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2014 12 17 PAKISTAN: strage di bambini. IRAK: adolescenti decapitati perché non hanno rinnegato di amare Gesù. SIRIA E IRAQ: il PAPA e il dramma di 120 mila famiglie cristiane cattoliche

Fonte:
CulturaCattolica.it

Anche se non si tratta di cristiani, di cui trattiamo in questi appuntamenti settimanali, non possiamo tacere di fronte all’orrore

PAKISTAN: talebani fanno strage di bambini. Bhatti: è orrore
E’ di 135, di cui la maggior parte bambini, e 250 i feriti il bilancio dell’orribile strage perpetrata in Pakistan dai talebani, in una scuola di Peshawar. Dopo sette ore di attacco, i sei terroristi sono stati uccisi.
Una carneficina per rappresaglia, uno degli attacchi più sanguinosi e più aggressivi, perché contro bambini, che il TTP (Tehreek-e-Taleban Pakistan) abbia mai perpetrato. Gli oltre 100 bambini uccisi sono stati il prezzo delle azioni dell’esercito pakistano contro le roccaforti talebane nel Nord del Waziristan, regione al confine con l’Afghanistan. Le piccole vittime, tra i 6 e i 17, erano tutti studenti della scuola a Peshawar attaccata oggi da un commando del principale gruppo ribelle islamico del Paese legato ad Al Qaida. Sei gli assalitori, con indosso uniformi militari, che hanno assaltato la Scuola, destinata all’istruzione dei figli dei militari, e proprio per questo obiettivo dei talebani, scelto, ha spiegato il portavoce dei terroristi, per far provare ai militari il dolore di chi perde le famiglie. “E’ terribile che abbiano scelto di attaccare una scuola con bambini - ha detto l’arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale locale, mons. Coutts - significa che i talebani non hanno limiti ed è gente pronta a fare qualsiasi cosa”.
Paul Bhatti, leader della Alleanza delle minoranze pakistane:
“E’ un orrore. Dire che è una cosa che fa star male, è poco. E’ una cosa terribile, contro qualsiasi insegnamento religioso, contro qualunque ideologia umana: è inconcepibile una violenza di questo tipo. E io vorrei che lo Stato pakistano, e in particolare il governo attuale, prenda serie misure per eliminare questo tipo di violenza dal Pakistan: che non è soltanto contro il Pakistan, ma contro il mondo intero, contro l’umanità.” (Radio Vaticana 16 XII 2014)

IRAQ: giovani decapitati perché non hanno rinnegato di amare Gesù
La ferocia dell’Isis ha colpito quattro adolescenti che si sono rifiutati di dire “Allah è l’unico Dio e Maometto il suo profeta”. I miliziani pubblicano intanto un manuale su come trattare le schiave sessuali.
È quasi con le lacrime agli occhi che il canonico Andrew White, pastore della piccola comunità anglicana della chiesa di San Giorgio di Baghdad, racconta una recente atrocità (l’ennesima) commessa dai miliziani dell’Isis ai danni di quattro giovanissimi cristiani nei pressi di Mosul.
In un video diffuso dal Christian Broadcasting Network e ripreso da Marco Tosatti su La Stampa, White racconta che quattro giovani cristiani, tutti con meno di quindici anni, sono stati catturati dai terroristi, che hanno chiesto loro di pronunciare la shahada, la testimonianza di fede nell’Islam: “Testimonio che non c’è Dio se non Allah e che Maometto è il suo profeta”. I quattro hanno risposto “No, noi amiamo Gesù”. Al protrarsi della richiesta, la risposta dei giovanissimi non si è lasciata scalfire: “No, non possiamo farlo”. E così, i miliziani dell’Isis li hanno decapitati.
Questa terribile notizia fa il paio con quella pubblicata dal Mail online, secondo cui i capi dell’Isis hanno diffuso tra i propri sottoposti un manuale che prescrive i casi in cui è legittimo picchiare le donne rapite o fare sesso con loro e in quali circostanze è permesso usare violenza anche a bambine che non hanno raggiunto l’età della pubertà.
10 Dicembre 2014 (Zenit.org)

A giugno e ad agosto di quest’anno è accaduto, sotto i nostri occhi e con la nota dolente di un’assordante silenzio d’indifferenza internazionale, un esodo forzato dalle dimensioni bibliche. Più di 120 mila famiglie cristiane sono state costrette a lasciare tutto e ad abbandonare le terre di Mosul e Qaraqoshe, quelle terre di cui sono i residenti nativi e più antichi, per diventare rifugiati.
La Chiesa siro-cattolica è stata di gran lunga la comunità più colpita da questo male causato dall’Isis.

Questa tragedia è stata il tema centrale del sinodo ordinario della chiesa siro-antiochena cattolica, conclusosi mercoledì 10 dicembre a Roma con l’incontro con Papa Francesco.

Francesco ai siro-cattolici: fede coraggiosa di fronte a disumanità
Vicinanza e incoraggiamento ai tanti cristiani che, soprattutto in Siria e Iraq, stanno sperimentando una disumanità che costringe alla fuga: sono i sentimenti espressi da Papa Francesco durante l’incontro con la comunità cattolica siro-antiochena, riunita a Roma per il suo Sinodo, che si è svolto fuori dal territorio patriarcale a causa della guerra. A guidare la delegazione siro-cattolica, il patriarca Ignace Youssif III Younan che ha dichiarato: “La nostra visita dal santo Padre è una visita filiale che vuole ribadire i legami di unità tra la sede d’Antiochia e quella di Roma, la Chiesa che presiede nell’amore, secondo la felice espressione di sant’Ignazio d’Antiochia”.

Al centro del discorso del Papa la drammatica situazione delle comunità cristiane in Medio Oriente:
“Tramite voi, posso far giungere il mio saluto alle vostre comunità sparse nel mondo, ed esprimere il mio incoraggiamento in particolare a quelle dell’Iraq e della Siria, che vivono momenti di grande sofferenza e di paura di fronte alle violenze”.

“La difficile situazione nel Medio Oriente ha provocato e continua a provocare nella vostra Chiesa spostamenti di fedeli verso le Eparchie della diaspora, e questo vi mette di fronte a nuove esigenze pastorali”.
E’ una duplice sfida – ha osservato il Papa – “da una parte, rimanere fedeli alle origini; dall’altra, inserirsi in contesti culturali diversi operando al servizio della salus animarum e del bene comune. Questo movimento di fedeli verso Paesi considerati più sicuri impoverisce la presenza cristiana in Medio Oriente, terra dei profeti, dei primi predicatori del Vangelo, dei martiri e di tanti santi, culla degli eremiti e del monachesimo”. Tutto ciò – ha affermato – richiede che ci siano pastori e fedeli “coraggiosi, capaci di testimoniare il Vangelo nel confronto, a volte non facile, con persone di etnie e religioni diverse”:

“Tanti sono fuggiti per mettersi al riparo da una disumanità che getta sulle strade popolazioni intere, lasciandole senza mezzi di sussistenza. Con le altre Chiese cercate di coordinare i vostri sforzi per rispondere ai bisogni umanitari sia di quanti restano in patria, sia di coloro che si sono rifugiati in altri Paesi”.

TESTIMONIANZA

Ignatius III Younan racconta del tragico esodo vissuto da 120 mila famiglie cristiane dal giorno alla notte

D- Lei aveva indicato che il sinodo avrebbe trattato il tema della formazione sacerdotale. Ci spiega il motivo per cui è stata fatta questa scelta, in un momento così critico e drammatico per la vostra chiesa?

R- Gli avvenimenti dolorosi che hanno colpito la nostra chiesa negli ultimi mesi sono stati il motivo principale che ci ha spinto a scegliere questo tema, e a discutere della nostra presenza e del nostro destino come chiesa sira nel medio oriente.
Come cristiani siri, siamo esposti attualmente a una grandissima sfida. I nostri sacerdoti si sono trovati improvvisamente in una situazione gravemente squilibrata. E abbiamo sentito l’esigenza di radunarci per studiare le modalità efficienti per affrontare l’attuale situazione.
Ad esempio, solo dall’eparchia del Mosul, sono fuggiti un vescovo e 25 sacerdoti. Tanti di loro vivono adesso con i rifugiati. Volevamo prendere in seria considerazione questa situazione difficile.

D- Lei ha paragonato il disastro avvenuto a Mosul alla tragedia che è accaduta un secolo fa a “Sowaiqat”. Ci può spiegare cos’è successo realmente?

R- Fino a giugno scorso, come cristiani del nord dell’Iraq, pativamo una situazione precaria di insicurezza e mancanza di tutela ufficiale dello stato. Le minoranze pagavano il prezzo maggiore di quella situazione.
Nel mese di giugno siamo stati letteralmente sradicati da Mosul. Eravamo più di 15mila famiglie. Ma la tragedia maggiore è avvenuta ad agosto, quando ben 120mila famiglie cristiane dalla Piana di Ninive sono state cacciate, dal giorno alla notte, dalle loro terre d’origine. Lì avevamo ben nove chiese.
Tra le altre minoranze, i cristiani costituivano il gruppo più grande. Eravamo il 40% della popolazione. In poche ore, la piana era svuotata dai cristiani. Un esodo tragico e sofferto.

D- Lei ha definito la chiesa siro-cattolica come una chiesa “testimone e martire dai tempi antichi”. Perché considera i siri come i più danneggiati da questa tragedia?

R- Ciò che è accaduto alla Piana di Ninive ha colpito i siri più di ogni altra minoranza, perché eravamo la maggioranza lì. Il nostro numero era di circa 60 mila persone. Ora che siamo a Kurdistan, non abbiamo eparchie di appoggio. Per cui siamo letteralmente degli sfollati.
A differenza dei fratelli caldei, che sono il maggior numero dei cristiani, i quali hanno il patriarcato di Babele, noi non abbiamo più strutture. Per questo, i nostri fedeli vivono in tende in una situazione di dolorosa precarietà.
Statisticamente, possiamo dire che – purtroppo – più di un terzo dei fedeli della chiesa siro-cattolica è stato sfollato ed è in diaspora. E solo Dio sa, quando tornano e se tornano.

D- Nel documento finale del Sinodo, viene chiesto alla comunità internazionale di “accelerare l’operazione per liberare il Mosul e le città della Piana di Ninive”. Come valuta la politica internazionale attuale in Siria e Iraq?

R- Abbiamo lanciato un appello accorato alla comunità internazionale. Davanti alla tragedia che ci ha colpito, non possiamo che condannare chi ha contribuito alla sua genesi. È senza dubbio che questi criminali non sono nati dal nulla. C’è un progetto politico più grande che segue una politica machiavellica, abusando dei deboli per realizzare meschini fini geopolitici.
Da qui, è dovere delle nazioni che hanno creato questa situazione mostruosa adoperarsi per liberare le terre che ci sono state rubate. È loro obbligo restituirci la nostra dignità e costituire una situazione di vita degna e sostenibile.

D- Come valuta gli attacchi aerei americani contro gli obiettivi dell’Isis? Sono sufficienti ed efficienti?

R- Ogni persona di buona volontà e minimamente oculata sa che questi attacchi aerei da lontano non sono sufficienti. I banditi di Isis non sono un esercito regolare, per questo si mimetizzano tra la popolazione e diventa realmente difficile colpirli. Essi, inoltre, hanno approfittato degli scontri interconfessionali (tra sunniti e sciiti) ed etnici (tra arabi e curdi). Per cui, gli attacchi aerei possono ferirli lievemente ma non possono annientarli e neppure colpirli seriamente.

D- Il Sinodo ha elogiato le dichiarazioni del Convegno di Al-Azhar avvenuto al Cairo il 3 e 4 di dicembre, dove è stato dichiarato, tra l’altro, che “i musulmani e i cristiani in Oriente sono fratelli, fanno parte di un’unica civilizzazione e di un’unica nazione”. Che importanza riveste questa dichiarazione?

R- Come patriarchi e vescovi cristiani, abbiamo lungamente invitato i fratelli musulmani a radunarsi e a denunciare ufficialmente il terrorismo in nome della religione. E non solo, ma anche a combatterlo concretamente e a proteggere le minoranze, come quella cristiana.
L’iniziativa di Al-Azhar è veramente un segnale positivo. È stato affermato che il terrorismo in nome della religione non è parte dell’identità musulmana.
Speriamo che queste dichiarazioni abbiano un seguito pratico sul terreno della realtà, attraverso una richiesta rivolta agli stati per combattere i terroristi, e per lanciare una seria formazione alla tolleranza nei convegni religiosi, nelle moschee e nelle scuole.

D- Ieri è iniziata la vostra vista ad limina apostolorum. Cosa chiederete al Santo Padre durante i vostri colloqui?

Saremo una grande delegazione di circa 320 membri tra patriarca, vescovi, padri sinodali e sacerdoti. La nostra visita dal santo Padre è una visita filiale che vuole ribadire i legami di unità tra la sede d’Antiochia e quella di Roma, la Chiesa che presiede nell’amore, secondo la felice espressione di sant’Ignazio d’Antiochia.
In questa settimana che la nostra chiesa ricorda san Giovanni il Battista, desideriamo che papa Francesco continui ad essere una voce che grida per la verità e per l’affermazione della giustizia. Desideriamo che prosegua la sua difesa per la causa dei cristiani in medio oriente, specie i siro-antiocheni perseguitati nel nord dell’Iraq.
Sono convito che questa visita sarà una fonte di bene e benedizione per noi, e un tocco di consolazione per i sofferenti della nostra chiesa.

E dopo l’incontro col Papa

Siamo davvero commossi per questo incontro. E’ la prima volta che la nostra piccola Chiesa ha potuto radunare circa 400 tra fedeli, suore, religiosi, preti, vescovi e patriarchi. E quindi, per noi è stato un evento storico, nell’ambito della nostra visita “ad Limina apostolorum”. Sono sicuro che sia andata molto bene: il Santo Padre, con la sua spontaneità paterna, ha conquistato i cuori di tutta la comunità.
(Testi tratti da: Radio Vaticana, Zenit e Fides)

E coloro che da Mosul sono invece arrivati in Siria:

GIORDANIA - Più di 7000 i rifugiati cristiani provenienti dall’Iraq; per Caritas Jordan “fra due mesi non avremo più risorse per assisterli”
I cristiani iracheni fuggiti da Mosul e dalla Piana di Ninive che hanno trovato rifugio in Giordania sono ormai più di 7000, e le risorse disponibili per la loro assistenza finiranno entro due mesi. A lanciare l’allarme è Wael Suleiman, direttore di Caritas Jordan. “Il 70 per cento dei profughi cristiani - riferisce Suleiman all’Agenzia Fides - si trova concentrato nell’area di Amman. Mille di loro sono ospitati in 18 parrocchie, gli altri hanno trovato sistemazione nelle case. Vivono sognando di fuggire in America, in Australia e in Europa, in uno stato logorante di attesa che pesa soprattutto sui ragazzi e le ragazze in età scolare: passano giornate senza fare niente, anche perchè, per motivi burocratici, non hanno accesso alle scuole giordane”.
Sui profughi cristiani iracheni ospitati nel Regno Hascemita pesa un futuro incerto. “Come Caritas Jordan” spiega Suleiman “siamo in grande difficoltà. Sosteniamo gli affitti delle famiglie cristiane, distribuiamo cibo e beni di prima necessità, ma entro due mesi i fondi destinati a queste iniziative di assistenza saranno prosciugati. Dovremo dire a questa gente di lasciare le case e andare a vivere per strada. Finora ci hanno aiutato le Caritas di Germania e Usa. Ma nessun aiuto ci è venuto da altri enti. Nessun organismo umanitario internazionale offre aiuto ai cristiani, per non essere accusato di agire in maniera discriminatoria”. (Agenzia Fides 16/12/2014).

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