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2015 09 23 Papa: In Siria ed in Iraq il male distrugge gli edifici ma soprattutto la coscienza dell’uomo INDIA - Una suora carmelitana uccisa LAOS - Muore in carcere un cristiano PAKISTAN - Allarme di un Vescovo anglicano: “I cristiani fuggono dal Pakista

Fonte:
CulturaCattolica.it
Il Papa insiste. Guerra e deliberato sterminio di cristiani.
E svela di portare in tasca la croce di un sacerdote sgozzato in Iraq.
Ma da noi si continua a tacere sull’origine e lo scopo della migrazione in atto (solo con riferimento alla Siria, più di 10milioni di persone non hanno più la casa e sono state costrette a fuggire dal proprio Paese).
I Maristi di Aleppo stanno attenti a raccontare ciò che accade perché “la ripetizione della denuncia dei crimini commessi e delle sofferenze patite dai siriani, rischia di diventare una banalità”, come si può leggere nella prime delle due testimonianze.
Nella seconda Mons. Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo, afferma inoltre che “questa guerra ha lo scopo di distruggere e poi dividere la Siria per interessi regionali e internazionali”. Si tratta - precisa l’arcivescovo - “del commercio di armi e di interessi strategici”. Quegli stessi interessi strategici che hanno portato “alla distruzione dell’Iraq e della Libia in passato e dello Yemen in questi giorni”.
E i cristiani sono costretti a fuggire anche dal Pakistan mentre dal resto del mondo arrivano solo le notizie più importanti e poco si racconta del quotidiano drammatico di tanti cristiani.

La croce di un sacerdote sgozzato in Iraq nella tasca di Bergoglio 
Da alcuni giorni Papa Francesco porta con sé la croce di un sacerdote sgozzato in Iraq. Lo ha rivelato lui stesso il 17 Settembre durante l’incontro con i giovani consacrati e consacrate di tutto il mondo, in Aula Paolo VI, riuniti a Roma per l’Incontro mondiale. “So che fra voi ci sono consacrati e consacrate dall’Iraq e dalla Siria”, ha detto il Pontefice, prima di rivolgere il lungo discorso a braccio ai religiosi. 
“Vorrei iniziare con un pensiero ai nostri martiri dell’Iraq e della Siria, i nostri martiri di oggi. Forse voi ne conoscete tanti o alcuni… Alcuni giorni fa, in piazza, un sacerdote iracheno si è avvicinato e mi ha dato una croce piccola: era la croce che aveva in mano il sacerdote che è stato sgozzato per non rinnegare Gesù Cristo. Questa croce la porto qui…”. 
“Alla luce di queste testimonianze dei nostri martiri di oggi - che sono più dei martiri dei primi secoli -”, ha aggiunto il Pontefice, “e anche dei martiri della vostra terra irachena e siriana, vorrei incominciare il nostro dialogo ringraziando il Signore: che la sua Chiesa compia nel suo Corpo quello che manca alla Passione di Cristo, ancora oggi, e chiedendo la grazia del piccolissimo martirio quotidiano, di quel martirio di tutti i giorni, nel servizio di Gesù e della nostra vita consacrata”.


Iraq-Siria. Papa: In Siria ed in Iraq, il male distrugge gli edifici e le infrastrutture, ma soprattutto distrugge la coscienza dell’uomo
“La comunità internazionale non sembra capace di trovare risposte adeguate” alla crisi in Siria e in Iraq, Paesi travolti da un “oceano di dolore”. E’ quanto ha detto Papa Francesco rivolgendosi stamani ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum ed incentrato sulla situazione umanitaria in questa tormentata regione mediorientale.
I conflitti in Siria e in Iraq provocano atroci sofferenze nella popolazione e continuano ad aprire insanabili ferite nel patrimonio culturale di questi Paesi. Milioni di persone - osserva il Papa - lasciano le loro terre di origine:
“Di fronte ad un tale scenario e a conflitti che vanno estendendosi e turbando in maniera inquietante gli equilibri interni e quelli regionali, la comunità internazionale non sembra capace di trovare risposte adeguate, mentre i trafficanti di armi continuano a fare i loro interessi. Armi bagnate nel sangue, sangue innocente”.
Le atrocità dei conflitti, le violazioni dei diritti umani – aggiunge il Santo Padre - sono sotto gli occhi del mondo grazie ai mezzi di informazione:
“Nessuno può fingere di non sapere! Tutti sono consapevoli che questa guerra pesa in maniera sempre più insopportabile sulle spalle della povera gente. Occorre trovare una soluzione, che non è mai quella violenta, perché la violenza crea solo nuove ferite, crea violenza”. 
Ad essere colpiti – ricorda il Pontefice - sono i più deboli: le famiglie, gli anziani i malati e i bambini. Sono indifesi anche i cristiani cacciati dalle loro terre, “tenuti in prigionia e addirittura uccisi”. Papa Francesco esorta in particolare gli organismi cattolici, in collaborazione con le istituzioni internazionali, a proseguire nel loro impegno umanitario:
“In Siria ed in Iraq, il male distrugge gli edifici e le infrastrutture, ma soprattutto distrugge la coscienza dell’uomo… Per favore: non abbandonate le vittime di questa crisi, anche se l’attenzione del mondo venisse meno”.
(Radio Vaticana 17 09 2015)


INDIA - Una suora carmelitana uccisa in Kerala 
Omicidio in seguito a una rapina: questa la pista che gli inquirenti stanno seguendo per la morte della Carmelitana Suor Amala Valummel, 69enne, trovata morta in un convento di Palai, in Kerala, stato nel Sud dell’India. La Chiesa locale ha espresso dolore e sconcerto per il tragico episodio, auspicando che la polizia possa individuare e portare davanti alla giustizia i colpevoli.
La religiosa è stata trovata morta nella sua cella dalle consorelle che l’hanno cercata dopo che, la mattina del 17 settembre, non si era presentata alla Messa mattutina. Le suore appartengono alla Congregazione della Madre della Carmelo, iniziata in Kerala da San Ciriaco della Sacra Famiglia.
Secondo quanto riferito dalla polizia, la suora aveva diverse ferite alla testa. La polizia sospetta che sia stata uccisa durante un tentativo di rapina. Le suore hanno informato che da una stanza vicina a quella di suor Amala mancano circa 500 rupie. Gli agenti stanno interrogando il personale in servizio nel convento e alcuni operai che stavano lavorando al restauro dell’edificio. La suora era originaria di Ramapuram, nei pressi di Palai, e da alcuni anni era inferma.
(Agenzia Fides 18/9/2015)


LAOS - Muore in carcere uno dei cristiani condannati per aver pregato per una donna malata 
E’ morto in prigione, a causa delle complicanze di un grave diabete, Tiang, un cristiano del villaggio di Huey, nel distretto Atsaphangthong, parte del territorio della provincia di Savannakhet. Tiang era stato arrestato e condannato a nove mesi di carcere dal tribunale di Savannakhet. Come riferisce a Fides l’Ong “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” (HRWLRF), Tiang soffriva di diabete e aveva bisogno di cure specifiche per le complicazioni della malattia: ma le cure in carcere non gli sono state somministrate. Durante la prigionia Tiang ha chiesto il permesso di essere curato in un ospedale, ma i funzionari del carcere hanno negato il permesso. 
Tiang lascia la moglie e sei figli.
Insieme con altri quattro cristiani, Tiang era stato riconosciuto colpevole di violazione di una legge sull’assistenza sanitaria (l’accusa era “abuso della professione medica”) con una sentenza di nove mesi di carcere e una pesante multa (vedi Fides 16/2/2015). I tre avevano visitato una donna cristiana molto malata e pregato per la sua guarigione. La donna, malata terminale, poi è deceduta, e i tre sono stati accusati dei averne provocato la morte e arrestati. Il Tribunale provinciale di Savannakhet ha equiparato la preghiera di guarigione a un “trattamento medico” disposto la condanna e la reclusione. I cristiani hanno presentato appello ma nell’attesa della sentenza, Tiang è deceduto. (Agenzia Fides 21/9/2015)


PAKISTAN - Allarme di un Vescovo anglicano: “I cristiani fuggono dal Pakistan” 
La crescente violenza contro i cristiani sta generando la fuga dei fedeli dal Pakistan. Lo afferma il Vescovo anglicano di Lahore, Alexander John Malik, notando che vi è stato negli ultimi anni un aumento della violenza contro i cristiani del Pakistan. “A causa di discriminazioni e persecuzioni, oltre 100.000 cristiani pakistani sono fuggiti nei campi profughi delle Nazioni Unite in Thailandia, Sri Lanka, Malesia e Filippine negli ultimi anni” afferma il Vescovo in una nota inviata all’Agenzia Fides. 
“A causa delle legge sulla blasfemia e della diffusa intolleranza, i cristiani pakistani subiscono discriminazioni e maltrattamenti compiuti da cittadini musulmani ma anche da parte dello stato” osserva. “Interi quartieri vengono attaccati o bruciati come conseguenza dell’accusa di blasfemia rivolta ad un solo cristiano” prosegue. Inoltre “centinaia di ragazze cristiane ogni anno sono rapite e costrette a convertirsi all’Islam e a sposare un musulmano”. In molti casi, nota il Vescovo, “per le minoranze religiose è quasi impossibile ottenere giustizia dalle istituzioni dello Stato”, come la magistratura e il governo. Per questa situazione, molti scelgono di vendere i propri beni ed emigrare verso altri paesi asiatici. “Ci sono oltre sei milioni di cristiani in Pakistan, estremamente vulnerabili” conclude. (Agenzia Fides 19/9/2015)


PAKISTAN - Violenza su una famiglia cristiana per rubare la casa e la terra 
Una famiglia cristiana ha rischiato di essere bruciata viva per l’aggressione di un gruppo di musulmani che volevano rubare la casa e la terra. Come riferito a Fides dall’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, la casa è stata ridotta in cenere dopo l’attacco dei musulmani, avvenuto il 10 settembre, ma gli occupanti sono riusciti a fuggire, salvandosi la vita.
Il motivo, spiega Gill, va cercato nel fenomeno del “land grabbing” (“accaparramento di terreni”), per cui alle persone più deboli e vulnerabili, come i cristiani, vengono strappati i beni con la violenza, in modo del tutto illegale. 
La vittima, il cristiano Boota Masih, 38 anni, ha dichiarato: “Nonostante la presenza di testimoni oculari, la polizia locale è stata riluttante a registrare una denuncia ufficiale”. Masih, commerciante di frutta, e sua moglie, insegnante di scuola, hanno raccontato dell’aggressione e di persone che sono entrate con violenza in casa, minacciando. Al rifiuto di lasciare l’abitazione, i musulmani hanno iniziato a picchiare e poi hanno sparso benzina per dare fuoco alla casa, chiudendo a chiave Boota e la sua famiglia dentro una stanza. I cristiani sono riusciti a salvarsi rompendo una finestra e fuggendo. “Altri cristiani locali sono venuti a a salvarci, chiamando la polizia e i vigili del fuoco”, racconta. Masih aveva acquistato la casa dalla famiglia del musulmano Ghulam, che ne rivendica inspiegabilmente e con violenza la proprietà. 
In una nota inviata a Fides, l’avvocato Gill “condanna con forza questi atti di violenza che creano paura e insicurezza tra i cristiani” e invita le autorità “ad adottare misure severe per far rispettare la legge e punire i colpevoli”. (Agenzia Fides 21/9/2015)


NEPAL - La Costituzione conferma lo stato laico, i gruppi estremisti attaccano tre chiese 
La nuova Costituzione del Nepal, che sarà promulgata ufficialmente il 20 settembre, conferma la laicità dello stato, dato che l’assemblea del Parlamento che la sta votando ha respinto la proposta di far tornare il paese a essere una “nazione indù”. L’assetto istituzionale di “stato laico” ha trovato il favore e l’apprezzamento della Chiesa cattolica e delle altre minoranze etniche e religiose, ma ha generato le proteste di alcuni gruppi nazionalisti indù.
Secondo fonti locali di Fides, nelle manifestazioni di protesta, due bombe sono esplose in due chiese nel distretto di Jhapa, nel Nepal orientale, il 14 settembre, causando alcuni danni alle strutture ma nessun ferito. Inoltre tre agenti della polizia sono rimasti feriti, la mattina del 15 settembre, nel tentativo di disinnescare una bomba rimasta inesplosa in una terza chiesa. Nei luoghi degli attentati sono stati rivenuti opuscoli di una organizzazione radicale indù, “Hindu Morcha Nepal”.
Il Nepal è stato dichiarato “stato laico” già nel 2007, dopo l’abolizione della monarchia indù, ma negli anni successivi si è assistito alla crescita del nazionalismo indù, nella società e nella politica, guidato dal “Rastirya Prajatantra Party –Nepal” (RPP-N).
Tra le preoccupazioni dei cristiani nepalesi, oltre a questi gruppi violenti, c’è anche la modifica dell’articolo 31 del testo della Costituzione, che dichiara “punibile dalla legge ogni atto per convertire un’altra persona da una religione ad un’altra” e “qualsiasi comportamento che metta in pericolo la religione di un altro”. Questo articolo potrebbe essere strumentalizzato dai gruppi fanatici indù ed essere usato per colpire i cristiani, accusandoli di proselitismo, come avviene in India. (Agenzia Fides 16/9/2015)


YEMEN - Devastata da un incendio vandalico una chiesa a Aden 
La chiesa della Sacra Famiglia a Aden è stata saccheggiata e data alle fiamme da uomini armati non identificati, ma che secondo gli osservatori potrebbero appartenere alla rete di al Qaida, radicata nella regione.. 
La storia della chiesa
La chiesa bruciata ad Aden, dove infuria da anni il conflitto tra gli sciiti (huthi) e i sunniti, è stata fatta costruire dal famoso missionario Guglielmo Massaja allorché quella missione fu annessa al Vicariato Apostolico dei Galla (Etiopia) che gli era stato affidato nel 1846 da Papa Gregorio XVI. Quando il grande missionario arrivò nella città yemenita, la missione era stata aperta da appena cinque anni dallo spagnolo padre Antonio Bonajunta Foguet, dei Servi di Maria, che ve l’aveva trasferita da Gedda, ed era composta da una capanna per il missionario e da una cappella in cui celebravano l’Eucaristia i missionari diretti in Oriente. Poco dopo vi fu costruita una seconda cappella, dedicata alla Madonna Addolorata, dal confratello padre Marco Gradenigo, con il quale finì la presenza dei Servi di Maria ad Aden. Essi furono sostituiti da un sacerdote genovese, don Luigi Sturla, con il quale il Massaja decise di costruire una chiesa più grande, affidandone la direzione a un suo confratello, fra Pasquale da Duno, che in poco più di un anno costruì quella dedicata alla Sacra Famiglia a tre navate, “solida, ma non bella”, scrisse un missionario. 
Essa non poté essere consacrata dal Massaja perché indaffarato a trovare un via per penetrare nel suo Vicariato, dove giunse dopo sei anni di tentativi, narrati da lui stesso nell’opera “I miei 35 anni di missione nell’Alta Etiopia”. A causa della guerra, dallo Yemen sono partiti quasi tutti cattolici (gli indiani sono stati richiamati dal governo, compresi i sacerdoti); i pochi rimasti sono assistiti da fr. Thomas A. Kizhake Nellikunnel e da fr. George Muttathuparambil, ambedue salesiani indiani. Sono restate, invece, tutte le suore di Madre Teresa, che sono 22, distribuite in quattro case – Sana’a, Hodeida, Taiz e Aden – per assistere malati mentali.
(Radio Vaticana 16 09 2015)


TESTIMONIANZE


SIRIA - I Maristi di Aleppo: denunciando i crimini ogni giorno, c’è il rischio di abituarsi all’orrore 
“Se non vi scriviamo con la solita frequenza le nostre lettere da Aleppo, anche se voi, amici nostri, continuate a chiederci notizie, è perché pensiamo che la ripetizione della denuncia dei crimini commessi e delle sofferenze patite dai siriani, rischia di diventare una banalità”. Così inizia la sua ultima “lettera da Aleppo” il dottor Nabil Antaki, membro laico della comunità dei Maristi di Aleppo e direttore di uno degli ultimi due ospedali cittadini funzionanti, che è solito diffondere notizie e considerazioni su quanto accade nella città martire siriana attraverso lettere periodiche inviate ad amici, conoscenti e operatori della comunicazione. 
“Abbiamo paura che, a forza di leggere le atrocità che vengono commesse in Siria” continua Antaki “voi perdiate la capacità di indignarvi, rassegnandovi ad accettare l’inaccettabile, e in questo modo noi diventiamo un po’ responsabili della banalizzazione dell’orrore”. Nella missiva, pervenuta anche all’Agenzia Fides, il Fratello Marista, a nome di tutta la comunità, traccia alcuni esempi di tale rischio: “Sgozzano degli esseri umani. Avete protestato un anno fa quando hanno sgozzato alcuni occidentali. Purtroppo non erano i primi! Centinaia di siriani erano già stati vittime di questa barbarie. Molti altri hanno subito la stessa sorte; l’ultimo, in ordine di tempo, è stato il direttore archeologico della zona di Palmira, uno scienziato di 82 anni, ma le proteste sono state poche”. 
La Siria, martirizzata da “bande di criminali” - prosegue il fratello marista -, “si svuota del suo popolo, soprattutto dei suoi cristiani. Sono diventati i ‘profughi’ che vi danno tanto fastidio. Fareste bene ad ascoltarli mentre raccontano le loro sofferenze ed i pericoli che affrontano per passare clandestinamente in Europa. Devono rimanere a casa loro, dice qualcuno! Ma a casa loro c’è l’inferno, c’è il caos, c’è la morte. Non sono dei migranti, come amate chiamarli per alleggerire la vostra coscienza, sono dei profughi; e poi, se,, i rifugiati vi disturbano così tanto, la prossima volta, prima di scatenare una guerra a casa loro, pensateci bene”. (Agenzia Fides 18/9/2015).


Mons. Audo: “Interessi internazionali dietro la distruzione della Siria” 
La drammatica testimonianza dell’arcivescovo caldeo di Aleppo, che accusa in particolare la Turchia di foraggiare i terroristi. E ai cristiani siriani dice: “Non abbandonate il Paese”


“L’Europa non si può accontentare di fornire o di proclamare accoglienza ai profughi, perché la maggior parte di loro vuole rimanere nella propria terra”. Parole che Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia, ha pronunciato aprendo la conferenza “Cristiani di Siria: aiutateci a rimanere”, organizzata da Acs presso l’Associazione Stampa Estera. Parole che sintetizzano il messaggio lanciato da mons. Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo, invitato a raccontare la situazione che si vive nel suo Paese devastato dalla guerra.


Era il 2011, quando i primi vagiti di questo devastante conflitto suggerivano ai cristiani siriani una sinistra premonizione: “Speriamo di non fare la fine dei cristiani dell’Iraq (fuggiti in massa dal proprio Paese dopo la guerra del 2003)”. Oggi, a quattro anni di distanza, quei pensieri sembrano aver trovato riscontro. Aleppo, che prima della guerra contava 150mila cristiani, oggi, anche se è impossibile raccogliere stime precise, ne ha circa 50mila.
Una situazione, quella di Aleppo, resa oltremodo difficile dai disagi che si registrano da qualche tempo. “Da più di un mese o due, siamo senza acqua e senza elettricità, in una città di 2milioni e mezzo di abitanti”. spiega mons. Audo. Che aggiunge: “Soprattutto con il grande caldo di quest’estate, capita giorno e notte di vedere nelle strade giovani e bambini con bottiglie vuote in mano, intenti a cercare un po’ d’acqua”.
Ancor peggio, quando i giovani vengono avvistati per la città con i mitra in mano. Di bande armate ne imperversano tante. L’arcivescovo caldeo spiega che Aleppo è oggi divisa in due parti: una in mano all’esercito regolare e l’altra, specie la parte vecchia, “sotto il dominio dei terroristi”. Questi ultimi sono di difficile identificazione ma, secondo mons. Audo, si tratta più probabilmente di al-Nusra che non dell’Isis.
Sono “almeno cinque i punti” della città da cui partono gli attacchi verso i cristiani, aggiunge l’arcivescovo. Che non lesina accuse precise nei confronti di Paesi stranieri. Egli individua il motivo della drammaticità che vive Aleppo nella vicinanza con il confine turco, poiché “tutti gli attacchi giungono dalla Turchia, che accoglie, addestra e rifornisce d’armi gruppi armati che stanno distruggendo la nostra regione”.
Gruppi armati che aderiscono a una jihad sul suolo siriano, ma che provengono da altrove. Del resto, ci tiene ad aggiungere mons. Audo, “nella tradizione profonda della Siria non c’è la persecuzione religiosa”, giacché da sempre il pluralismo confessionale è una peculiarità di questo “bel Paese in cui c’è tutto per vivere”. O almeno, in cui regnava la pace fin quando era interamente governato dal regime di Bashar al-Assad. Per i cristiani, quei tempi sono un rimpianto. “Non esistono due cristiani che possono affermare il contrario…”, chiosa l’arcivescovo.
Mons. Audo afferma inoltre che “questa guerra ha lo scopo di distruggere e poi dividere la Siria per interessi regionali e internazionali”. Si tratta - precisa l’arcivescovo - “del commercio di armi e di interessi strategici”. Quegli stessi interessi strategici che hanno portato “alla distruzione dell’Iraq e della Libia in passato e dello Yemen in questi giorni”.
E per completare la rovina di un Paese, l’esodo di massa dei suoi abitanti diventa funzionale. È per questo che mons. Audo parla del suo impegno, come pastore, a convincere i cristiani a non abbandonare la Siria: “Come vescovo caldeo, conosco l’esperienza degli immigrati cristiani che dall’Iraq sono arrivati in Siria. È un’esperienza di morte, è un’esperienza di fine della presenza cristiana. Quindi oggi faccio di tutto per far rimanere la gente qui, ma capisco chi fugge perché non vede davanti a sé altra scelta…”. La mancanza di fiducia nel futuro - aggiunge il presule - è dovuta alle responsabilità della comunità internazionale, che da cinque anni abdica a una soluzione politica e dimostra invece - ribadisce mons. Audo - “determinazione” a continuare la guerra “fino alla distruzione della Siria”.
In questo scenario, giocano un ruolo importante i media. Lo ha ricordato, a conclusione della conferenza, Alfredo Mantovano, presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia: “Sembra, guardando i tg, che esista soltanto un problema al confine tra Serbia ed Ungheria. Ma c’è lì quel problema perché, a monte, solo con riferimento alla Siria, più di 10milioni di persone non hanno più la casa e sono state costrette a fuggire dal proprio Paese”. Le cause di questa diaspora, le ha spiegate mons. Audo.

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