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2015 03 11 Testimonianze da non perdere

Fonte:
CulturaCattolica.it
“La nostra unica colpa è portare il nome del nostro Signore Gesù” La verità del conflitto in Siria e in Iraq: “le potenze dall’esterno pianificano il nostro supplizio” “Abbiamo gridato ma l'Occidente dormiva”

Nuova fiammata di attacchi di matrice jihadista in Africa e Medio Oriente.
In Nigeria 55 persone sono morte in cinque diversi attentati suicidi.
Nel Mali sono state uccise 5 persone in un ristorante della capitale Bamako, frequentato da occidentali.
E in Iraq è ancora sdegno dopo che il califfato ha preso di mira i resti dell’antica città di Hatra, mentre in Siria si registrano nuovi attacchi a villaggi cristiani.
Intanto le milizie africane di Boko Haram hanno giurato fedeltà al sedicente Stato Islamico.
Chi obbedisce a tutto questo progetto diabolico?

"La nostra unica colpa è quella di portare il nome del nostro Signore Gesù"
La lettera di un gruppo di profughi iracheni in Giordania consegnata a papa Francesco

Testo integrale della lettera consegnata stamattina a papa Francesco, al termine della messa del mattino alla Casa Santa Marta, da padre Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media di Amman e parroco a Naour (Giordania), a nome di alcune famiglie irachene rifugiate da alcuni mesi nella parrocchia di Naour. 05 Marzo 2015 (Zenit.org)

Padre Affettuoso,
Noi, i cristiani Iracheni, presenti ora in Giordania e costretti ad emigrare dalle nostre terre, a causa del potere del demonio delle tenebre e della schiavitù, nonostante noi non abbiamo commesso alcun male che giustificherebbe la nostra fuga.
La nostra unica colpa è quella di portare il nome del nostro Signore Gesù Salvatore e le nostre buone opere di amore e di pace verso tutte le creature.
E dopo che loro ci hanno messi di fronte alla scelta se essere cristiani o essere uccisi siamo dovuti scappare dalle nostre terre con il Nostro Cristo, con la nostra fede e con i nostri principi.
Abbiamo scelto di andare via lontani dalle nostre case e dal nostro paese che amiamo, preferendo diventare stranieri in una terra straniera, con tutto il dolore e la sofferenza che ne consegue, piuttosto che diventare parte di quel male e di quella violenza inumana contro gli innocenti.
Noi abbiamo scelto di scappare lasciando tutto quello che era a noi caro, case, terre, proprietà. per diventare parte del santo gregge di Cristo, seguendo, con convinzione e gioia, le tappe della Via Crucis con Gesù Crocifisso, per essere degni di essere fra i suoi agnelli membri del suo santo gregge.
O Padre Nostro, sappi che la nostra fede oggi è molto più forte di prima. Non abbiamo paura di niente perché siamo convinti che Dio e' con noi, e la Vergine Maria, Madre del Salvatore, ascolta le nostre preghiere e richieste e risolve i nostri problemi che affrontiamo ogni giorno.
Ciò è proprio quello che sentiamo e viviamo ogni giorno. Rendiamo grazie sempre al Signore affinché possiamo riunirci a lui.
O Padre buono, semplice ed umile, ti chiediamo di pregare ed agire per noi e per i nostri popoli feriti nel mondo arabo per il perdono dei nostri peccati, affinché la pace di Cristo possa dominare. Ma prima vogliamo pregare per tutti quelli che sono causa di tutto questo male e quelle opere malvagie.
Vogliamo pregare per tutti coloro che hanno fatto spargere il sangue di molti innocenti osservando le leggi del male e delle tenebre.
O Santo Padre vogliamo che Lei preghi perché possano pentirsi davanti al loro Creatore, perché possano diventare strumenti di pace e di amore e non più strumenti in mano al maligno, cosi che possano diventare dei veri figli di Dio.
Noi pregeremo O Padre Santo Gesù amore affinché possa darvi la buona salute e la buona volontà e l'illuminazione in modo che così possiate continuare quello che avevano iniziato i vostri predecessori, da San Pietro a San Paolo fino al Santo del Secolo, S. Giovanni Paolo II, ed al resto dei discepoli.
Infine, e nel nome di Cristo vi vorremo ringraziare perché ha avuto il tempo di leggere la nostra umile lettera.
Chiediamo al Signore di darvi forza e coraggio per poter essere sempre al servizio dei poveri in tutto il mondo. Che il Signore possa essere al vostro fianco dovunque andate. Ringraziamo la chiesa cattolica locale , e la Caritas Giordana per tutto il bene che hanno fatto per noi, dopo la nostra fuga.
La fraternità di Gesù
Famiglie irachene nella parrocchia di Naour / Amman – Giordania (seguono i nomi)

La verità del conflitto in Siria e in Iraq

SIRIA - Il Vescovo Abou Khazen: le potenze dall'esterno pianificano il nostro supplizio
I “ribelli” dicono no alla tregua di Aleppo.
Il rifiuto opposto dalle forze anti-Assad alla tregua umanitaria ad Aleppo proposta dall'inviato Onu Staffan de Mistura rappresenta “un fatto grave” e dimostra per l'ennesima volta che il conflitto siriano “non avrà fine fino a quando vorranno farlo durare tutte le forze che lo stanno alimentando dall'esterno”. Così il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, considera il rifiuto con cui i gruppi – compresi quelli sostenuti dall'Occidente – hanno respinto l'ipotesi di un cessate il fuoco che consentisse di portare aiuti alla popolazione della metropoli martoriata da anni di conflitto.

I ribelli hanno rifiutato la tregua
Lo steso inviato Onu de Mistura ha riferito che il governo di Damasco si era detto disponibile a una tregua di sei settimane. Sull'altro fronte, la galassia delle opposizioni militari – che comprende sigle jihadiste come al-Nusra e minoritari e ininfluenti gruppi di “ribelli” riconosciuti e sostenuti da Paesi occidentali – ha risposto di non essere disposta a prendere in considerazione il piano, se esso non comporta anche l'uscita di scena finale di Assad e degli uomini del suo apparato, da sottoporre a giudizio per crimini di guerra.

La guerra continuerà finchè le potenze straniere vorranno alimentarla
I Gruppi di opposizione collegati nella Commissione rivoluzionaria di Aleppo hanno finora rifiutato di incontrare De Mistura, sostenendo che una tregua prolungata avrebbe solo l'effetto di rafforzare le posizioni dell'esercito governativo. “La nettezza del rifiuto - sottolinea dialogando con Fides il Vescovo Abou Khazen – conferma, a suo modo, il dato che tutti noi abbiamo ben chiaro da tempo: la guerra continuerà finché le potenze straniere vorranno alimentarla. Statunitensi e turchi hanno appena dichiarato di avere un piano di sostegno e addestramento dei gruppi ribelli per i prossimi tre anni. Quindi hanno già messo in programma che la guerra durerà altri tre anni, e la gente qui continuerà a soffrire e a morire per altri tre anni... Prima delle rivolte, i novecento chilometri con la frontiera turca erano presidiati, e se per caso un pastore varcava il confine per recuperare una pecora fuggita, gli sparavano e lo ammazzavano. Adesso migliaia di miliziani da lì entrano in Siria con armi pesanti, mentre vengono respinti i profughi che dalla Siria provano a andare dall'altra parte per fuggire alle violenze dei jihadisti”.

Il destino della Siria è nelle mani di Dio
Davanti a questo tragico scenario – spiega il Vescovo francescano – rimane solo la speranza che nasce dalla fede: “Come San Paolo, speriamo contro ogni speranza. Perché sappiamo per esperienza che il nostro Signore è grande e buono. Il nostro destino è nelle sue mani, e non nelle manovre interessate di una o dell'altra tra le potenze del mondo, per quanto grande essa sia”.
(Agenzia Fides 4/3/2015 e radiovaticana.va/news/2015/03/04/)

"Abbiamo gridato ma l'Occidente dormiva..."
Durante l'udienza privata del 4 marzo in Vaticano monsignor Warduni Shlemon, Ausiliare Patriarcale di Babilonia dei Caldei, e monsignor Nassar Samir, Arcivescovo di Damasco dei Maroniti, hanno dato al Papa la loro testimonianza diretta della tragedia che si sta consumando in Iraq e in Siria.

Nella terra un tempo detta Mesopotamia, ha ricordato monsignor Samir, è il cristianesimo è arrivato “prima di San Paolo” – per l’esattezza con San Tommaso Apostolo - tanto è vero che, notoriamente, Damasco fu il luogo della conversione dell’Apostolo delle genti.
Diventati poi minoranza (oggi sono circa il 5% in Siria e meno del 2% in Iraq), i cristiani della “Mezzaluna fertile” hanno convissuto pacificamente con i musulmani per secoli, fino alla tragedia attuale, della quale, secondo monsignor Shlemon, gran parte della responsabilità è addebitabile all’Europa e agli Stati Uniti, che invece di unirsi nel fronteggiare il pericolo, hanno continuato a vendere armi ai ribelli: “Abbiamo gridato ma loro dormivano… - ha detto con amarezza il presule iracheno -. Quando l’Europa non difende i diritti umani, ha ancora senso parlare di democrazia?”.

Già lo scorso agosto, intervenendo all’ultimo Meeting di Rimini, il presule aveva ammonito: “Se non smettono di vendere loro le armi e non mettete in guardia le nazioni che li aiutano, i terroristi verranno a bussare a Roma e voi diventerete musulmani”.
L’avanzata dell’Isis ha distrutto moschee, chiese, musei, biblioteche, tesori e manoscritti: “nemmeno Gengis Khan era arrivato a tanto”, ha commentato a tal proposito Shlemon, tuttavia il punto più dolente è la volontà dei jihadisti di “sradicare il cristianesimo”.

In questo scenario apocalittico, tuttavia le comunità cristiane mediorientali vogliono dare un “messaggio d’amore, di pace e di speranza” e ai jihadisti dello Stato Islamico, stanno rivolgendo la loro preghiera perché “Dio apra le loro menti e dia loro la grazia di capire cosa stanno facendo e perché lo stanno facendo”.

L’incontro odierno con il Santo Padre è stato positivo: “Ha fatto tanto e noi lo ringraziamo sempre”, ha detto il vicario della chiesa caldea irachena, manifestando apprezzamento anche per la missione svolta in Iraq lo scorso agosto dal cardinale Ferdinando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli.
Importantissimo, ha aggiunto monsignor Shlemon, è anche che il Papa stia pregando e chiedendo di pregare per la pace in tutto il Medio Oriente. Stamattina, al Santo Padre, l’ausiliario dei caldei ha riferito che i fedeli della sua diocesi, pregano per lui e lo aspettano in Iraq. Da parte sua, il Pontefice ha ribadito il suo desiderio di poter visitare il paese ma, al tempo stesso, ha raccomandato i vescovi mediorientali di essere vicini ai loro sacerdoti
04 Marzo 2015 (Zenit.org)

Due interventi del patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphaël I Sako

Iraq. Sako: guerra terribile, fondamentalisti distruggono tutto
La distruzione dell'antica capitale assira Nimrud in Iraq da parte dei militanti del sedicente Stato Islamico attraverso bulldozer “costituisce un crimine di guerra”. Lo denuncia l'Unesco facendo "appello a tutti i responsabili politici e religiosi della regione a sollevarsi contro questa barbarie”. Intanto è di ieri la notizia della fuga di circa 28 mila civili dagli scontri tra esercito e jihadisti nella città settentrionale di Tikrit: una “città simbolica”, come spiega il patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphaël I Sako:

R. - È una tragedia, perché questa è una città sunnita simbolica: è la città di Saddam Hussein, caduto nel 2003. La gente ha paura della vendetta, perché più di mille persone tra militanti o soldati sciiti sono stati assassinati. Tutta questa regione ha paura della vendetta. In questo momento sono come un “sandwich”: da una parte le milizie sciite con l’esercito iracheno e dall’altra l’Is. Perciò la gente cerca di scappare per non morire. Ci sono già due milioni di rifugiati iracheni. Adesso con Tikrit saranno di più. Il Paese non è preparato ad accogliere queste famiglie. È veramente una guerra terribile. Non si immaginano le conseguenze.

R. - Da una parte l’emergenza umanitaria e dall’altra ci arriva la notizia dell’ennesimo colpo all’eredità storica dell’Iraq. Infatti i jihadisti del sedicente Stato islamico hanno raso al suolo l’antica città assira di Nimrud …

D. - Loro non hanno nessun rispetto per la vita umana, per la storia … per tutto. Vogliono cancellare, annullare, tutta la storia; vogliono ricostruire una loro storia.

R. – Nell’interpretazione estremistica dell’islam infatti - quella adottata dall’Is - le statue, gli idoli, i santuari sono oggetti di culto diversi da Dio e per questo vanno distrutti. Una settimana fa la diffusione del video da parte del sedicente Stato islamico nel quale venivano fatti a pezzi, a colpi di asce le statue, i manufatti del monastero di Mosul …

R. – Ma la legge musulmana non è così! Da 1500 anni queste antichità erano lì a Mosul e Nimrud; penso che quello che è accaduto a Nimrud sia più grave, perché lì tutti questi monumenti sono originali, non sono copie come era invece nel museo di Mosul. È una grave perdita per l’umanità, per tutta la civiltà antica della Mesopotamia … É triste, non si capisce come il mondo intero sia incapace di sconfiggere questa ideologia e questi gruppi terroristi.

D. - C’è un appello che vuole levare ai nostri microfoni?

R. - È un doppio appello: salvare la vita di queste persone innocenti, civili e tutto questo patrimonio internazionale. Non dobbiamo lasciare che i gruppi fondamentalisti distruggano tutto.

Patriarca Sako: offensiva contro Is causa nuove emergenze umanitarie
I jihadisti del sedicente Stato Islamico stanno facendo strage di “esseri umani, monumenti, civiltà”. Ma l'offensiva dell'esercito iracheno e delle tribù locali islamiste contro il Califfato sta provocando, come effetto collaterale, “lo sradicamento di migliaia di famiglie che fuggono verso l'ignoto, senza che sia stato attivato sul posto un piano organizzato di assistenza”. A puntare i riflettori sulla nuova, ignorata emergenza umanitaria che si sta aprendo nella martoriata nazione irachena è il patriarca di Babilonia dei caldei, Louis Raphael Sako, con un appello pervenuto all'agenzia Fides.

Il patriarca chiede al governo di affrontare la nuova emergenza umanitaria
Il primate della Chiesa caldea chiede al governo del Paese e alla comunità internazionale di “agire al più presto per la protezione dei civili innocenti e di offrire loro l'assistenza necessaria in alloggi, cibo e farmaci”. (Radio Vaticana 10 03 2015)

LIBIA: TESTIMONIANZA di padre Marcello Ghirlando, vicario generale di Tripoli
Onu: contro l'Is il tempo stringe. Paura tra i cristiani

Il sedicente Stato Islamico in Libia si è rafforzato, “il tempo stringe”, ma un’intesa tra il governo islamista di Tripoli e quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, su come fronteggiare insieme la minaccia dell’Is “non è mai stata così vicina”. Così l'inviato speciale dell'Onu Bernardino Leon alla vigilia del nuovo round di colloqui oggi in Marocco. Cresce intanto la preoccupazione tra i cristiani, come conferma padre Marcello Ghirlando, vicario generale di Tripoli, al microfono di Cyprien Viet:

R. – Dopo le brutte notizie di alcune settimane fa della decapitazione dei copti e dopo le notizie anche della presenza dello Stato Islamico, non solo a Derna ma anche Sirte, si sono create delle tensioni nei nostri cristiani, un po’ di paura, tanto che alcuni dei nostri cristiani che lavorano in Libia stanno partendo e in particolare fra le due grandi comunità che attualmente vivono a Tripoli: la comunità filippina e la comunità africana. Questo sono le due più grandi comunità che sono rimaste nella nostra Chiesa in Tripoli.

D. – Quanti sono i cristiani a Tripoli?

R. – Prima di questa situazione in Libia erano presenti 13 mila filippini, la maggioranza lavorava negli ospedali e nel settore medico in genere, ma alcuni sono partiti: forse adesso ne rimangono circa 8 mila. Poi c’è la comunità indiana, che era la più grande; e poi c’è la grande comunità africana e di questa è difficile fare una statistica, perché ci sono gli africani che vivono a Tripoli e poi la grande marea di africani che dal Sub-Sahara salgono in Libia per tentare la fortuna, per andare in Europa. Alcuni di loro vengono per alcune settimane, per alcuni mesi in Chiesa, però non abbiamo una statistica precisa. Quando si fa la Messa, il venerdì, la chiesa è strapiena di africani…

D. – Ci sono ancora Chiese e parrocchie attive?

R. – Parliamo di Tripoli: qui abbiamo solo una chiesa! Tutte le chiese sono state confiscate quaranta anni fa… Abbiamo la grande chiesa di San Francesco e tutto si fa lì.

D. – Non ci sono problemi di sicurezza per i cristiani che vengono a Messa?

R. – Ci sono problemi di sicurezza per tutti! Noi non ci poniamo questo problema, perché nessuno è sicuro! Però si deve vivere e si continua a sperare nel Signore.

D. – Qual è la sua visione per il futuro della Libia? La pace è possibile? Non c’è troppo odio?

R. – C’è tanto odio, c’è tanta guerra! Ma si spera sempre; si spera sempre! La maggioranza dei libici è gente buona, è gente che cerca di vivere in pace, è gente che cerca di avere un lavoro e di accudire i propri figli. E’ gente che vuole la pace! Personalmente credo tanto al loro sistema tradizionale, quindi alle tribù e ai capi tribù, agli anziani che hanno tanta saggezza. La pace in Libia si troverà soltanto attraverso il loro sforzo e il loro impegno. E noi aggiungiamo la nostra preghiera per questo grande popolo, che come ogni popolo cerca la pace. La Chiesa non domanda interventi militari, neanche apre la bocca su queste cose… La Chiesa prega e chiede che chi è responsabile aiuti tutte queste fazioni ad avvicinarsi. Questo chiediamo ed è questo che dobbiamo incoraggiare! Soluzioni militari? Non so quanto siano veramente soluzioni. Basta guardare in tutto il mondo…
(Radio Vaticana 05 03 2015)

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