2015 11 04 CENTRAFRICA: ancora violenze. Crescono i timori e per il viaggio del Papa. Pakistan: Ventenne cristiana dice no a nozze islamiche. Arsa viva. INDONESIA: Violenza sui fedeli e demolizione delle chiese
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CENTRAFRICA: ancora violenze. Crescono i timori e per il viaggio del Papa
Altri due morti nelle ultime ore in attacchi di gruppi musulmani contro i quartieri cristiani.
Donne e bambini in fuga; incerte le elezioni di dicembre
Nonostante l’appello di pace per la Repubblica Centrafricana, espresso dal Papa durante l’Angelus di domenica, continua a salire la tensione nella capitale Bangui, dove, tra sabato e lunedì, due persone sono rimasti uccisi negli scontri tra musulmani e cristiani che si aggiungono ai quattro di giovedì.
Molte altre persone sono rimaste ferite; alcune case sono state incendiate e sono state segnalate numerose sparatorie nei quartieri della città assediati da formazioni di matrice jihadista. Donne e bambini - riferisce la stampa internazionale - sono state costrette alla fuga.
A dicembre nella Repubblica Centrafricana sarebbero previste le elezioni politiche e presidenziali. Ma le violenze fanno sembrare tutto più incerto. Come incerta appare ora la tappa del Pontefice nel paese per motivi di sicurezza, anche se lo stesso Francesco nell’Angelus ha annunciato: “Domenica 29 novembre ho in animo di aprire la Porta Santa della cattedrale di Bangui, durante il Viaggio apostolico che spero di poter realizzare in quella Nazione.”
I timori non riguardano solo la sicurezza del Santo Padre e delle persone che lo accompagnano, inclusi i numerosi giornalisti di tutto il mondo. La questione più delicata e che consiglia un’analisi attenta di ogni circostanza fino al 29 (data in cui il Papa concluderà la seconda tappa del Pellegrinaggio in Uganda) riguarda invece la reazione che si potrebbe registrare tra i gruppi islamisti più estremisti e che non sono sotto il controllo dei leader musulmani moderati.
Roma, 02 Novembre 2015 (ZENIT.org)
Pakistan: Ventenne cristiana dice no a nozze islamiche. Arsa viva
Sonia Bibi è ora ricoverata con ustioni sull’80% del corpo. Il fenomeno di sequestri e matrimoni forzati subiti da donne di minoranze religiose conta oltre 1000 casi all’anno
In Pakistan il fenomeno di ragazze appartenenti a minoranze religiose rapite, vittime di abusi e violenze e costrette al matrimonio islamico è divenuto una pratica ormai radicata che - secondo dati dell’agenzia Fides - tocca mille donne ogni anno. A queste si aggiunge ora Sonia Bibi, ventenne cristiana che in queste ore lotta tra la vita e la morte a causa delle ustioni riportate sull’80% del corpo, a seguito dell’attacco dell’uomo musulmano che la pretendeva. Latif Ahmed, questo il nome dell’aguzzino, ha dato sfogo alla più brutale violenza dopo l’ennesimo rifiuto della ragazza alla sua proposta di matrimonio. Sonia non voleva sposare quell’uomo, tantomeno convertirsi all’Islam. Ahmed l’ha quindi cosparsa di benzina e arsa viva.
Ora si trova in carcere, ma non sempre questo accade, visto che - fa notare Vatican Insider - gli uomini musulmani si sentono garantiti dall’impunità nel commettere tali abusi verso donne appartenenti a minoranze religiose, e per questo considerate subalterne, e trovano spesso il sostegno della polizia e della magistratura. “È molto difficile avere giustizia e arrivare a una punizione per i responsabili. Spesso in questi casi, la polizia non agisce o, peggio, si schiera con gli stupratori”, osserva infatti l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, che ha seguito diversi casi. “Le famiglie cristiane o i testimoni subiscono pressioni per ritirare le denunce. La violenza su donne e bambini delle minoranze religiose spesso avviene in silenzio: le storie non emergono”.
Roma, 28 Ottobre 2015 (ZENIT.org)
INDONESIA - Violenza sui fedeli e demolizione delle chiese: cresce l’intolleranza ad Aceh
La demolizione di tre piccoli edifici di culto cristiani (due protestati, uno cattolico) nella provincia indonesiana di Aceh, sull’isola di Sumatra, e la fuga di circa 8.000 fedeli, in seguito alla violenze dei radicali islamici, causano “profonda preoccupazione per la sicurezza di migliaia di cristiani che rimangono in pericolo”: lo scrive il rev. Olav Fykse Tveit, leader del Consiglio Mondiale delle Chiese, esprimendo solidarietà e vicinanza ai credenti indonesiani e invocando pace e libertà religiosa. I cristiani sono stati messi in fuga nel distretto di Aceh Singkil, in seguito alla distruzione di piccole chiese, sulla scia di proteste violente contro le pratiche cristiane e contro la presenza cristiana nei villaggi del distretto. La demolizione era autorizzata dai funzionari locali perchè gli edifici sono stati costruiti “senza regolare licenza”.
In una nota pervenuta a Fides, il rev. Olav Fykse Tveit condanna “i recenti attacchi alle chiese e ai cristiani nella provincia di Aceh, mentre si sforzano di essere fedeli testimoni del Vangelo di Gesù Cristo. Il Consiglio Mondiale delle Chiese, deplorando la violenza contro persone e comunità sulla base della loro identità religiosa, invita il governo indonesiano ad agire rapidamente per portare i responsabili davanti alla giustizia”.
Ad Aceh vige la sharia (legge islamica) e, per fare attività di culto, le chiese deve essere autorizzate e registrate. (Agenzia Fides 28/10/2015)
TESTIMONIANZA
Mons. Warda: “Il numero di cristiani in Iraq potrebbe diminuire ancora”
Oltre un anno dopo l’esodo da Mosul e dalla Piana di Ninive, l’arcivescovo caldeo di Erbil ha detto che i “cristiani hanno perso ogni speranza”
“I cristiani ormai hanno perso qualsiasi speranza di tornare presto alle loro case”. Così l’arcivescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Matti Warda, ha descritto lo stato d’animo dei suoi fedeli durante una vista al quartier generale di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Germania.
A più di un anno dal massiccio esodo di cristiani da Mosul e dalla Piana di Ninive “nessuno si lascia andare a false illusioni sulla possibilità che i territori in mano ad Isis possano essere liberati in breve tempo”. Intanto la Chiesa cerca di fare il possibile per alleviare le sofferenze della popolazione e aiutare i cristiani a rimanere in Iraq. “Quando vedono i tanti sforzi che facciamo per loro, sono meno propensi ad emigrare”, afferma monsignor Warda.
Tuttavia molte famiglie cristiane continuano ad abbandonare la loro patria. Delle 13500 famiglie di fedeli registrate lo scorso anno nella diocesi di Erbil, oggi ne rimangono soltanto 10mila. Secondo il presule ad incentivare la fuga dei cristiani all’estero, sono anche le tante immagini che giungono dall’Europa. “In televisione vedono l’enorme flusso di rifugiati che giungono nei paesi europei e si convincono che le porte del Vecchio Continente sono spalancate. E di certo ciò rende il nostro tentativo di convincerli a rimanere in Iraq molto più difficile”.
La Chiesa continua a sua opera di assistenza alle migliaia di sfollati cristiani, offrendo aiuti umanitari e cura pastorale. “Grazie al sostegno di Aiuto alla Chiesa alla Chiesa che Soffre nessuno vive più nelle tende, come lo scorso anno, quando ad Erbil sono giunti oltre 120mila cristiani costretti ad abbandonare le proprie case dallo Stato Islamico”. Dal giugno 2014, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato alla Chiesa irachena oltre 11milioni di euro, in parte per l’acquisto e l’istallazione di case prefabbricate e il pagamento dell’affitto di alcuni appartamenti per le famiglie cristiane.
“Inoltre ACS ci ha donato 8 scuole prefabbricate, grazie alle quali tutti i bambini di Erbil e tutti i piccoli rifugiati ricevono un’istruzione”. Anche la distribuzione del cibo avviene ormai regolarmente. Ogni mese, tutte le famiglie ricevono di che vivere per almeno trenta giorni: riso, zucchero, olio, fagioli, carne, formaggio e acqua. Un sostegno che ACS continua a garantire, donando in media 120mila euro al mese soltanto per questo progetto.
Accanto al sostegno pratico, la diocesi garantisce anche la cura pastorale. “Da poco abbiamo organizzato un Festival della Fede, a cui hanno partecipato 1200 persone. Sono rimasto profondamente colpito dalle storie che ho ascoltato. Quando i nostri fratelli nella fede sono stati costretti a fuggire, non hanno perso soltanto le loro case, ma anche la loro gioia, la loro fiducia, i loro sogni”. La vicinanza della Chiesa, espressa dall’amore e la cura dei sacerdoti e delle religiose ha aiutato i cristiani ad avere coraggio e a mantenere una fede forte.
Tuttavia, guardando al futuro, monsignor Warda teme che il numero di cristiani in Iraq possa continuare a diminuire. “Facciamo quello che possiamo per impedirlo. Noi cristiani d’Iraq apparteniamo a questa terra”. Roma, 27 Ottobre 2015 (ZENIT.org)