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2015 08 05 Oltre 100 milioni i cristiani perseguitati: rapporto Caritas NIGERIA: Boko Haram decapita venti cristiani PAKISTAN: in fin di vita musulmana diventata cristiana, ucciso il marito IRAQ: un anno fa, cristiani cacciati da Ninive UCRAINA: Due relig

Fonte:
CulturaCattolica.it

Oltre 100 milioni i cristiani perseguitati. Caritas: silenzio preoccupante

I dati:
100 milioni cristiani vittime di discriminazioni, persecuzioni e violenze
4344 cristiani uccisi nel 2014 per motivi legati alla loro fede
50/70 mila cristiani imprigionati nei campi di detenzione della corea del Nord
1062 chiese attaccate dalla furia Islamista nel 2014
116 paesi nel mondo dove si registra un crescente disprezzo per la libertà religiosa

Sono oltre 100 milioni i cristiani vittime di discriminazioni, persecuzioni e violenze messe in atto da regimi totalitari o seguaci di altre religioni. E’ quanto denuncia un dossier della Caritas italiana intitolato “Cristiani perseguitati: tra terrorismo e migrazioni forzate”.

Solo in Corea del Nord ci sono tra 50 e 70 mila cristiani in campi di detenzione. Poi ci sono la Somalia, l’Iraq, la Siria, l’Afghanistan, il Sudan, l’Iran e altri Paesi dove migliaia di cristiani subiscono i più vari tipi di persecuzione. Dal novembre 2013 al 31 ottobre 2014, si calcola che i cristiani uccisi per ragioni strettamente legate alla loro fede siano stati oltre 4.300, mentre le chiese attaccate per la stessa ragione sono state più di mille. Si assiste, spesso nel silenzio della comunità internazionale, a un preoccupante aumento dell’intolleranza che colpisce molte altre minoranze religiose ed etniche. Il dossier vuole dare voce alle testimonianze silenziose dei tanti cristiani che continuano a custodire la fede a rischio della propria vita. Forte l’impegno della Caritas Italiana a sostegno dei cristiani perseguitati, in particolare in Iraq, dove l’aiuto concreto raggiunge anche la minoranza yazida. Il dossier evidenzia come spesso le cosiddette guerre di religione nascondano precisi interessi politici ed economici, mentre tanti fatti testimoniano l’aiuto reciproco tra la gente semplice, cristiani e musulmani che rischiano la pelle per salvare una persona di fede diversa: perché è un uomo, una donna, un bambino.

Sugli impressionanti numeri di questo dossier sui cristiani perseguitati, il commento di mons. Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana, che lo scorso ottobre ha visitato il campo profughi ad Erbil in Iraq.

D. – Papa Francesco mette spesso in evidenza il silenzio intorno a queste vittime. In che modo si può andare oltre questo silenzio?

R. – Innanzitutto con una buona informazione. Il fatto che i dati sulla persecuzione dei cristiani vengano taciuti oppure non venga data loro una giusta risonanza, per noi è già un qualcosa di preoccupante. Per quanto riguarda i cristiani è una responsabilità che va a toccare quella che è la comunione, che deve essere sempre tessuta tra confratelli, tra Chiese sorelle. E’ quanto ci è stato chiesto da loro: nella visita che abbiamo fatto qualche mese fa ad Erbil, ciò che ci veniva chiesto era, appunto, di non essere dimenticati! Perché se al grande dolore della persecuzione, si aggiunge anche quello dell’essere dimenticati dai confratelli, si va veramente alla deriva. Questo è quello che noi non vogliamo!

D. – La Chiesa cosa può fare per aiutare questi fratelli?

R. – Non nascondere questi dati, tenerli sempre vivi, accompagnarli con la preghiera, con la solidarietà, dando loro un giusto risalto nella formazione dei ragazzi e dei giovani, di modo che tutto ciò che si può fare venga fatto. Per quanto riguarda la nostra comunità, anzitutto la solidarietà, perché molti soffrono anche la fame… Il vescovo di Erbil, mons. Warda, ci ricordava che sarà necessario provvedere anche al cibo di queste persone, che nella sua diocesi sono oltre un milione. Quindi l’attenzione alla solidarietà, anche quella più banale, quella cioè del contribuire affinché queste persone possano avere un pasto quotidiano, è molto importante. In secondo luogo contribuire anche attraverso la collaborazione nella costruzione delle case, nella costruzione delle scuole di modo che da quei luoghi possano andar via il minor numero possibile di persone.
(Radio Vaticana 23 Luglio 2015)

NIGERIA: Boko Haram decapita venti cristiani
La strage ha coinvolto un gruppo di pescatori accusati di seguire un profeta che ha tentato di “corrompere il mondo”.

Boko Haram sembra intenzionato a proseguire la propria sfida al mondo. E lo fa diffondendo altro orrore. Lunedì scorso i miliziani del gruppo terrorista hanno prima ucciso e poi decapitato venti pescatori originari del Ciad che stavano gettando le reti sulle acque del lago omonimo nei pressi del villagio di Baga, al confine tra Ciad e Nigeria.
L’unico sopravvissuto alla mattanza, Abubakar Gamandi, presidente di un sindacato di pescatori che nella strage ha perso un fratello di 16 anni, ha raccontato la dinamica dei fatti: “Era un drappello di quattro uomini, ma armato di mitragliatori e machete. Hanno spiegato che i pescatori sono emuli di Issa (il nome di Gesù nelle pagine del Corano), un profeta che con le sue parole ha attirato tante persone stolte, tentando di corrompere il mondo”. Dopo le farneticazioni, i jihadisti hanno aperto il fuoco sui pescatori. Abubakar racconta di essersi salvato nascondendosi in una delle imbarcazioni tirate in secca. Lo scenario cui ha assistito è scioccante: alle vittime è stata tagliata la testa, “alcuni sono stati decapitati mentre erano ancora vivi”, afferma.

Mons. Rosario Pio Ramolo, vescovo di Goré, nel Ciad, spiega ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che “i cristiani non sono gli unici ad essere nel mirino dei fondamentalisti”, notando come anche i musulmani moderati siano vittime delle violenze. La tensione si diffonde anche in altre aree del Ciad. “Ad esempio a Moundou, nel Sud del paese, sono stati recentemente fermati alcuni soggetti – spiega il presule – Il Governo cerca di rassicurare la popolazione, ma i ciadiani hanno paura”.
31 Luglio 2015 (ZENIT.org)

PAKISTAN: in fin di vita musulmana diventata cristiana, ucciso il marito
In Pakistan la conversione di una donna al cristianesimo, dopo il matrimonio con un cristiano, è l’inizio di un calvario. A perseguitare la ragazza è la sua famiglia, angosciata per la propria reputazione. La giovane, ferita e in fin di vita, ha assistito all’omicidio del marito.
In Pakistan sono molteplici le storie di persecuzioni e di violenze contro la comunità cristiana. Una delle ultime riguarda Nadia, una giovane pachistana cresciuta secondo i dettami dell’islam. Si converte al cristianesimo dopo il matrimonio con Aleem, un ragazzo cristiano. Ma la famiglia della donna considera la ragazza una apostata e il suo sposo colui che ha portato la giovane sulla “via della perdizione”. La famiglia di Nadia teme per la propria reputazione e lancia continue e gravi minacce. I due giovani sposi sono costretti alla fuga ma vengono scovati, lo scorso 30 luglio, da alcuni membri della famiglia di Nadia. L’epilogo di questa caccia spietata è tragico ed è scandito da colpi di arma da fuoco. Aleem muore sul colpo. Nadia, salvatasi miracolosamente, oggi è in ospedale, dove lotta tra la vita e la morte. L’autore dell’omicidio e del tentato assassinio è stato individuato. E’ un parente di Nadia. Afferma con orgoglio di aver nuovamente restituito l’onore alla sua famiglia. Secondo i legali della famiglia di Aleem, la giustizia non potrà affermarsi e i colpevoli resteranno impuniti.
(Radio Vaticana 03 08 2015)

UCRAINA - Due religiosi assassinati in pochi giorni
Suor Alevtina, del convento di Florovsky, Kiev, è stata trovata assassinata nel suo appartamento mercoledì 29 luglio, secondo quanto riferito dall’Unione delle Confraternite ortodosse dei Cristiani dell’Ucraina a Interfax-Religion. “Sappiamo che - ha detto un portavoce - mancando l’acqua calda nel convento, la suora si era recata presso il suo appartamento in città per lavarsi e cambiarsi prima di sottoporsi ad un intervento chirurgico. Più tardi il nipote ne ha trovato il corpo con le mani legate e tracce di torture” .
La suora aveva 62 anni. Interfax non è riuscita ad avere altre informazione ufficiali sul caso da parte delle forze dell’ordine a Kiev.
Questo è il secondo omicidio in pochi giorni inflitto alla Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca. Lo stesso mercoledì mattina, 29 luglio, un sacerdote di 40 anni della Chiesa di San Tatiana a Kiev, padre Roman Nikolayev, è morto per le ferite alla testa da arma da fuoco che aveva subito la settimana precedente.
(Agenzia Fides, 30/07/2015)

Cina: appello vescovo di Wenzhou per rimozione delle croci
Il vescovo Zhu Weifang di Wenzhou e il suo clero si appellano ai cattolici perché protestino contro la campagna di rimozione delle croci iniziata dai funzionari del governo. In una lettera del 27 luglio - riferisce l’agenzia Misna - rivolta a tutti i cattolici, si dice che la campagna del governo, originariamente progettata per correggere “strutture illegali” ora deliberatamente si sta diffondendo in tutto il Paese e prende di mira i cristiani nel libero esercizio della loro fede.
In Zhejiang rimosse 1.200 croci
Finora in Zhejiang, sono state rimosse più di 1.200 croci e diverse chiese sono state demolite dalla fine del 2013. “Anche la nostra manifestazione pacifica con il sostegno dei laici è stata considerata come un’azione illegale” è scritto nella lettera, riferendosi alla manifestazione di protesta tenutasi il 24 luglio, dove alcuni sacerdoti e laici responsabili sono stati convocati da agenti di sicurezza per spiegare la loro azione. Nella stazione di polizia, ad alcuni è stato chiesto di scrivere una lettera di pentimento.
Appello per la libertà religiosa, la dignità e la giustizia
Nell’appello, il clero locale esprime la preoccupazione che la Cina, ora entrata in un periodo di sviluppo stabile, possa cadere in un nuovo disastro. “I cattolici cinesi e tutte le persone con un senso di giustizia – si legge nella lettera - non possono rimanere in silenzio, ma devono gridare insieme per combattere per la libertà religiosa, la dignità e la giustizia”.
L’opposizione alle rimozioni delle croci ha risvegliato la solidarietà del clero
Un cattolico di Wenzhou, identificato come Thomas, ha detto all’agenzia Ucanews che l’opposizione alla campagna di rimozione è un buon segno per la Chiesa locale perché ha risvegliato una solidarietà tra il clero, che prima non si era mai vista. Al vescovo e al clero di Wenzhou si sono uniti anche il vescovo Yang Xiangtai di Handan nella provincia di Hebei, che ha criticato la campagna perchè viola la libertà di credo religioso. Nella provincia del Fujian, il vescovo Vincent Zhan Silu, di Mindong, nel suo blog personale ha criticato la campagna, affermando che si è andati oltre la legge e, al posto di mirare alle strutture illegali, si mira alle croci. (P.L.)
(Radio Vaticana 30 07 2015)

Iraq, patriarca Sako: un anno fa, cristiani cacciati da Ninive
Una preghiera per ricordare la tragedia dei cristiani della Piana di Ninive, cacciati dalla provincia irachena un anno fa, nella notte tra il 6 e il 7 agosto, quando i miliziani del sedicente Stato Islamico (Is) li costrinsero a una marcia forzata verso la regione autonoma del Kurdistan, dove tuttora molti vivono in situazioni tragiche.

TESTIMONIANZA

“L’Isis ha ucciso il nostro futuro a Erbil”
La drammatica testimonianza di una suora domenicana in Kurdistan
«Nei primi otto mesi dall’invasione dello Stato Islamico, abbiamo perso dodici consorelle. Il loro cuore non è riuscito a sopportare tanta sofferenza». Così Suor Justina, delle suore Domenicane di Santa Caterina da Siena, riassume ad Aiuto alla Chiesa che Soffre il dramma vissuto da tante religiose costrette a fuggire dal Califfato.
Suor Justina è rientrata dall’Italia un anno e mezzo fa. Il convento dove viveva vicino Pisa è stato chiuso e lei è tornata ad Ankawa, sobborgo a maggioranza cristiana di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. Appena in tempo per assistere all’esodo di 120mila cristiani che nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014 hanno abbandonato la Piana di Ninive per trovare rifugio in Kurdistan. «È impossibile descrivere quanto è accaduto in quei giorni. Intere famiglie hanno perso tutto. Per paura di essere uccisi dallo Stato Islamico sono scappati senza neanche prendere i documenti».
Assieme ai profughi, alla casa delle domenicane di Ankawa sono giunte anche molte consorelle fuggite dalle città e dai villaggi caduti in mano ad Isis. «Sono arrivate in lacrime, traumatizzate, stanche, sporche». Tra loro Suor Lyca che racconta le dieci interminabili ore di viaggio verso Erbil. Per tutta la giornata del 6 agosto, mentre molti altri abitanti di Qaraqosh erano già fuggiti, le religiose sono rimaste nel villaggio cristiano per sostenere i fedeli terrorizzati.
«Speravamo che la minaccia sarebbe durata soltanto alcuni giorni – ricorda – ma quando i peshmerga hanno smesso di difenderci, abbiamo capito che non vi era più alcuna speranza». Le religiose hanno lasciato il convento alle 11.30 di sera. In condizioni normali sarebbe stata sufficiente un’ora per raggiungere Erbil, ma le strade erano invase da macchine e famiglie in fuga e le religiose hanno camminato fino al mattino seguente, senz’acqua e con una temperatura di oltre 40 gradi. «In marcia ai bordi della strada vi erano migliaia e migliaia di persone, mentre ogni macchina ospitava almeno dieci passeggeri».
Nonostante il grave shock subito, appena giunte ad Ankawa le suore domenicane si sono messe al servizio dei rifugiati: dall’assistenza nei campi profughi, alla gestione dei dispensari, alla pastorale giovanile. Alcune di loro vivono in uno dei container donati da Aiuto alla Chiesa che Soffre ai profughi cristiani. «Ci impegniamo soprattutto per garantire un’educazione ai ragazzi - dichiara ad ACS Suor Diana – facciamo del nostro meglio ma purtroppo non è abbastanza. Isis sta uccidendo il nostro futuro, perché se questa generazione non riceverà un’istruzione non ve ne sarà un’altra».
Dal giugno 2014 ad oggi, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato oltre 7milioni e 300mila euro. Nei giorni scorsi la fondazione ha approvato due nuovi progetti: un contributo di 2 milioni di euro, per finanziare sei mesi affitto di alloggi per i rifugiati cristiani, ed uno di 690mila euro per l’acquisto di pacchi viveri per 13mila famiglie cristiane in Kurdistan.
Per ricordare l’anniversario della fuga di 120mila cristiani dalla Piana di Ninive, il 6 agosto ACS lancerà una campagna internazionale sui social network. È possibile aderire alla campagna attraverso gli hashtag #PrayForIraq e #WeAreChristians
30 Luglio 2015 (ZENIT.org)

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