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2015 04 29 TESTIMONIANZE da Siria – Camerun – Libia: per capire cosa spinge ad attraversare il mare. Iniziativa della Regione Lombardia per i cristiani perseguitati nel mondo

Fonte:
CulturaCattolica.it

Siria: avanzano i jihadisti. Testimonianza cristiana a Damasco
La guerra in Siria non conosce soste. Gruppi di combattenti islamici, compreso il Fronte al Nusra, la branca siriana di Al Qaeda, si sono impadroniti di gran parte della città strategica di Jisr al Shagur, nel Nord-Ovest della Siria, a soli 60 chilometri da Latakia, roccaforte del regime del presidente Assad sulla costa mediterranea. Lo riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria. Secondo fonti anti-governative, l’esercito di Assad controllerebbe ora solo il 25 per cento del Paese. La distruzione e la morte che i media raccontano della Siria non sono sufficienti a descrivere ciò che si sta vivendo: il mondo deve reagire. E’ questa in sintesi la testimonianza dalla Siria di Ghada Karioty, della comunità dei Focolari di Damasco. Al microfono di Gabriella Ceraso racconta la situazione del Paese e la vita delle comunità cristiane:
R. – E’ un Paese distrutto; l’economia a terra; è diviso; mancano tante cose e quando si trovano queste cose sono carissime per i salari minimi… La vita, però, continua e tutti i siriani tengono alla loro terra. C’è solidarietà e aiuto reciproco, nonostante la difficoltà della vita. Davanti alle sofferenze che vivono potrebbero anche perdere la fede, ma invece hanno una fede incrollabile.
D. – Attraverso le attività che voi, come Movimento dei Focolari, fate per tenere viva la speranza, che cosa emerge?
R. – Cerchiamo soprattutto di sostenerli nel vivere il loro cristianesimo in modo autentico; cerchiamo di aiutare quelli che sono più nel bisogno, chi magari ha bisogno di fare una cura e non ha la possibilità di farla; cerchiamo anche di portare il sostegno del Santo Padre, che per loro è essenziale. Noi riceviamo anche tanto da loro. Abbiamo conosciuto una famiglia – ad esempio – che ha perso i due unici figli a causa di un razzo caduto sul loro balcone… Era una tragedia! Il nostro sostegno, la nostra vicinanza, le nostre preghiere li hanno sostenuti e, dopo un anno, hanno avuto il coraggio di pensare di avere un altro figlio, che è nato una settimana fa… Era un miracolo!
D. – Non ci dimentichiamo che quattro milioni sono i siriani che sono andati via dal Paese. E’ un sentimento che pervade tutti, questo desiderio di fuga, e soprattutto qual è la sensazione rispetto a quello che dice il Papa, rispetto alle azioni internazionali?
R. – Tanti, che non pensavano affatto alla possibilità di andarsene, di fuggire, ci dicono sempre più che ora ci pensano, perché non vedono una soluzione. Soprattutto soffrono dell’indifferenza dell’opinione pubblica occidentale, sentono che sono abbandonati. Anche i musulmani. E tanti che volevano, sono partiti. Tanti vogliono invece, ma non riescono, perché non ottengono il visto, non avendo soldi per riuscire ad andarsene tramite questi – io li chiamo – “commercianti di vita umana”, che li fanno partire via mare. La metà non arriva a destinazione, però, perché muore in alto mare. E’ un dramma, dunque per la popolazione: non vorrebbero andare via, amano la Siria e sentono che sarà difficile fuori. C’è, infatti, tutta un’altra mentalità, altri valori, ma dicono: “Se rimaniamo rischiamo la vita”. Hanno visto cosa è successo in Iraq, vedono la persecuzione e vedono che nessuno si muove fuori, tranne il Papa che grida ogni volta, ma non so finora chi l’abbia ascoltato e chi si sia mosso. Sentono tanto questa ingiustizia da parte delle grandi potenze.
D. – Uno degli ultimi drammi che si sta consumando proprio alle porte di Damasco, e sembra anche qui nell’indifferenza, perché non si decide cosa fare, è Yarmouk. Voi sapete qualcosa? Che sta succedendo?
R. - Una tragedia umanitaria già da un po’ di mesi. Anche il nunzio apostolico a Damasco ha fatto di tutto per chiedere alle ONG di fare qualcosa. Ma non sono riuscite. Adesso la situazione si è aggravata e gli abitanti di Damasco hanno paura. Se non si fa niente, dunque, sul piano internazionale, non possiamo arrivare sul posto per portare gli aiuti.
D. – Come guardate avanti, come vi aiuta la fede?
R. – Noi viviamo l’attimo presente, quello che possiamo fare ogni minuto. Non sappiamo, infatti, domani come sarà e se saremo costretti anche noi a partire con tutti i cristiani di Damasco. La nostra sola speranza è nella fede, che magari ad un certo punto qualcuno ascolterà la voce del Papa. I musulmani pure continuano a pregare, a credere che Dio può. Se gli uomini, però, non collaborano, non si può arrivare ad una soluzione. (Radio Vaticana 26 04 015)

“Minacciati da Boko Haram, nessuno si cura di noi”
Il grido di dolore di monsignor Bruno Ateba, vescovo di Maroua-Mokolo, in Camerun

«Noi sperimentiamo ogni giorno quanto è accaduto a Parigi lo scorso gennaio. Eppure nessuno si cura del nostro dolore». È quanto scrive monsignor Bruno Ateba, vescovo della diocesi camerunense di Maroua-Mokolo, in un messaggio inviato nei giorni scorsi ad Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Il presule racconta come la violenza di Boko Haram abbia gravemente colpito la sua diocesi, dove nel solo 2014 hanno trovato la morte per mano della setta islamista due membri dello staff diocesano, tre catechisti e trenta fedeli. Numerosi anche i rapimenti, tra cui quello di due sacerdoti italiani, don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, sequestrati proprio a Maroua, assieme alla religiosa canadese, suor Gilberte Bussiére, il 4 aprile del 2014 e poi liberati il 31 maggio 2014.
«La situazione nel nord del Camerun è molto difficile – dichiara ad ACS don Gianantonio Allegri – e nell’area sono stati trovati anche dei campi di addestramento di Boko Haram». Il sacerdote – rapito presumibilmente dalla setta islamista – riferisce della facilità con cui gli estremisti reclutano giovani camerunensi.
«Molti bambini sono stati portati via con la forza oppure affidati dalle famiglie a Boko Haram con la promessa di denaro e di una vita migliore». Anche monsignor Ateba denuncia il reclutamento di oltre 2000 ragazzi e bambini tra i 5 ed i 15 anni, assoldati dai terroristi soltanto nell’ultimo anno. «L’estrema povertà rende l’area un immenso serbatoio da cui attingere per reclutare nuove leve. I giovani camerunensi non hanno alcuna prospettiva e sono facile preda della setta».
Un ulteriore effetto delle violenze e delle razzie compiute da Boko Haram nel nord del Camerun è costituito dall’alto numero di sfollati interni. «La nostra diocesi – spiega monsignor Ateba ad ACS – ospita almeno 55mila sfollati che vanno ad aggiungersi ai tanti rifugiati giunti dalla Nigeria». Secondo il presule, oltre alle migliaia di profughi che vivono nei due campi allestiti a Maroua dall’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, migliaia di persone hanno trovato alloggio presso amici e parenti, mentre altre 22mila hanno trovato riparo nella boscaglia.
«La situazione è drammatica in particolar modo ad Amchidé – dichiara il vescovo – dove le violenze di Boko Haram hanno costretto l’intero villaggio a fuggire, con la conseguente sospensione di ogni attività pastorale».
Attacchi terroristici hanno gravemente danneggiato le infrastrutture della regione – tra le più povere del Camerun - e la chiusura di 110 scuole e tredici centri sanitari.
27 Aprile 2015 (Zenit.org)

Jamaal, il musulmano morto da cristiano per non abbandonare un amico
Tra le 28 vittime etiopi della follia jihadista anche il giovane islamico, offertosi come ostaggio volontario. Tam-tam sui social: “Lui il vero volto dell’islam”

C’era anche un musulmano insieme ai 28 cristiani etiopi uccisi in Libia dallo Stato Islamico e mostrati nell’ultimo orrendo video diffuso dai jihadisti. Il suo nome era Jamaal Rahman, ucciso per non aver voluto abbandonare l’amico cristiano insieme al quale stava compiendo il viaggio verso le coste della Libia, con l’intenzione di raggiungere l’Europa.
La notizia arriva direttamente dall’Etiopia ed è stata rilanciata ieri in Italia dal sito del Pime MissiOnLine. In questi giorni, Addis Abeba è a lavoro per dare un’identità alle vittime mostrate nel video. Durante le ricerche è emerso che alcuni dei cristiani uccisi fossero in realtà di nazionalità eritrea. La vera sorpresa è stata la scoperta all’interno del gruppo del giovane musulmano, la cui presenza è stata confermata da una fonte legata agli shabaab, i fondamentalisti islamici che combattono in Somalia.

Un giornale on line del Somaliland ha spiegato che l’uomo si sarebbe “convertito” durante il viaggio, mentre un’altra fonte jihadista sostiene che Jamaal, in un gesto “folle”, si sarebbe offerto volontariamente come ostaggio per non abbandonare da solo nelle mani dei miliziani dello Stato islamico un suo compagno di viaggio cristiano. Forse sperava che la sua presenza avrebbe cambiato la sorte degli altri ostaggi.
Una volta filtrata la notizia di questo musulmano coraggioso ha scatenato un tam-tam sui social network, dove tanti musulmani etiopi hanno condiviso il fotogramma che lo ritrae, additandolo come il vero volto dell’islam, da contrapporre alla follia dello Stato Islamico.
24 Aprile 2015 (Zenit.org) -

Libia: cristiani costretti ad osservare il ramadan
Il sacerdote eritreo don Mussie Zerai, candidato al Nobel per la Pace, denuncia discriminazioni e maltrattamenti nei campi di detenzione

«Una tragedia che potrebbe ripetersi. Vi sono molti altri migranti nelle mani di Isis». Così il sacerdote eritreo don Mussie Zerai commenta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre l’uccisione dei circa trenta cristiani etiopi ed eritrei per mano dello Stato Islamico, ripresa in un video diffuso dal gruppo terrorista il 19 aprile.

Don Zerai, fondatore e presidente dell’agenzia Habeshia, è noto per il suo impegno in difesa dei richiedenti asilo e dei migranti in fuga da guerre, dittature, terrorismo e persecuzione. Un impegno che nei mesi scorsi gli è valso la candidatura al premio Nobel per la Pace.
«Le persone uccise dai jihadisti speravano di iniziare una nuova vita e ricevere protezione in Europa». Come loro molti altri cristiani affrontano lunghi viaggi, anche per fuggire da situazioni di persecuzione. E nel loro cammino incontrano gravi discriminazioni a causa della loro fede.
«Nei campi di detenzione in Libia i cristiani sono sempre stati discriminati e maltrattati – riferisce il sacerdote ad ACS – Nei giorni scorsi mi hanno informato che in un centro di Misurata i cristiani sono obbligati a pregare assieme ai musulmani e ad osservare il digiuno nel mese del ramadan. Con la differenza che mentre al calar del sole i detenuti musulmani ricevono del cibo, ai cristiani è negato anche questo diritto».

Tra i migranti cristiani uccisi dallo Stato Islamico vi erano almeno tre eritrei, identificati attraverso il video diffuso dai jihadisti. Don Zerai racconta la persecuzione vissuta dai fedeli nel suo paese, non a caso noto come la “Corea del Nord d’Africa”. Secondo i dati dell’ultimo rapporto sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Eritrea sarebbero circa 1.200 i cristiani detenuti in carcere anche per motivi religiosi.
«Molti leader cristiani, soprattutto pentecostali, sono stati arrestati e torturati e alcuni di loro hanno trovato la morte in carcere. Perfino il patriarca ortodosso eletto canonicamente si trova ora agli arresti domiciliari ed è stato sostituito da un patriarca vicino al regime».
Lo stretto controllo governativo riguarda anche la Chiesa cattolica le cui pubblicazioni – “colpevoli” di denunciare ingiustizie e abusi – sono state chiuse già da dieci anni. «Ci hanno vietato di pubblicare la traduzione della Dottrina sociale della Chiesa in lingua tigrina. I censori sostengono che contenga temi politici».
Don Zerai teme possibili rivendicazioni in seguito alla lettera pastorale scritta dai quattro vescovi di Eritrea nel giugno 2014: una chiara denuncia delle difficili condizioni in cui versa la Chiesa locale. «Il regime non ha ancora agito perché non vuole apparire vendicativo. Ma i vescovi si attendono una dura reazione in futuro».
«È importante agire alla radice e non limitarsi a rispondere all’emergenza – dichiara ad ACS don Mussie Zerai – Ogni anno si ripetono le stesse tragedie. Tragedie annunciate. Per combattere il traffico e porre fine alla morte nel deserto o nel Mediterraneo di tanti migranti innocenti si deve dare loro un’alternativa legale e soprattutto cercare di risolvere nei loro paesi di origine, problemi quali dittature, guerre, persecuzione e contesti socioeconomici per nulla dignitosi».
23 Aprile 2015 (Zenit.org) -

Regione Lombardia per i cristiani perseguitati nel mondo
02/05/2015 - Milano, Palazzo Lombardia - Piazza Città di Lombardia
Regione Lombardia promuove una serata di sensibilizzazione e di solidarietà verso il dramma di tutti i cristiani perseguitati nel mondo. L’appuntamento è il 2 maggio 2015 in piazza Città di Lombardia a partire dalle 20.00 per un momento di riflessione e testimonianza a cui seguirà dalle 21.00 la proiezione del film “Cristiada” in Auditorium Testori.
Ingresso gratuito fino a esaurimento posti.

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