2015 06 10 Asia BIBI in carcere dal 14 giugno 2009: la situazione in Pakistan. - Card Scola “vado in visita tra i rifugiati iracheni di Erbil”
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Asia Bibi 6 anni di carcere per la fede
Per non dimenticare
Asia è stata condannata a morte il 7 novembre 2011 da un tribunale del Punjab. Era stata arrestata per blasfemia il 14 giugno 2009 cioè sei anni fa, dopo una discussione con alcune sue colleghe in cui ella ha difeso la sua religione. La discussione era nata perché Asia aveva bevuto l’acqua di un pozzo ed era stata accusata di aver reso “impura” l’acqua. Le altre donne, che con Asia e le sue due figlie sono lavoratrici agricole, la spingevano a rinunciare alla fede cristiana e abbracciare l’islàm per rimediare a ciò che aveva fatto. Asia Bibi ha risposto parlando di come Gesù sia morto sulla croce per i peccati dell’umanità, e ha chiesto alle altre donne che cosa avesse fatto Maometto per loro.
“Non voglio convertirmi. Io credo nella mia religione e in Gesù Cristo, che si è sacrificato sulla Croce per i peccati degli uomini. Che cosa ha fatto il vostro profeta Maometto per salvare gli uomini? E perché dovrei essere io a convertirmi e non voi?”
Per questa frase è in carcere accusata di blasfemia.
La situazione attuale in Pakistan:
In Pakistan, 15 persone sono in attesa di condanna a morte per aver violato la legge sulla blasfemia, che punisce ogni atto giudicato offensivo nei confronti del Corano o di Maometto. A farne le spese è soprattutto la minoranza cristiana. Uno studio del prof. Shahid Mobeen - “Legge della blasfemia e libertà religiosa”, pubblicato dall’editrice Apes - cerca di inquadrare questa controversa legge da un punto di vista storico e politico. Il volume è stato presentato alla Camera dei deputati in un incontro promosso dall’Associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre”.
Il 24 maggio scorso, il quartiere cristiano di Sanda, nella parte antica della metropoli pakistana di Lahore è stato date alle fiamme dalla folla. Un cristiano aveva infatti bruciato un giornale sui cui erano stampati versetti del Corano. Un reato che per l’ordinamento pakistano è punibile con l’ergastolo e che spesso scatena l’ira dei fondamentalisti, il cui giudizio arriva ancor prima della sentenza del tribunale.
Per legge sulla blasfemia, si intendono due articoli del Codice penale pakistano. In linea teorica, la norma tutela ogni religione, ma prevede delle aggravanti quando riguarda l’Islam. Nei casi più gravi di offesa a Maometto, può costare la vita.
Negli ultimi 25 anni, la legge è stata applicata oltre mille volte, la maggior parte a danno dei cristiani. Il caso più noto è quello di Asia Bibi.
Dice il prof. Shahid Mobeen, docente di Storia del pensiero islamico alla Pontificia Università Lateranense:
“Il caso di Asia Bibi è solamente la punta dell’iceberg, è la faccia più conosciuta a livello internazionale, dopo l’intervento di Papa Benedetto XVI. In questo momento ci sono molte Asia Bibi nelle prigioni, sia uomini, di fede cristiana e non cristiana, sia donne, di fede cristiana e non cristiana. Fino al 2010, la maggioranza delle vittime era musulmana, ma dopo la morte di Shabaz Bhatti, che difendeva fortemente le minoranze religiose, l’abuso di questa legge è aumentato, per cui ora la maggioranza perseguitata dai cittadini del Pakistan appartiene alla fede cristiana”.
I cristiani in Pakistan sono il 2% della popolazione. Considerati cittadini di seconda classe vivono spesso nell’insicurezza, come spiega padre Gilbert Gill, assistente ecclesiastico dell’Associazione pakistani cristiani:
“Vivono con la sofferenza, con la paura. Una comunità, una persona può essere attaccata in un qualsiasi momento, improvvisamente. I cristiani vivono nel terrore che qualcuno ti può accusare e ti può uccidere. Questo vivono tutti i giorni. Quando parla Papa Francesco, una parola di solidarietà e di preghiera è molto importante per i cristiani, perché questa vicinanza del Santo Padre è una cosa molto apprezzata. Si sentono incoraggiati e continuano a dare la testimonianza della propria fede in questa grande difficoltà”.
Il problema della legge è la sua discrezionalità. Anche far cadere una copia del Corano può portare all’accusa di blasfemia, favorendo così strumentalizzazioni e vendette personali.
Card. Scola: vado in visita tra i rifugiati iracheni di Erbil
L’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, sarà in Libano e in Iraq dal 16 al 20 giugno. In Libano, interverrà ai lavori del Sinodo dei vescovi locali sulla presenza cristiana in Libano e Medio-Oriente e sul tema della Famiglia. Il 19 giugno, in Iraq visiterà i campi profughi allestiti ad Erbil, nel nord del Paese. Per contribuire a sostenere concretamente le necessità immediate delle migliaia di famiglie che lì hanno trovato rifugio, è in corso nella Chiesa ambrosiana una raccolta di fondi straordinaria. Sui motivi della visita, Adriana Masotti ha intervistato lo stesso cardinale Scola:
R. – Direi che la visita si colloca anzitutto in maniera immediata nell’amicizia con il Patriarca Béchara Raï dei maroniti e con il Patriarca Sako dei caldei. Loro mi hanno invitato caldamente: soprattutto in Iraq, sentono molto il bisogno che la nostra solidarietà si esprima anche in gesti tangibili. Sono molto contenti della preghiera che noi facciamo per loro, anche del sostegno economico, per quanto possiamo, ma hanno insistito, soprattutto i vescovi dell’Iraq, per una presenza fisica. E io mi sono deciso a questo proprio in occasione della preghiera indetta dalla Conferenza episcopale, che è stata ripresa qui a Milano nelle parrocchie, nei decanati, in una veglia per i perseguitati e per i martiri a Sant’Ambrogio, e ho visto che dovevo interpretare la partecipazione del mio popolo di fedeli al dolore e alla grandissima fede di questi fratelli, facendomi presente fisicamente. Poi, in particolare, per quanto riguarda Beirut da tempo il Patriarca Béchara Raï mi aveva invitato all’incontro dei 40 vescovi del Sinodo maronita per dire un po’ che tipo di valutazione noi diamo, come Occidente, di quello che sta succedendo, che peso abbia per noi in Europa. E poi, avrò anche l’occasione di incontrare gli operatori familiari. Quindi, è uno scambio di comunione tra le Chiese.
D. – L’importanza di questo: una grande diocesi in Italia e una comunità che vive particolari difficoltà e a volte anche persecuzioni…
R. – Io la sento, io lo dico parlando per me, come un pugno nello stomaco e una provocazione nobile, a noi cristiani europei, a essere più seri nella testimonianza. Speriamo che sia, il nostro, il martirio della pazienza e non quello del sangue, come per molti nostri fratelli. Ma in ogni caso è impossibile che noi non riceviamo il loro invito, diretto o indiretto, a una fede che incida molto di più sulla realtà, che sia un punto di attrattiva per noi stessi e per tutti i nostri fratelli uomini, che sia una comunicazione piena di ascolto e con un abbraccio – come ci dice Papa Francesco – di misericordia verso tutti, nella lealtà e nella verità della proposta che Cristo è per l’uomo contemporaneo.
D. – Vicinanza spirituale reciproca, dunque, ma anche concreta: infatti lei, insieme con la Caritas ambrosiana, ha lanciato domenica scorsa una raccolta fondi straordinaria per i profughi iracheni…
R. – Sì, perché la verità della comunione si vede anche nel riconoscimento del grande principio della Dottrina sociale, della destinazione universale dei beni. Tutto ciò che abbiamo, anche come cosiddetta proprietà privata, l’abbiamo ultimamente in uso e se il bisogno – e il bisogno di questi nostri fratelli – non ci muove a rinunciare a qualcosa, non soltanto del superfluo, ma anche del necessario per aiutarli, vuol dire che la nostra comunione è ancora troppo una parola.