2015 03 04 Per non dimenticare: Aleppo situazione umanitaria catastrofica. Pakistan anniversario morte Batti. CONGO RD - Ucciso un sacerdote nell’est del Paese
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Aleppo è una città distrutta e dimenticata: situazione umanitaria catastrofica
Dal luglio 2012 la città è divisa fra truppe siriane, che controllano la zona ovest, e i ribelli che controllano la zona est. Un tempo il cuore pulsante dell’economia del Paese, oggi Aleppo è un cumulo di macerie, anche se le centinaia di migliaia di abitanti che non sono fuggiti cercano di sopravvivere nella città divisa.
La guerra ha causato 220mila morti e 10 milioni di sfollati
La “primavera araba” scoppiata in Siria nel 2011, con la richiesta di maggior democrazia, è scivolata sempre più in una guerra civile e in un conflitto regionale e internazionale, con i Paesi arabi (Arabia saudita, Qatar, Emirati) e gli Usa che sostengono i ribelli, e l’Iran e la Russia che sostengono Assad. A causa delle divisioni presenti nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, è stato impossibile finora il dialogo e la ricerca di soluzioni. Secondo stime dell’Onu, la guerra ha fatto finora almeno 220mila morti; più di 3 milioni di siriani sono rifugiati in Libano, Turchia, Giordania, Iraq; circa 6 milioni sono gli sfollati interni.
TESTIMONIANZE
Drammatica la situazione ad Aleppo, come ci riferisce il religioso marista Georges Sabe, raggiunto telefonicamente nella città da Hélène Destombes:
R. – La situation humanitaire de la ville d’Alep est catastrophique de tous les points de vue. ...
La situazione umanitaria della città di Aleppo è catastrofica sotto tutti gli aspetti. Praticamente, non abbiamo elettricità: ce l’abbiamo solo un’ora al giorno. Manca il gas, come anche il carburante e il riscaldamento, proprio adesso che è inverno. La stessa cosa vale per la benzina. I bombardamenti sono incessanti e i colpi di mortaio arrivano sui civili, su tutti e due i fronti. Tra i morti ci sono tanti giovani. Aleppo è veramente dimenticata. Ci chiediamo “perché?”. Viene quasi da pensare a una punizione collettiva … Molte famiglie pensano di abbandonare la città: ne hanno abbastanza della situazione che vivono. L’orizzonte di Aleppo è veramente chiuso …
D. – La città è bombardata ogni giorno …
R. – Oui, la ville est bombardée quotidiennement. …
Sì, ogni giorno la città è sotto i bombardamenti. Non sono i cristiani ad essere presi di mira, ma i quartieri nei quali viviamo. Per questo i bombardamenti sono continui. La gente è stanca, ha paura, la vita è diventata carissima … Si ha l’impressione di essere condannati al silenzio e all’oblio del mondo … Vorremmo riprendere la nostra vita, ma è molto complicato. Ogni giorno, ogni mattina la gente si sveglia e quando si alza si chiede se la sera riuscirà a tornare a casa, se non rimarrà sotto a qualche proiettile …
D. – Sappiamo che il sedicente Stato islamico è presente nella regione di Aleppo. Ma è presente anche nella città?
R. – Maintenant, dans la ville elle-même, non. …
In questo momento, nella città stessa, no. Ma vede, la minaccia è reale. Le persone hanno paura che la città sia invasa dallo Stato islamico, da queste forze che sono veramente terribili: ma tutti, sia i musulmani sia noi cristiani siamo preoccupati.
D. – Lei spera che i piani dell’Onu per gli aiuti umanitari vengano accettati?
R. – Je vais vous dire, les Aleppins sont maintenant pire que Saint-Thomas. …
Le dirò, in questo momento gli abitanti di Aleppo sono peggio di San Tommaso. Finché non vedremo dei passi concreti sul terreno, dei progressi nella pacificazione della città che consentano di far arrivare le derrate alimentari e quindi alle persone di vivere, di riprendere fiducia, noi non crediamo più a niente. Sono solo promesse, e di promesse ne abbiamo ricevute così tante … e la gente rimane a subire le conseguenze della guerra. Vogliamo la pace, ma per quanto riguarda le promesse, dopo tre anni di guerra in questo momento veramente non vediamo luce all’orizzonte …
D. – Di fronte a questa assenza di prospettive, quali sono le vostre speranze?
R. – Nous croyons dans l’entraide entre les gens, dans le soutien que les gens …
Noi crediamo nell’aiuto tra le persone, nel supporto che le persone si danno, gli uni agli altri. Crediamo molto in questo spirito che regna tra la popolazione, è vero. Bisogna dire che tra di noi c’è una grande solidarietà. C’è un’altra fiducia. Per il resto, il lumicino di speranza … non so come potremmo immaginarcelo … Per il momento, non ci riusciamo proprio. Noi ci speriamo, ma in questo momento è soltanto un punto interrogativo …
Radio Vaticana 15 02 2015
Testimonianza di padre Ibrahim della Chiesa di San Francesco ad Aleppo pubblicata su Terrasanta.net da fra Ibrahim Aleppo Siria
Da Natale, abbiamo avuto momenti molto difficili con bombe e bombole di gas lanciate sulle abitazioni nella nostra zona.
Giovedì scorso la sorte è caduta su una chiesa cattolica di Rito orientale (armeno) che è stata parzialmente distrutta. I lanci sporadici stanno distruggendo diverse case con l’inevitabile conseguenza di morti e feriti gravi. Quando si tratta di soli danneggiamenti alle case, noi cerchiamo di aiutare quanto più possibile.
Ad Aleppo, in questo periodo invernale, il freddo intenso sta drammaticamente condizionando la gente. Di gasolio non ce n’é quasi più e noi, per il servizio alla gente, la stessa cosa per il gas.
La nostra chiesa di S. Francesco è un vero e proprio “congelatore”, ma la gente continua ad affluire per le Celebrazioni con un coraggio eroico. Noi due frati, che viviamo quotidianamente in questo ambiente, a causa del forte freddo nella chiesa grande, ci siamo ammalati.
La somma necessaria per l’aiuto mensile ai nostri poveri diventa sempre più alta, mentre le fonti locali si stanno prosciugando per lo stato di generale povertà.
Considerate che la situazione economica in Siria sta peggiorando repentinamente. Alcuni giorni fa, il Governo ha annunciato un aumento del prezzo di gasolio da 85 Lire siriane al litro a 125 L.s., mentre per il gas il prezzo della bombola passa da 1100 L.s. all’insostenibile prezzo di 1500 L.s.! E così anche per la benzina... Come conseguenza di tutto ciò il prezzo del pane e di tutti gli alimenti, anche quelli di prima necessità, è aumentato considerevolmente.
Potete facilmente immaginare come tra la nostra gente tiri un’aria di disperazione: anziani ammalati che subiscono il freddo oltre ogni misura, bambini e donne con forti sintomi di malnutrizione, famiglie che non ce la fanno più a pagare l’affitto delle case, persone (specialmente i genitori!) che non si preoccupano più di curarsi e che quindi, anche a causa di “piccole malattie” a lungo trascurate, riportano gravi danni alla salute, che arrivano perfino a causare la morte.
Questa mattina sono arrivati da noi un padre ed una madre di cinque figli universitari. Entrambi non riescono a trovare un lavoro, neanche parziale. La madre mi sussurra di avere una malattia agli occhi e che dovrebbe necessariamente sottoporsi ad un intervento chirurgico poiché già comincia a vederci sempre meno, ma lei preferisce pagare, con le poche risorse economiche rimastele, le rette universitarie per i figli e questo anche se dovesse rimanere completamente cieca oppure morire di fame.
Quotidianamente e per tutta la mia presenza in Convento ricevo persone, scoprendo così almeno quattro casi al giorno di estremo bisogno…
Giorni fa, un’anziana signora è venuta a trovarmi spiegandomi la sua situazione di estrema povertà e di malattia. Poi mi ha mostrato una pistola carica, dicendomi di essere pronta a togliersi la vita “in modo degno”, nel caso che non ce la facesse più a sopportare i dolori e la disperazione.
Ieri invece è venuta da me una donna che mi ha confessato di non avere da due mesi in qua né gas, né gasolio, né elettricità, ma solo poca acqua potabile. Ho dovuto sottrarre una bombola per il Convento, appena ricaricata di gas, ed inviarla subito a casa di questa donna vedova con due figli.
Vi ringrazio quindi della vostra generosità e della vostra preghiera per me e per la gente della mia comunità; vi ringrazio a nome mio e a nome di tutti loro.
fr. Ibrahim
AFRICA-CONGO RD - Ucciso un sacerdote nell’est del Paese; il Vescovo di Goma denuncia l’insicurezza nell’area
L’economo della parrocchia di Mweso (nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo), don Jean-Paul Kakule Kyalembera, è stato ucciso in un apparente tentativo di rapina la sera del 25 febbraio.
Il Vescovo di Goma sottolinea che “nella nostra diocesi ci sono numerose bande che terrorizzano la popolazione e ci sono troppe armi in circolazione. Tra le vittime delle violenze e delle estorsioni vi sono pure delle religiose, che vengono minacciate di morte se non pagano un riscatto di 4.000 dollari. La situazione rimane quindi molto pericolosa” conclude Mons. Kyalembera.
Secondo informazioni pervenute all’Agenzia Fides, nel novembre scorso il parroco della stessa chiesa nella quale è stato ucciso don Kakule, era sfuggito a un tentativo d’omicidio. Sempre nel Nord Kivu, dal 19 ottobre 2012 non si hanno più notizie di tre sacerdoti assunzionisti rapiti nella loro parrocchia di Notre-Dame des Pauvres di Mbau, a 22 km da Beni (vedi Fides 22/10/2012). Un fatto che è stato ricordato da una nota della Conferenza Episcopale congolese sull’uccisione di don Kakule, che si conclude affermando: “dopo il rapimento di tre sacerdoti assunzionisti, la Chiesa della RDC è ancora in lutto per l’uccisione di un sacerdote il cui movente rimane incerto”.
(Agenzia Fides 27/2/2015)
Pakistan, anniversario morte Bhatti. Il ricordo del fratello Paul
Questa domenica, con una una Messa celebrata nella Chiesa romana di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dove è conservata la Bibbia del ministro pachistano Shahbaz Bhatti, si è ricordato il quarto anniversario della sua uccisione avvenuta il 2 marzo 2011. Un omicidio con il quale gli estremisti intendevano mettere fine all’impegno di Bhatti nella difesa delle minoranze religiose del Paese. A promuovere l’evento, la Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con l’Associazione dei pachistani cristiani in Italia. “Finché avrò vita – si legge nel testamento di Bhatti – continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi e i poveri”. Un servizio che continua grazie alla sua associazione, fondata nel 2002, e che oggi è guidata dal fratello Paul Bhatti. Al microfono di Benedetta Capelli così ricorda quella drammatica giornata:
R. – Ogni volta che arriva questo mese di marzo, chiaramente si riaccende la memoria di quel momento, quando io ero medico qui in Italia: mio fratello, già da qualche tempo, mi continuava a richiamare in Pakistan, per andare a lavorare insieme con lui. Avevo una vita tutto sommato tranquilla, per me e per la mia famiglia; mia madre viveva con lui e mio padre era deceduto un mese prima del suo assassinio. Quel giorno stavo andando in clinica, a Treviso: era mattina, ho sentito la notizia del suo assassinio. E’ stata una notizia veramente scioccante e ha completamente cambiato la mia vita e quella della mia famiglia per sempre! Immediatamente mi sono preoccupato per mia madre, perché mia madre viveva con lui… Poi ho saputo che lei avevo sentito addirittura gli spari, quando hanno ucciso mio fratello, perché era vicino casa. Nonostante tutto, io ho visto come mia madre sia stata coraggiosa, quanto ha trovato forza nella sua fede. Addirittura quando sono andato a dirle che avrei voluto continuare la missione di mio fratello, lei mi ha detto: “Sì, perché la sua missione deve continuare!”. Io ero molto arrabbiato e quando sono tornato in Pakistan pensavo di dire addio per sempre al mio Paese. Ma poi sono rimasto lì, e sono rimasto anche volentieri. Avevo la carica e avevo la voglia di continuare la sua missione, vedevo i lavori bellissimi che aveva fatto; ho vissuto l’amore che lui aveva condiviso con le altre fedi, con i musulmani, con i politici e con le guide religiose di varie fedi. E’ stata un’esperienza bellissima! Nella mia carriera in Pakistan ho avuto più appoggio dai musulmani che da persone di altre religioni. Sono sicuro che, prima o poi, si vedrà la pace, vedremo i risultati della missione di Shahbaz, il suo sogno di una convivenza pacifica e specialmente la protezione dei più poveri, di quelli più emarginati e dei perseguitati si avvererà.
D. – A quattro anni distanza, cosa ha seminato – secondo lei – il “sacrificio commovente”, come lo aveva definito Benedetto XVI, di suo fratello?
R. – Da una parte, per noi come famiglia, è stata una giornata nera, una giornata triste; ma dall’altra, ha acceso una luce sulla causa della libertà religiosa. Lui aveva una particolare sensibilità per il tema e così lo aveva condiviso con tutti e tutto il mondo se ne è accorto e sono sicuro che, prima o poi, arriverà ad una conclusione definitiva, si arriverà ad una pace. Specialmente in Pakistan, questo assassinio ha dato una carica molto forte ai giovani, ai giovani cristiani che credono, che credono in una fede che Shahbaz ha dimostrato di vivere fino al suo ultimo respiro. Perciò questo è un esempio di fede, una fede conclusa con il martirio in Pakistan e che ha rappresentato una carica molto forte per i nostri giovani.
D. – Oggi l’impegno di Bhatti in difesa delle minoranze in che modo sta continuando?
R. – Noi abbiamo l’Alleanza di tutte le minoranze, che è una associazione, un movimento che ha formato lui. E in questa associazione, insieme a noi, ci sono tanti altri musulmani, che sono con noi, che ci appoggiano. E’ stato molto importante la causa per blasfemia di Rifta Masih, che è stata poi liberata, era la prima volta che ciò avveniva nella storia del Pakistan. Tutto è successo grazie al consenso dei musulmani e, per la prima volta, è stato messo in prigione un musulmano che aveva accusato falsamente la bambina. Adesso tutto il mondo, specialmente il Pakistan, è unito nella causa della libertà religiosa. Non ci sono più casi di accuse come quelle di Asia Bibi o di persone che sono state accusate falsamente e che sono in prigione. E sono sicuro che un giorno saranno prima di tutto i musulmani a difendere i cristiani!
D. – Lei ha citato Asia Bibi: com’è la sua situazione, ma anche quella di tanti altri cristiani che sono accusati ingiustamente di blasfemia?
R. – Attualmente, c’è qualcosa che sta cambiando in Pakistan. Io sono certo che Asia Bibi verrà liberata! E sono certo che verranno liberati anche gli altri. Di quanto dico non ho prove per dimostrarlo, ma la mia fede, la mia convinzione e i sacrifici che abbiamo fatto, come famiglia, con la morte di mio fratello e anche con l’uccisione del governatore del Punjab dovranno portare risultati. Io penso che questa donna sarà liberata.
Radio Vaticana 01 03 2015