2015 06 17 IRAQ: ai cristiani è rimasta solo la fede - Sottratte con l’inganno migliaia di case ai cristiani. PAKISTAN: Minacce a una comunità cristiana. SUD SUDAN: Per capire da dove vengono i profughi che arrivano da noi
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
Patriarca Sako: ai cristiani iracheni è rimasta solo la fede
La presidenza della Cei ha deciso di destinare ai rifugiati cristiani dell’Iraq oltre un milione di euro ricavati dall’8 per mille. Un anno fa i profughi sono stati costretti dal sedicente Stato Islamico ad abbandonare le loro case a Mosul e nella Piana di Ninive. I fondi saranno utilizzati per alloggi, pozzi e la costruzione di una scuola nei campi di Erbil, mentre la Caritas italiana ha stanziato circa un milione di dollari per sfamare oltre 13 mila famiglie nel mese di agosto. Per ricordare la tragedia dei cristiani iracheni e di tutto il Medio Oriente, il Patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael Sako ha pubblicato in questi giorni il libro “Più forti del terrore”. Il volume, pubblicato dall’Editrice Missionaria Italiana, è stato scritto dal patriarca insieme alla giornalista francese Laurence Desjoyaux, con la prefazione di Domenico Quirico. Sulla situazione dei profughi iracheni Michele Raviart ha raggiunto telefonicamente l’autore del volume, il patriarca Louis Raphael Sako:
R. – Nella città di Mosul e nella Piana di Ninive non c’è più nessun cristiano: tutti sono andati via! Vivono ormai come profughi nel Kurdistan; ma anche in Giordania, in Libano, in Turchia… Vivono in una situazione tragica sia psicologicamente che moralmente: hanno perso tutto! E’ la Chiesa che aiuta questa gente: non soltanto la Chiesa locale, ma anche hanno aiutato le Conferenze episcopali in Italia, in Francia, in Germania, un po’ dappertutto… Vogliono ritornare nella loro terra, ma questo sembra veramente difficile, perché non c’è una strategia internazionale per sconfiggere l’Is e liberare la città di Mosul e i villaggi della Piana di Ninive.
D. – In questi giorni lo Stato Islamico ha mandato un video in cui celebrava la conquista di Mosul: in questo video si vedono omicidi, esecuzioni e anche chiese distrutte… Cosa è rimasto di cristiano a Mosul?
R. – E’ una vergogna tutto quello che hanno fatto! Tutta la storia viene cancellata: la storia dell’Iraq è la storia dell’umanità intera. Questi gruppi distruggono tutto: ogni pietra, ogni manoscritto … E ammazzano tutti quelli che non vogliono collaborare con loro!
D. – Lei sente i profughi che sono scappati da Mosul, come vivono questa situazione e anche in relazione alla loro fede?
R. – Io sono molto vicino a loro, ogni tanto vado a Erbil. Sono andato in Giordania, due volte in Libano e in Turchia… Ciò che rimane è la loro fede: la loro fede! Hanno perso tutto. Immagini qual è la loro situazione: in una stanza, in 10 persone, tutta la famiglia… Aspettano gli aiuti dalla Chiesa e delle agenzie e degli organismi umanitari che portano loro da mangiare e anche medicine. Io ho due sorelle che hanno lasciato Mosul e vivono nell’ansia…
D. - Nel disegno dell’Is c’è posto per i cristiani del Medio Oriente?
R. – No, no, non c’è! Non c’è per i cristiani, ma neanche per gli sciiti: non c’è per chi non ha la loro stessa “fede”! Non c’è! Hanno ammazzato più musulmani, sunniti e sciiti che cristiani: hanno occupato le loro case, hanno preso le loro proprietà, i soldi, i documenti… Tutto! Sono andati via soltanto con i loro vestiti.
IRAQ - Sottratte con l’inganno migliaia di case ai cristiani emigrati da Baghdad
Con la complicità di funzionari corrotti, singoli impostori e gruppi organizzati di truffatori sono riusciti negli ultimi anni a acquisire illegalmente il possesso di migliaia di case appartenenti a famiglie cristiane di Baghdad, che hanno abbandonato la città per sottrarsi al caos, all’instabilità e alla violenza che regnano in Iraq dai tempi dell’ultimo intervento militare a guida Usa.
Tra le decine di migliaia di cristiani fuoriusciti dal Paese negli ultimi anni, molti non avevano venduto le case i beni immobiliari, tenendo viva la speranza di far ritorno in Iraq in tempi più tranquilli. Ma adesso, un loro eventuale ritorno sarebbe segnato dall’amara scoperta che le loro proprietà sono passate di mano, e i nuovi possessori sono riusciti in molte situazioni a ottenere anche falsi documenti di proprietà che rendono di fatto impossibile il recupero per vie legali dei beni da parte dei legittimi padroni.
Il membro del consiglio municipale di Baghdad Mohammed al-Rubai ha dichiarato in una recente intervista televisiva che quasi il 70 per cento delle case dei cristiani della capitale irachena sono state espropriate illegalmente, e i titoli di proprietà sono stati falsificati con manomissioni dei registri catastali realizzate grazie alla connivenza di burocrati disonesti. La ONG “Baghdad Beituna” ha calcolato che le violazioni delle proprietà dei cristiani realizzate con la complicità di pubblici ufficiali corrotti sono state non meno di 7mila. A godere dei furti “legalizzati” delle proprietà dei cristiani sarebbero anche membri degli apparati politici e militari: in un rapporto pubblicato lo scorso febbraio dal website al-Arabi al- Jadeed, Il Consiglio della Giustizia, supremo organo giudiziario dell’Iraq, aveva accusato membri del governo a quel tempo guidato da Nuri al- Maliki di aver acquisito illegalmente il possesso di proprietà private, in gran parte appartenute a cristiani, con operazioni rese possibili dal caos giuridico seguito all’intervento militare a guida Usa che aveva abbattuto il regime di Saddam Hussein. (Agenzia Fides 13/6/2015).
PAKISTAN - Minacce a una comunità cristiana a Karachi
La “Chiesa di Gerusalemme” a Karachi è una comunità cristiana protestante che raccoglie circa 300 famiglie. Come appreso da Fides, da un mese i membri della comunità ricevono minacce perchè rinuncino alla proprietà della chiesa, pena false accuse di blasfemia. I membri della comunità sono stati avvicinati da loschi figuri e invitati ad abbandonare la chiesa e a non tornarvi mai più. Il Pastore Ilyas Masih ha confermato che gli avvertimenti sono stati numerosi. Secondo i cristiani, dietro le minacce ci sono criminali locali noti per la loro violenza e per i metodi illegali, che vogliono speculare sulle proprietà altrui.
“Abbiamo già ricevuto avvisi di non suonare strumenti musicali nelle liturgie e di fermare le ragazze che cantano nel coro” ha spiegato il Pastore Ilyas. “Ai nostri fedeli viene intimato di non frequentare la chiesa”. Il Pastore ha presentato una denuncia alla polizia locale chiedendo maggiore protezione. Un avvocato locale nota a Fides che “anche questo caso conferma l’abuso compiuto sui cittadini pakistani cristiani, che lo stato ha il dovere di difendere”. Inoltre si nota “l’uso strumentale della legge sulla blasfemia, brandita come una spada per colpire eventualmente persone innocenti”.
“Come cittadini cristiani confidiamo nella polizia e nelle istituzioni perché tutelino lo stato di diritto”, ribadisce a Fides P. Mario Rodrigues, Direttore della Commissione Giovani nell’arcidiocesi di Karachi. “Episodi legati all’abuso del legge di blasfemia sono tuttora frequenti e i cristiani spesso ne fanno le spese. Il progetto di riforma per correggere tali abusi sarebbe un buon passo da parte del governo” conclude il sacerdote. (Agenzia Fides 11/6/2015)
Per capire da dove vengono i profughi che arrivano da noi
Il Sud-Sudan attuale è nato all’indomani del referendum per l’indipendenza del 2011. A differenza del Sudan (la cui religione prevalente è l’Islam) il paese è animista e cristiano. Molti dei profughi che giungono da noi scappano dalla guerra.
SUD SUDAN - Nuovo appello dei leader cristiani per far cessare “la guerra insensata”
“Fermate subito questa guerra insensata e soccorrete le popolazioni colpite, prima di pensare alla spartizione di posti di potere”. È il nuovo pressante appello del South Sudan Council of Churches (SSCC), l’organismo del quale fanno parte le Chiese cristiane del Sud Sudan, dal dicembre 2013 in preda ad una feroce guerra civile che ha provocato decine di migliaia di morti e più di un milione di sfollati.
In Sud Sudan “situazione feroce”, testimonianza di un missionario
Drammatiche le testimonianze raccolte dall’Unicef in Sud Sudan: in due settimane, decine di bambini uccisi, violentati o rapiti e reclutati. Accade nella serie di attacchi nello Stato dell’unità del Sud Sudan teatro di sanguinosi scontri tra le forze governative e i ribelli legati all’ex vice presidente Riek Machar. Tanto che Croce Rossa, Ong e missionari hanno dovuto lasciare il territorio. Eugenio Murrali ha intervistato un missionario che da anni opera nel Paese, al quale per ragioni di sicurezza garantiamo l’anonimato:
R. – Da dopo Pasqua c’è stato un deteriorarsi della situazione. Il governo cerca di fare di tutto per prendere lo Stato dell’Unità, perché lì ci sono i pozzi di petrolio: perciò è di importanza vitale.
D. – Qual è la situazione che vive la popolazione in questo momento?
R. – La situazione è terribile, perché mentre il governo avanza brucia tutte le case e la gente è obbligata ad abbandonare i suoi luoghi. Adesso siamo all’inizio della stagione delle piogge e anche all’inizio della stagione della semina. Il problema più grave sarà quindi quello della fame e della mancanza di protezione. I prezzi sono diventati così alti che per la gente è impossibile comprare: solo pochi possono accedere alle banche e avere valuta pregiata, tutti gli altri non possono farlo, quindi vivono una situazione disastrosa. Poi, nei mercati, difficilmente si trovano quelle cose che normalmente si possono trovare a Giuba, anche se a prezzi alti, e quindi vivono solo di quello che possono portare le organizzazioni umanitarie. Finora, anche il Wfp (Programma Alimentare Mondiale) e la Croce Rossa hanno aiutato con il cibo; adesso, se la gente deve scappare nelle paludi o nelle foreste, rimane praticamente senza niente. Questo è il primo punto: molti moriranno di fame, soprattutto i bambini, che già sono malnutriti. Il secondo aspetto è l’abuso delle donne, la violenza fatta alle donne: le prime che ci rimettono sono donne e ragazze. In passato, hanno violentato persino bambine di 12 anni o anche donne di 60 e più anni. È una situazione veramente feroce.
D. – Cosa vi ha portato a decidere di allontanarvi?
R. – Abbiamo sentito che la prima linea non riusciva più a tenere ed erano arrivati fino a Koch. Le notizie dicevano che avevano già bruciato parecchi villaggi, avevano ammazzato giovani e portato via ragazze. Quindi, anche in accordo con le altre Ong, abbiamo pensato che fosse l’unica cosa possibile da fare.
D. – Questo è uno scontro etnico tra Dinka e Nuer o è uno scontro legato invece, più che altro, a questioni economiche? Qual è il vero pomo della discordia?
R. – Naturalmente la questione è sorta per discordie politiche. Prima ci sono state parole di rivalità. Dopo l’eccidio di Juba del 15 dicembre 2013, con più di 18mila civili Nuer uccisi, senz’altro è diventata una questione tribale. Non bisogna dimenticare gli inizi: anzi, la stampa tende a dimenticare. Per esempio, anche quando il governo ha preso Leer lo scorso anno, Leer è stata bruciata completamente. Tra gennaio e aprile, sono state ammazzate più di 400 persone e nessuno ne parla. Poi parlano dell’eccidio che c’è stato a Bentiu, ma dimenticano che prima ci sono stati altri eccidi. E naturalmente la legge della vendetta, che non è certamente né cristiana né buona, ha le sue conseguenze. Un governo di unità nazionale è l’unico che possa creare le condizioni per stilare una costituzione, preparare le elezioni e coinvolgere tutte le altre tribù nella discussione dei problemi del Sud Sudan. Senza questo, il problema torna a essere solo tra Nuer e Dinka o tra Dinka e Nuer. E naturalmente sappiamo molto bene che la filosofia Dinka è che i Dinka sono nati per governare: “Born to run”. Ora, partendo da questo presupposto, credo che un governo del genere non lascerà aperture per una soluzione del problema.
D. – Cosa potrebbe far capire meglio la situazione di precarietà, di violenza, di dolore che si vive in Sud Sudan in questo momento?
R. – Certamente quello che fa più soffrire è vedere che una generazione di giovani viene distrutta, sia da una parte sia dall’altra, in una guerra fratricida che non ha ragione di esistere. Questo è ciò che fa più male al cuore, soprattutto a noi che siamo lì, presenti, per dare una speranza, per aiutare la gente a vivere in pace e per creare una comunità di fratelli e sorelle dove l’amore possa unire le varie tribù.
(Radio Vaticana 21 05 2015)