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2014 11 12 RAPPORTO ACS - In 116 paesi la libertà religiosa non è rispettata: anche in Europa. NIGERIA - Attentato Boko Haram. Il vescovo: vogliono chiudere scuole CINA - Dopo anni di attesa, la piccola comunità di Lai Gang ha la sua cappella

Fonte:
CulturaCattolica.it

La libertà religiosa non è “una libertà come le altre”:
essa è piuttosto “un diritto fondamentale tra i diritti umani,
poiché è dalla libertà di coscienza che derivano quasi tutti gli altri diritti”.

Lo ha dichiarato Johannes Heereman von Zuydtwick, presidente esecutivo internazionale della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), in occasione della presentazione del Rapporto Annuale sulla libertà religiosa, curato da ACS.


In 116 paesi la libertà religiosa non è rispettata
Secondo il rapporto annuale di Aiuto alla Chiesa che Soffre, il quadro generale è in via di peggioramento. Eccezioni in positivo: Cuba, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe

Il rispetto della libertà religiosa nel mondo continua a diminuire. È quanto emerge dalla XII edizione del Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Il rapporto, che viene diffuso annualmente dal 1999, fotografa il grado di rispetto della libertà religiosa in 196 paesi, analizzando le violazioni subite dai fedeli di ogni credo e non solo dai cristiani, i quali si confermano ancora una volta il gruppo religioso maggiormente perseguitato. Minoranza oppressa in numerosi paesi, molte delle terre in cui i cristiani abitano da secoli, se non da millenni, sono oggi sconvolte dal terrorismo.

Redatto da giornalisti, esperti e studiosi, il rapporto prende in esame il periodo compreso tra l’ottobre 2012 e il giugno 2014. Dei 196 paesi analizzati, in ben 116 si registra un preoccupante disprezzo per la libertà religiosa, ovvero quasi il 60%.
Nel periodo in esame sono stati rilevati cambiamenti in 61 paesi, ed è interessante notare come soltanto in sei di questi – Cuba, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe – tali trasformazioni hanno coinciso con un miglioramento della situazione.
Peraltro, ad eccezione di Taiwan e Zimbabwe, anche in queste nazioni si riscontrano limitazioni elevate o medie alla libertà religiosa. Inoltre spesso i miglioramenti sono il frutto di iniziative locali, più che segnali di un progresso nazionale.

In 14 dei 20 paesi dove si registra un elevato grado di violazione della libertà religiosa, la persecuzione dei credenti è legata all’estremismo islamico: Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq, Libia, Maldive, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.
Negli altri sei paesi, l’elevato grado di violazione della libertà religiosa è legato all’azione di regimi autoritari quali quelli di Azerbaigian, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea e Uzbekistan.

Il volume rileva inoltre altre tendenze preoccupanti, quali l’aumento dell’intolleranza religiosa e dell’ ”ateismo aggressivo” in Europa Occidentale; il crescente analfabetismo religioso delle classi politiche occidentali; il numero allarmante di episodi anti-semiti nel Vecchio Continente.

L’Asia si conferma il continente dove la libertà religiosa è maggiormente violata. Nei paesi in cui vi è una religione di maggioranza si riscontra un incremento del fondamentalismo non soltanto islamico, ma anche indù e buddista. Analizzando la situazione del Medio Oriente si nota come i paesi in cui la libertà religiosa è negata offrono un terreno fertile all’estremismo e al terrorismo.
In Africa, la tendenza più preoccupante degli ultimi due anni è senza dubbio la crescita del fondamentalismo islamico – sotto l’impulso di gruppi come Al Qaeda nel Maghreb islamico, Boko Haram e al Shabaab – e si riscontra un aumento di casi di intolleranza religiosa in Egitto, Libia e Sudan.
In Europa Occidentale si registrano minacce sia alla libertà religiosa che alla libertà di coscienza.
In numerosi paesi vi è inoltre una tendenza laicizzante che cerca di escludere la religione dalla vita pubblica. Anche in America del Nord si riscontrano casi relativi all’obiezione di coscienza.
In America Latina gli ostacoli alla libertà religiosa sono quasi sempre causati dalle politiche di regimi apertamente laicisti o atei, come quelli di Venezuela ed Ecuador, che limitano la libertà di tutti i gruppi religiosi, senza alcuna distinzione di credo.

ANCHE IN EUROPA

Cristiani in Europa: a rischio libertà di coscienza e di espressione

La libertà dei cristiani è sempre più a rischio anche in Occidente. La denuncia è contenuta nell’ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre. In pericolo sono la libertà di coscienza e di espressione, proprio nei Paesi di tradizione cristiana dove sono nate queste libertà democratiche. E' una minaccia che ancora non è percepita come tale, perché portata avanti in nome di nuovi presunti diritti: che tuttavia ne calpestano altri e finiscono per cadere nell'intolleranza. Sulla situazione nel Vecchio Continente, Giada Aquilino ha intervistato Martin Kugler, membro dell'Osservatorio sull'intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa:

In Europa non parliamo di persecuzione: il problema è completamente diverso. Ma come possiamo sentire dai nostri fratelli e sorelle in Iraq, in Iran e in Siria, c’è un collegamento tra la passività, la mancanza di consapevolezza di quello che significhi “libertà religiosa” in Europa e i problemi che queste persone si trovano ad affrontare nei loro Paesi. Infatti, se i politici europei avessero un po’ più di determinazione e ponessero un po’ più di enfasi sul significato di “libertà religiosa”, potrebbero anche essere più severi nelle loro politiche nei riguardi di altri Paesi. Faccio un esempio. L’Unione Europea ha tenuto un incontro a livello di ministri degli Esteri, due anni fa, per parlare dei crimini perpetrati nei confronti dei cristiani in Egitto, che in quel momento erano veramente drammatici, tragici. In seguito a questo incontro avrebbero dovuto pubblicare una risoluzione per stabilire una sorta di politica estera comune dell’Unione Europea per quanto riguardava l’Egitto. Poi, però, non hanno potuto preparare tale documento, perché è stato rifiutato di menzionare il termine “cristiani”. Per una ragione di “politically correct”, non hanno voluto dire che “sono stati uccisi dei cristiani” oppure “i cristiani stanno perdendo i loro diritti”, perché volevano mantenersi su un piano di eguaglianza tra le religioni. Qualunque persona che leggesse un simile documento, si renderebbe conto che i ministri non si sono trovati uniti nemmeno nell’esprimere la loro preoccupazione.

In Europa infatti si registrano restrizioni alla “libertà di coscienza”, specie in campo medico e farmaceutico a discapito degli operatori sanitari contrario all’aborto o all’eutanasia, in stati membri dell’UE, come Francia, Regno Unito e Svezia.
Inoltre, “nelle norme che regolano le assunzioni, è proibita la discriminazione per motivi religiosi o di orientamento sessuale”: se però tale principio fosse esteso all’intero settore dei beni e servizi, “ciò porterebbe alla violazione dell’autonomia personale, della libertà imprenditoriale, della libertà di coscienza/religione”.

L’imposizione della teoria del gender, del matrimonio omosessuale e delle adozioni da parte di coppie omosessuali, poi, richiede che “i cristiani o i musulmani rimangano completamente silenziosi rispetto alla loro visione morale sull’omosessualità”.

Per non parlare dell’annosa questione dell’esposizione del crocefisso in pubblico, uno dei modi con cui i “secolaristi radicali” cercano di “escludere il punto di vista religioso dalla vita pubblica”, assieme all’eliminazione di “qualsiasi finanziamento pubblico della religione” e all’impedimento “a chi si dichiara apertamente cristiano di ricoprire incarichi pubblici”.

C’è infine l’odioso fenomeno dei “crimini per odio” e un “crescente vandalismo” a sfondo religioso. Ciò è maggiormente visibile nel sempre più ridotto consenso sui diritti di coscienza dei credenti. Mentre l’opinione pubblica concede che i credenti debbano, come minimo, essere liberi di praticare la loro fede in privato, vi è sempre meno accordo sul grado di visibilità sociale accordato a questa stessa fede.

C’è quindi una tendenza delle élite europee a trattare la fede come un “problema da gestire piuttosto che qualcosa da celebrare”: questa tendenza a “gestire e relegare la fede ai margini delle comunità probabilmente aumenterà con l’inasprimento della violenza ispirata alla religione”.

Uscire dal “ghetto” religioso è possibile soltanto se, come afferma il celebre giurista ebreo Joseph Weiler, si riescono a comunicare tre concetti:
“1) comunicare l’idea che la fede non è un fatto solamente privato;
2) educare gli altri all’idea che la fede non è separata o contraria alla ragione;
3) convincere gli altri che il mistero e l’ineffabile hanno davvero un posto nelle nostre vite”,
ha quindi concluso Kugler.
(Brani scelti da Fides, Radio Vaticana e Zenit)

Schede paese e approfondimenti sono disponibili in italiano sul sito www.acs-italia.it oppure scaricando la nuova app ACS per smartphone (disponibile per apple e android), e in varie lingue sul sito religion-freedom-report.org.

Nigeria, attentato Boko Haram. Il vescovo: vogliono chiudere scuole
Si aggrava col passare del tempo il tragico bilancio dell’attentato suicida avvenuto stamani in una scuola nel nord della Nigeria: almeno 48 le vittime, perlopiù studenti, e un’ottantina i feriti.

Ancora non c'è stata alcuna rivendicazione, ma i sospetti puntano sugli estremisti islamici di Boko Haram. Una scena raccapricciante, raccontata dai sopravvissuti ai soccorritori. Un kamikaze travestito da studente si è fatto saltare in aria, facendo detonare l’esplosivo che portava nella borsa, all’interno di un istituto superiore di Potiskum, capitale economica dello Stato nord-orientale di Yobe. L’attentato è avvenuto pochi minuti prima dell’inizio delle lezioni, quando circa 2 mila ragazzi erano riuniti in attesa del saluto quotidiano della preside. L’esplosione, le grida, il sangue, il panico, la disperazione: ai militari accorsi sul posto, i genitori degli studenti hanno tirato sassi e sono iniziate le contestazioni. Nella stessa città la settimana scorsa un altro attentatore suicida si era lanciato contro un corteo sciita, provocando 30 morti. A Yobe, più volte teatro di violenze, è in vigore lo stato d'emergenza deciso dal governo di Abuja per far fronte alle violenze di Boko Haram. Ma perché gli estremisti hanno voluto colpire ancora una volta una scuola, come successo già in passato? Risponde mons. Oliver Dashe Doeme, vescovo della diocesi di Maiduguri, la più estesa del Paese, che comprende anche Potiskum:

R. - Boko Haram is against Western education…
Boko Haram è contrario all’educazione di stampo occidentale. Quindi vanno in giro, attaccando le scuole in modo che queste chiudano e i ragazzi non possano andare a lezione. Questo è il loro scopo. Vogliono l’applicazione della sharia, la stretta applicazione della sharia.

Boko Haram dal 2009 vuole creare un 'califfato' islamico in tutto il nord della Nigeria, attraverso attacchi che hanno provocato almeno 10 mila morti in 5 anni. Soltanto ieri, i fondamentalisti avevano diffuso un video in cui il capo di Boko Haram, Abubakar Shekau, inneggia a un ‘califfato’ mondiale, chiamando alla mobilitazione i “fratelli” di Afghanistan, Pakistan, Azerbaigian, Cecenia, Yemen, Somalia, Iraq e Siria. Ad aprile il gruppo aveva sequestrato circa 200 ragazze in una scuola di Chibok, nello Stato di Borno. Alcune sono state liberate, altre - secondo il leader ribelle Shekau - sarebbero state date in moglie ai sequestratori, convertendosi all'Islam. Ma come si vive nel nord est della Nigeria? Ancora mons. Oliver Dashe Doeme:

R. – Many people are rolling from one place to another...
La gente si sposta da un posto all’altro, perché Boko Haram costringe alla conversione all’Islam: in caso contrario, uccidono. Per questo le persone lasciano le loro case e i luoghi nei quali si sono insediati i Boko Haram e si spostano. La Chiesa nigeriana porta generi di prima necessità ai rifugiati a Yola, Maiduguri, Mubi. E non aiuta soltanto i cristiani, ma anche i musulmani.
(RadioVaticana 10 novembre 2014)

TESTIMONIANZA

CINA - Dopo anni di attesa, la piccola comunità di Lai Gang ha la sua cappella
Un grande entusiasmo ha caratterizzato la celebrazione della Messa nel giorno di Tutti i Santi, 1 novembre, e nella Commemorazione dei defunti, nella piccola comunità di Lai Gang. Infatti dopo anni di assenza di sacerdoti e di mancanza di un luogo dove riunirsi per la preghiera e l’amministrazione dei sacramenti, la piccola comunità cattolica, che appartiene alla parrocchia di Xin Tai, nella diocesi di Ji Nan della provincia di Shan Dong, in Cina continentale, ha potuto finalmente celebrare la Messa in una cappella.
Secondo quanto riferito all’Agenzia Fides da fonti locali, la comunità si trova a 100 chilometri dal capoluogo dello Shan Dong, ed è composta da meno di un centinaio di cattolici. Negli anni precedenti questi dovevano affrontare lunghi viaggi per partecipare alla Messa almeno nelle solennità liturgiche. Da quando don Ding Shi Jun è diventato parroco di questo territorio, ha potuto celebrare qui la Messa ogni due settimane e, da poco tempo, una volta alla settimana, sia pure con grande sacrificio. Ogni domenica infatti, dopo la messa celebrata nella sua parrocchia e in altre due comunità, don Ding Shi Jun percorre cento chilometri, arrivando nelle prime ore del pomeriggio, per celebrare la messa per la comunità di Lai Gang, composta soprattutto da anziani.
Grazie all’impegno e alla testimonianza dei fedeli locali, nella comunità ci sono stati battesimi e catecumeni, così don Ding ha avvertito fortemente la necessità di un luogo dedicato esclusivamente al culto. Finalmente è stato trovato questo locale da adibire a cappella, che sarà consacrato ufficialmente il 22 novembre, alla vigilia della festa di Cristo Re. Don Ding ha diversi progetti: “nella nuova cappella stiamo preparando una mostra per presentare il cattolicesimo, a scopo di evangelizzazione. Vogliamo invitare qui dei bravi catechisti, per scambiare con noi la loro esperienza di fede e di evangelizzazione. Stiamo anche contattando le autorità locali per avviare il progetto per la costruzione di una chiesa vera e propria”. (Agenzia Fides 2014/11/05)

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