2015 04 01 MERCOLEDÌ SANTO preghiamo per chi muore pur di non tradire: come il fragile Pietro, non come il forte Giuda
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Giuda tradisce e Pietro rinnega. Giuda si uccide per la disperazione. Pietro piange per la propria miseria. Giuda confidava solo in se stesso e si è scandalizzato di sé; anche Pietro confidava troppo in se stesso, amava Gesù e si riconosceva amato da Gesù: per questo nel proprio cuore non ha trovato solo lo scandalo di sé ma la speranza della misericordia.
Così Pietro è morto martire: non per la propria forza ma per lo stupore di vedersi amato nella sua evidente debolezza.
I martiri li ricordiamo al mercoledì per ricordarci sempre che il martirio nasce dallo stupore per la misericordia evidente nella Croce di Gesù, non certo dalla propria forza che potrebbe portarci alla disperazione di Giuda.
Il Papa: “pensiamo ai nostri fratelli e sorelle perseguitati perché cristiani, i martiri di oggi”
Nell’omelia della Messa della domenica della Palme, 29 marzo, celebrata in piazza San Pietro, Papa Francesco ha dedicato un ricordo particolare ai cristiani perseguitati. Ricordando che nella Settimana Santa, che ci conduce alla Pasqua, “noi andremo su questa strada dell’umiliazione di Gesù”, ha detto: “Pensiamo anche all’umiliazione di quanti per il loro comportamento fedele al Vangelo sono discriminati e pagano di persona. E pensiamo ai nostri fratelli e sorelle perseguitati perché cristiani, i martiri di oggi – ce ne sono tanti – non rinnegano Gesù e sopportano con dignità insulti e oltraggi. Lo seguono sulla sua via. Possiamo parlare in verità di ‘un nugolo di testimoni’: i martiri di oggi”.
Oggi solo una testimonianza:
Pakistan: Il giovane eroe sacrificatosi per salvare centinaia di cristiani
Akash Bashir ha braccato un kamikaze che stava per entrare in una chiesa per compiere una strage. Per il suo coraggio si chiede il conferimento del più alto riconoscimento civile
Laddove alligna l’odio verso i cristiani che sfocia in violente persecuzioni, si consumano atti d’eroismo incommensurabili. Lahore, città del Pakistan al confine con l’India, situata pochi chilometri a sud della regione del Kashmir, è uno di quei luoghi che più spesso compare nelle cronache dei giornali come scenario di atroci attentati in odium fidei. È in territori come questo che i cristiani (che in Pakistan rappresentano la minoranza, 2% della popolazione, più marginalizzata) sono sempre più facile bersaglio degli estremisti.
Il 15 marzo scorso, domenica, attacchi terroristici hanno preso di mira due chiese di Lahore gremite di fedeli in preghiera, causando 16 morti e almeno 90 feriti. Gli attentati, coordinati tra loro, sono stati rivendicati dal gruppo Jamaat-ul-Ahrar, vicino ai talebani. Il bilancio delle vittime, nella chiesa cattolica di St. John, a Youhanabad, periferia della città, sarebbe potuto essere più grave. Tuttavia, l’intervento sprezzante del pericolo di un giovane si è rivelato risolutore avendo impedito al kamikaze di introdursi nell’edificio sacro.
Il fatto è il seguente. Un giovane parrocchiano, di nome Akash Bashir, in qualità di “security guard” (guardia di sicurezza) insieme a un amico stava controllando chi entrasse all’ingresso della chiesa. Insospettitosi dall’atteggiamento irruento di un uomo con un giaccone, Akash gli si è avvicinato e lo ha fermato prima che questi varcasse la porta. L’uomo ha provato a fare resistenza, e proprio in quel momento il giovane cristiano si è accorto del carico esplosivo che nascondeva sotto il giubbotto, così lo ha abbracciato per arrestare ogni suo movimento. L’attentatore, sentendosi braccato, ha quindi deciso di muovere la leva dell’esplosivo, che ha ucciso il giovane Akash.
La morte di questo parrocchiano è valsa come un sacrificio, avendo salvato la vita a centinaia di fedeli che in quel momento affollavano la chiesa. A diffondere la notizia dell’accaduto sono stati i salesiani, attraverso la loro agenzia di notizie Ans: era un giovane ex allievo della scuola tecnica salesiana del quartiere in cui è avvenuta la tragedia. “Ha abbracciato il suo assalitore, facendo scudo col suo corpo”, raccontano i religiosi.
“È grazie a lui - prosegue l’ordine di don Bosco - se il bilancio delle vittime accertate non è stato terribile come gli attentatori si prefiguravano”. I salesiani hanno inoltre annunciato che la loro scuola rimarrà chiusa “fino a che non possa essere garantita la sicurezza; alcuni giovani attualmente non possono nemmeno fare ritorno alle loro case, per via dei continui disordini e delle violenze stradali”.
“Come minoranza cristiana ci sono momenti in cui la nostra sola speranza è nell’aiuto di Dio e di sua Madre, Maria”, affermano ancora i salesiani.
La stessa fiducia in Dio animava il cuore di Akash Bashir, che i suoi genitori descrivono come un ragazzo “ubbidiente, laborioso e molto regolare nella preghiera”. Nei giorni successivi al suo sacrificio, la sua casa è stata meta di un continuo pellegrinaggio di fedeli giunti lì per lodare il valore di questo giovane eroe e per esprimere condoglianze alla sua famiglia. A rendergli omaggio anche mons. Sebastian Francis Shaw, arcivescovo di Lahore.
La richiesta che giunge al primo ministro del Pakistan, Nawaz Sharif, e al Governatore della regione del Punjab, Shahbaz Sharif, è che al giovane Akash sia conferito il più alto riconoscimento civile (Son of Nation) per il coraggio dimostrato. Sarebbe, questo, un gesto concreto di pacificazione per un Paese che ne ha davvero bisogno.
(Federico Cenci, 26 Marzo 2015 - Zenit.org -)