemente impossibile”, testimonia il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Sako che nella lettera pastorale intitolata “La Misericordia è il cammino del cristiano” esorta i fedeli a vivere il Giubileo nella memoria dei martiri come l’arcivescovo di Mosul, Paolo Faraj Rahho, i padri Raghid Ganni, Wassim e Thair e tanti fedeli che hanno perso la vita per la loro fede. “Per noi cristiani dell’Iraq il martirio è il carisma della nostra Chiesa – spiega il Patriarca – in quanto minoranza siamo di fronte a difficoltà e sacrifici, ma siamo coscienti di essere testimoni di Cristo e ciò può significare arrivare al martirio”.

Lasciare sempre aperta la Porta della Misericordia
Per Cristo, secondo il Patriarca Sako, “bisogna andare sempre oltre, fino al sacrificio come hanno fatto i cristiani di Mosul e dei villaggi della piana di Ninive un anno fa. Sono per noi un onore e un segno di generosità. Per questo la porta della Misericordia deve essere sempre aperta!”.

13 dicembre, apertura Porta Santa ad Erbil
Ne sanno qualcosa le decine di migliaia di sfollati cristiani che vivono a Erbil. L’arcivescovo caldeo Bashar Matti Warda, aprirà la Porta Santa nella cattedrale di san Giuseppe, nel sobborgo cristiano di Ankawa, il 13 dicembre. “In questi mesi – racconta – abbiamo intrapreso un cammino di preparazione con tanti nostri fedeli rifugiati. Ogni settimana quattro ore di formazione. Essi hanno bisogno di supporto spirituale e materiale, hanno bisogno di pregare, di raccontare le loro storie, di rielaborare ciò che è accaduto per prendere coscienza della situazione in cui oggi si trovano. Hanno bisogno di tutto perché non hanno più nulla. Sono aggrappati alla fede in Cristo. Questa li sostiene e dà loro forza per andare avanti, nonostante tutto”.

Una tenda a rappresentare la Porta Santa dei cristiani sfollati
A rappresentare questa nuova condizione di vita è una tenda, l’unico riparo che hanno avuto dopo essere fuggiti. Anche se oggi in tanti vivono in piccoli appartamenti e caravan, doni delle Chiese del mondo e del Governo curdo. Per questo, rivela mons. Warda, “vorremmo ci fosse anche una tenda a rappresentare la Porta Santa della Misericordia”. Un desiderio che l’arcivescovo sta cercando di realizzare insieme a padre Douglas Al Bazi, sacerdote caldeo della diocesi, che in passato fu rapito e torturato da terroristi islamici. “Abbiamo una vocazione – ribadisce mons. Warda – testimoniare la gioia del Vangelo anche se viviamo in un Paese dilaniato dall’odio e dalla guerra. L’Anno Santo sarà un tempo di benedizioni”.
(Radio Vaticana 30 11 2015)

PAKISTAN - Marito Asia Bibi: nostra famiglia in fuga per paura
Ashiq Masih, il marito di Asia Bibi, la donna cristiana pachistana arrestata nel 2009 e in carcere con la falsa accusa di blasfemia, racconta al quotidiano Avvenire le difficoltà che la sua famiglia sta soffrendo e il clima di terrore in cui lui e i suoi figli vivono da quando, nel 2011, la donna è stata condannata a morte dalle autorità pakistane. “Quel giorno hanno condannato anche noi. Siamo stati costretti a fuggire dal nostro paesino nel Punjiab perché considerati la famiglia della blasfema, racconta Ashiq, e trasferirci nella città di Lahore”. Qui però ha incontrato molte difficoltà, sia nel trovare lavoro, sia nel potersi permettere l’affitto di una casa per sé e i suoi cinque figli. Da quando, infatti, dice ad Avvenire, la Corte suprema pakistana ha accettato il ricorso alla sentenza del 2011 che condannava a morte Asia Bibi, la tensione degli estremisti è cresciuta, al punto da fare pressioni, facendo circolare le sue foto, per evitare che gli offrissero un lavoro.
Due figli maschi sono nascosti in un’altra località protetta
Ora Ashiq vive con le sue tre figlie femmine nell’aula di una delle scuole della Renaissance Education Foundation di Lahore, mentre gli altri due figli maschi sono nascosti in un’altra località protetta. “E’ brutto uscire solo dopo il tramonto, quando c’è poca gente - racconta ancora il marito di Asia Bibi- tenere le imposte abbassate per paura di essere visti dai vicini, evitare di rivolgere la parola alle persone che incontri, non avere amici. Soprattutto per le ragazze, che sono rimaste con me. Sono giovani, soffrono tanto la solitudine. Non possiamo, però, lamentarci. Asia sta molto peggio di noi: è chiusa in una cella da oltre cinque anni. Dobbiamo essere forti anche per lei».
(Radio Vaticana 29 11 2015)

PAKISTAN - Rapimento e conversione all’islam di una 13enne cristiana
E’ un caso che sta scuotendo la comunità cristiana nel Punjab pakistano: Sana John, adolescente cristiana di 13 anni, è stata rapita e convertita all’islam con la forza ad Haji Pura, nei pressi di Silakot. Come comunica a Fides l’Ong pakistana “Life for All”, che si sta impegnando e ha lanciato un appello per salvarla e restituirla alla sua famiglia, il padre della ragazza, Shahid John, che ha altri cinque figli, non l’ha vista tornare a casa la mattina del 9 novembre, dopo averla accompagnata a scuola.
La sorella di Sana ha raccontato che, mentre stavano tornando a casa dopo la scuola, alcuni uomini musulmani le hanno fermate e hanno prelevato Sana. La famiglia cristiana è stata poi minacciata perché non sporgesse denuncia. Ma anche una volta presentata la denuncia, la polizia non ha preso finora alcuna iniziativa
Shahid John racconta a Fides tutta la sua disperazione: “In Pakistan non c'è giustizia per i poveri e, soprattutto, nessuno si preoccupa per i cristiani, nessuno ha sentito il mio grido. La polizia non persegue i colpevoli, nessuno sta facendo niente per noi”.
Tramite “Life for All”, la famiglia di Sana ha lanciato un appello alle autorità per ottenere giustizia. L’Ong afferma in una nota: “Sono casi frequenti: persone influenti usano il loro potere per farla franca. Migliaia di ragazze minorenni vengono rapite e forzatamente convertite ogni anno. I casi sono segnalati, ma i tribunali e le autorità interessate chiudono un occhio e gli emarginati soffrono. Fino a quando sarà tollerata questa ingiustizia?”.
Secondo fonti di Fides i casi di ragazze delle minoranze religiose cristiane e indù rapite e convertite all’islam, spesso costrette a nozze islamiche, sono circa mille ogni anno. Ma si tratta solo dei casi registrati con denunce ufficiali. (Agenzia Fides 26/11/2015)

PAKISTAN - Karachi: uomini mascherati bruciano sede di una Tv cristiana
Un gruppo di uomini mascherati nella notte ha appiccato il fuoco alla sede di Gawahi Tv, un’emittente cristiana di Karachi. L’edificio è crollato per l’incendio. Secondo il personale della televisione, l’incidente è avvenuto alle 2.30 di notte (ora locale), e gli uomini sono stati visti mentre fuggivano dal posto, dopo aver dato alle fiamme l’intero complesso.
Circa 12 milioni di persone seguono la Tv in modo regolare
Gawahi Tv - riferisce l'agenzia AsiaNews - è un’emittente fondata nel febbraio del 2013 in collaborazione con la Chiesa cattolica e quelle protestanti, per “diffondere il Vangelo di Gesù Cristo a persone di tutte le religioni che vivono in Pakistan”. Il canale trasmette 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Come riportato dal sito della televisione, circa 12 milioni di persone lo seguono in modo regolare.
In passato l’emittente aveva ricevuto minacce
La direzione della Televisione ha sporto denuncia e la polizia ha iniziato ad indagare sull’incidente. In passato vi erano già state minacce all’emittente e nonostante le molte richieste, le autorità non sono state in grado di fornire la sicurezza necessaria. Alcuni membri della Chiesa cattolica, compresi diversi sacerdoti, hanno fatto visita al luogo dell’incendio, esprimendo disappunto per quanto accaduto. Padre John Arif, della diocesi di Karachi, dice: “È stato sconfortante vedere tutto l’edificio e tutte le attrezzature bruciate. Il canale era attivo per comunicare la parola di Dio. Ci sono state delle minacce e ora la questione è sotto investigazione. Speriamo di poter vedere presto di nuovo il canale. Preghiamo per la pace e per la tolleranza”.
(Radio Vaticana 25 11 2015)

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