2015 05 20 SIRIA - Il dramma di 230 ostaggi cristiani assiri presi in ostaggio INDIA - Cinque attacchi in cinque giorni ai cristiani TESTIMONIANZE: Oscar Romero, martire di libertà PARLAMENTO USA suora irakena sul “genocidio” dei cristiani
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SIRIA: Il dramma di 230 ostaggi cristiani assiri presi in ostaggio
Lungo la valle del fiume Khabur, affluente perenne dell’Eufrate, c’erano più di 30 villaggi cristiani, fondati negli anni Trenta del secolo scorso, dove avevano trovato rifugio i cristiani assiri e caldei dell’Iraq, fuggiti dai massacri perpetrati allora dall’esercito iracheno. Il 23 febbraio scorso l’area è stata attaccata dai jihadisti dell’Is, che hanno provocato la fuga di massa della popolazione assira e ancora detengono nelle loro mani più di 230 cristiani presi in ostaggio da allora. Riguardo alla loro sorte, nei giorni scorsi l’Assyrian Network for Human Rights ha rilanciato le indiscrezioni secondo cui a marzo i jihadisti avrebbero chiesto in cambio della loro liberazione un riscatto globale di 22 milioni di dollari, equivalenti a quasi 100mila dollari per ciascun ostaggio. Davanti all’impossibilità conclamata di poter corrispondere a tale richiesta astronomica da parte della comunità assira, le trattative si sarebbero interrotte e tutti i tentativi di riaprire canali di negoziato attraverso alcuni capi di clan tribali locali sarebbero andati a vuoto.
Gli ostaggi potrebbero essere usati come “scudi umani”
Fonti locali, contattate da Fides, riferiscono che sono stati gli stessi jihadisti a far sapere che non intendono più trattare la liberazione degli ostaggi su base economica. Le stesse fonti ritengono che i jihadisti potrebbero aver cambiato strategia, nella prospettiva di utilizzare gli ostaggi assiri come potenziali scudi umani davanti a eventuali offensive operate contro le loro postazioni dalle milizie curde o dagli aerei della coalizione.
Radio Vaticana 13 05 2015
INDIA - Cinque attacchi in cinque giorni ai cristiani del Madhya Pradesh
Nell’arco di cinque giorni, dal 10 al 15 maggio 2015, ci sono stati cinque attacchi contro i cristiani i loro luoghi di culto in Madhya Pradesh. Gli attacchi, condotti da gruppi fondamentalisti indù nell’area di Indore, sono avvenuti senza alcuna provocazione o motivo apparente, se non “l’odio verso i cristiani indifesi” e “l’obiettivo di terrorizzarli”, dice all’Agenzia Fides Sajan George, responsabile del “Global Council of Indian Christians” (GCIC).
George lancia un appello: “Dato che la situazione è tesa e le violenze rischiano di diffondersi a macchia d’olio, urge che lo stato prenda misure tempestive ed appropriate: è prioritario proteggere i diritti dei cristiani inermi in Madhya Pradesh e garantire giustizia”.
I cinque episodi censiti sono: il 10 maggio, il Pastore Ronald Emmanuel Sinclair, è stato fermato, contestato e percosso. Il 12 maggio un ostello per i bambini mentalmente disabili gestiti da suore agostiniane è stato attaccato da malfattori sconosciuti nel villaggio di Pipaldhar.
Tre chiese sono state attaccate a Indore l’11 e il 12 maggio da militanti che hanno cercato di devastarle e incendiarle. Secondo le prime indagini il gruppo responsabile è il “Sanskritik Jagran Manch”, noto come organizzazione induista radicale e violenta. (Agenzia Fides 16/5/2015)
TESTIMONIANZE
Oscar Romero, martire di libertà
Il vescovo salvadoregno sarà proclamato beato sabato prossimo, dopo che nel 2012 Papa Benedetto XVI aveva dato nuova linfa alla causa di beatificazione che, finalmente, è giunta in porto grazie alla precisa volontà di Papa Francesco. Come don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia in odium fidei, anche monsignor Romero sarà riconosciuto martire per l’odio nutrito nei confronti della sua volontà di restare fedele agli insegnamenti del Vangelo.
Attraverso l’annuncio del Vangelo, la formazione, l’amministrazione dei sacramenti e la testimonianza quotidiana, egli intendeva arginare l’ingiustizia e lo faceva criticando gli eccessi della ricchezza, denunciando i crimini, lavorando ogni giorno perché migliorassero le condizioni di vita dei fedeli, in particolare dei più giovani. Nella scia di Amos, il profeta contemporaneo di Osea che aveva osato puntare l’indice contro la corruzione del regime di Samaria, il Presule sudamericano squarciò il silenzio sul solito tragico rosario degli atti tipici delle tirannidi, ovvero violenze inusitate, abusi, soprusi, torture, esecuzioni sommarie. Gli bastarono tre anni da quando, nel 1977, fu chiamato da Paolo VI alla guida della diocesi di San Salvador, fino al giorno dell’assassinio, per diventare un simbolo globale. Romero rivolse ai suoi carnefici le ultime parole (racchiuse nell’omelia pronunciata in visita all’ospedale) prima di essere ucciso nel momento dell’elevazione dell’ostia nella consacrazione: «Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. È tempo di recuperare la vostra coscienza e di obbedire prima alla vostra coscienza che all’ordine del peccato. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, la legge di Dio, la dignità umana, la persona, non può restare silenziosa davanti a tanta ignominia».
Poi lo sparo, le urla, il sangue. Chi pensava di averlo messo a tacere per sempre,non solo ha dato voce ad un popolo di fedeli, ma lo consegnò alla beatificazione eterna.
PARLAMENTO USA: suora irakena sul “genocidio” dei cristiani
I cristiani in Iraq sono sono vittime di un “genocidio umano e culturale” che rischia di trascinare “l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe”. È quanto ha detto suor Diana Momeka, religiosa domenicana irakena a Mosul, in un intervento davanti al Parlamento statunitense riunito a Washington. La religiosa, cui era stato rifiutato in un primo momento il visto dalle autorità Usa - riferisce l’agenzia AsiaNews - ha raccontato il dramma della popolazione cristiana, vittima delle atrocità perpetrate dai jihadisti del sedicente Stato islamico. La situazione del Paese e del suo popolo è “grave”, conferma la suora, “ma non priva di speranza”. Al termine dell’intervento suor Diana si è rivolta alla comunità internazionale e al governo degli Stati Uniti, perché “la diplomazia e non il genocidio, il bene comune e non le armi” possano determinare “il futuro dell’Iraq e di tutti i suoi figli”.
Profughi cristiani nel corpo e nell’anima senza umanità e dignità
“Nel giugno dello scorso anno, - ha detto nel suo intervento la suora domenicana - il cosiddetto Stato islamico in Iraq e in Siria (Is), ha invaso la piana di Ninive. Iniziando con la città di Mosul, l’Is si è impadronita di una città dopo l’altra, dando ai cristiani della regione tre alternative: convertirsi all’islam; pagare un tributo (jizya) allo Stato islamico; abbandonare le città (come Mosul), con nient’altro che i propri vestiti. Dal giugno 2014 in avanti, più di 120mila persone si sono ritrovate sfollate e senza casa nella regione del Kurdistan irakeno, lasciandosi alle proprie spalle il loro patrimonio e tutto ciò per cui avevano lavorato nel corso dei secoli. Questo sradicamento, la depredazione di ogni bene appartenuto sino ad allora ai cristiani, li ha resi profughi nel corpo e nell’anima, strappando via la loro umanità e la loro dignità”.
Il ringraziamento alla Chiesa del Kurdistan
“Grazie a Dio - ha affermato la religiosa - la Chiesa nella regione del Kurdistan si è fatta avanti e ha curato in prima persona i cristiani sfollati, facendo davvero del proprio meglio per far fronte al disastro. Gli edifici appartenenti alla Chiesa sono stati aperti e messi a disposizione per fornire un riparo agli sfollati; hanno fornito loro cibo e altri generi di prima necessità, per far fronte ai bisogni immediati della gente; hanno anche fornito assistenza sanitaria gratuita. Inoltre, la Chiesa ha lanciato appelli cui hanno risposto molte organizzazioni umanitarie, le quali hanno fornito aiuti alle migliaia di persone in situazione di estremo bisogno. Oggi siamo grati per tutto ciò che è stato fatto, con la maggior parte delle persone che hanno trovato un riparo in piccoli container prefabbricati o in alcune case”.
Lo Stato islamico vuole il genocidio umano e culturale dei cristiani
“La persecuzione che la nostra comunità si trova oggi a fronteggiare - osserva suor Diana - è la più brutale della nostra storia. Non solo siamo stati derubati delle nostre case, proprietà e terre, ma è stato distrutto anche il nostro patrimonio. L’Is ha distrutto e continua a demolire e bombardare le nostre chiese, i reperti archeologici e luoghi sacri come Mar Behnam e Sara, un monastero del quarto secolo e il monastero di San Giorgio a Mosul. Sradicati e cacciati a forza, abbiamo capito che il piano dello Stato islamico è di svuotare la terra dai cristiani e ripulire il terreno di ogni minima prova che testimoni la nostra esistenza nel passato. Questo è un genocidio umano e culturale. I soli cristiani che sono rimasti nella piana di Ninive sono quelli che sono stati trattenuti come ostaggi”.
Misure urgente per la comunità cristiana irachena
”La perdita subita dalla comunità cristiana nella piana di Ninive ha portato l’intera regione sull’orlo di una terribile catastrofe. Oggi per ripristinare, riparare e ricostruire la comunità cristiana in Iraq - ha concluso la religiosa irachena - bisogna adottare con la massima urgenza le seguenti iniziative: liberare le nostre case dalla presenza del sedicente Stato islamico e favorire il nostro rientro; promuovere uno sforzo comune e coordinato per ricostruire ciò che è stato distrutto - strade, acqua, forniture elettriche, ivi compresi i nostri monasteri e le nostre chiese e incoraggiare le imprese per contribuire alla ricostruzione dell’Iraq e del dialogo interreligioso. Questo può essere fatto attraverso le scuole, le accademie e progetti pedagogici ed educativi mirati”.
Radio Vaticana 14 05 2015