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2014 11 05 PAKISTAN - Due cristiani bruciati vivi in una fornace per accuse di blasfemia SIRIA - I Vescovi cattolici siriani: se il mondo vuole aiutarci, la smetta di mandarci armi NIGERIA - Il vescovo della città nigeriana circondata da Boko Haram: «La

Fonte:
CulturaCattolica.it

PAKISTAN - Due cristiani bruciati vivi in una fornace per accuse di blasfemia
Una coppia di cristiani, lui il 26enne Shahzad e lei, la 24enne Shama, sono stati arsi vivi da una folla di musulmani, provenienti da cinque villaggi a Sud di Lahore (provincia del Punjab), che li accusavano di aver commesso blasfemia, per aver bruciato delle pagine del Corano. Lo comunica all’Agenzia Fides l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, difensore dei diritti umani, che è stato chiamato da altri cristiani e si è recato sul luogo del tragico avvenimento, il villaggio “Chak 59”, nei pressi della cittadina di Kot Radha Kishan, a sud di Lahore. I due, che lavoravano in una fabbrica di argilla, sono stati sequestrati e tenuti in ostaggio per due giorni, a partire dal 2 novembre, all’interno della fabbrica. Questa mattina alle ore 7.00 sono stati spinti nella fornace dove si cuociono i mattoni.
Come spiegato a Fides dall’avvocato Gill, l’episodio incriminato, cioè la supposta blasfemia, è relativo alla recente morte del padre di Shahzad. Due giorni fa Shama, ripulendo l’abitazione dell’uomo, aveva preso alcuni oggetti personali, carte e fogli dell’uomo, ritenuti inservibili, facendone un piccolo rogo. Secondo un uomo musulmano che ha assistito alla scena, in quel rogo vi sarebbero state delle pagine del Corano. L’uomo ha quindi sparso la voce nei villaggi circostanti e una folla di oltre 100 persone ha preso in ostaggio i due giovani. Stamane il tragico epilogo. La polizia, avvisata da altri cristiani, è intervenuta constatando il decesso e arrestando, per un primo interrogatorio, 35 persone.
L’avvocato Gill dice a Fides: “E’ una vera tragedia, è un atto barbarico e disumano. Il mondo intero deve condannare fermamente questo episodio che dimostra come sia aumentata in Pakistan l'insicurezza tra i cristiani. Basta un’accusa per essere vittime di esecuzioni extragiudiziali. Vedremo se qualcuno sarà punito per questo omicidio”. (Agenzia Fides 4/11/2014)

SIRIA - I Vescovi cattolici siriani: se il mondo vuole aiutarci, la smetta di mandarci armi!
Un severo richiamo alla comunità internazionale perché metta fine al traffico di armi che alimenta la guerra e un appello alle coscienze dei cristiani, affinché cerchino di resistere alla pur comprensibile idea di fuggire dalla propria terra. Sono questi i messaggi forti che i Vescovi cattolici della Siria hanno voluto indirizzare al mondo e ai propri fedeli, nel comunicato pubblicato alla fine della loro Assemblea d'autunno. All'incontro, svoltosi a Damasco martedì 28 e mercoledì 29 ottobre, ha preso parte il Patriarca di Antiochia dei greco-melchiti, Grégoire III, e 11 Vescovi cattolici di 6 riti diversi, insieme al Nunzio apostolico Mario Zenari e a mons. Giovanni Pietro Dal Toso, Segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum.
“La presenza di mons. Dal Toso, venuto da Roma per incoraggiarci, ci ha fatto molto bene” riferisce all'Agenzia Fides il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. “Nell'incontro - aggiunge il Vescovo Abou Khazen - ognuno dei partecipanti ha fatto il quadro della situazione e dei problemi della propria diocesi. Per tutti la cosa più importante da fare è stare vicino ai nostri fedeli, incoraggiarli, consolarli. Camminiamo in un buio di cui non vediamo la via d'uscita, e solo Cristo può alimentare la speranza nei cuori. I poteri del mondo devono sapere che certo non aiutano la pace se continuano a mandare qui armamenti. Poi noi invitiamo tutti a non fuggire, a non lasciare la propria terra. Ma questo rimane un appello alle coscienze. Come Pastori vediamo bene cosa sta soffrendo la nostra povera gente. E non si può costringere nessuno a rimanere in questa situazione dove non c'è lavoro, aumenta ogni giorno la miseria e anche la vita propria e quella dei propri cari è sempre in pericolo”. (Agenzia Fides 30/10/2014).

NIGERIA - Il vescovo della città nigeriana circondata da Boko Haram: «La nostra vita vale meno del sale»
«Di solito si pensa che il sale sia la merce più economica sul mercato. Bene, oggi la vita vale meno del sale nel nord-est della Nigeria». Scrive così in un documento Oliver Doeme, vescovo di Maiduguri, la capitale dello Stato di Borno quasi accerchiata da Boko Haram.
«Nell’ultimo mese si sono intensificate le aggressive devastazioni di Boko Haram nella parte settentrionale, centrale e meridionale della mia diocesi», continua il vescovo, come riferito da Acn.
«Tanti tra noi sono stati cacciati dalle loro case e dai loro villaggi. Anche ora migliaia stanno vivendo all’interno di cave sulle montagne, alcuni nelle foreste. Chi è riuscito a scappare vengono accolti da amici e parenti a Maiduguri, Mubi e Yola. In migliaia sono fuggiti in Camerun e vivono in condizioni davvero difficili per la mancanza di cibo, riparo e cure mediche».
Nell’ultimo mese i terroristi hanno bruciato decine di chiese e «convertito a forza all’islam le donne che non sono riuscite a scappare» dalle «25 città che hanno conquistato negli Stati di Borno, Yobe e Adamawa».
Infine, lancia l’allarme per la situazione di Maiduguri: «Anche qui siamo minacciati, siamo seduti su un barilotto di polvere da sparo. Ci sono più di sette campi per gli sfollati ma la gente dorme per le strade. Stiamo sprofondando velocemente nella sabbia, dobbiamo inghiottire il nostro vuoto orgoglio di nigeriani e chiede l’assistenza internazionale per affrontare questo problema».
(Acn – e Tempi ottobre 30, 2014)

NIGERIA - studentesse rapite da Boko Haram costrette a sposarsi
Uno dei leader del movimento islamista Boko Haram, Abubakar Shekau, ha negato l'esistenza di un accordo con il governo nigeriano e ha riferito che le oltre 200 studentesse rapite in Nigeria dal gruppo sei mesi fa sono state date in moglie ai loro sequestratori. L’esponente di Boko Haram ha poi aggiunto che le studentesse, per la stragrande maggioranza di fede cristiana, sono state convertite all'Islam e “hanno già imparato due capitoli” del Corano. Il video contenente queste affermazioni smentisce il governo nigeriano che, due settimane fa, aveva sostenuto di aver siglato con il gruppo integralista un accordo per il cessate il fuoco e che gli islamisti erano pronti a rilasciare la ragazze, per la cui liberazione si è mobilitato il mondo intero. Nel filmato viene inoltre annunciato che il gruppo tiene in ostaggio anche un cittadino tedesco, rapito a luglio nello Stato di Adamawa, nel nord-est della Nigeria.

REPUBBLICA CENTRAFRICANA - Il gruppo “Antibalaka” costringe i Salesiani a chiudere le scuole
Il gruppo “Antibalaka” era sorto a Bangui per proteggere la popolazione dalla guerra in corso nel Paese da oltre un anno e mezzo. Ora si è rivolto contro la stessa popolazione: “stanno commettendo saccheggi e stupri, inoltre ci hanno costretti a chiudere le scuole a Galabadja e Damala” avvertono i salesiani impegnati nella zona. Entrambe le opere avevano deciso di aprire le porte della scuola ai bambini e ai giovani, affinché non perdessero altre ore di formazione. “Andare a scuola, poi, li aiutava ad avere una routine, delle abitudini, e dimenticare la violenza in cui vivono” spiegano in una nota dell’Ans inviata a Fides. “Ci sono barricate nelle strade oltre a molte armi in circolazione e la gente non lascia le proprie case per paura.” Attualmente le missioni salesiane a Bangui accolgono oltre 1.400 persone sfollate a causa del conflitto. La violenza scatenata nei giorni scorsi impedisce ai religiosi di uscire dalla missione e non possono arrivare nemmeno gli aiuti umanitari. Dall’inizio della crisi sono fuggite dalle loro case oltre un milione di persone; più di 3.500 bambini sono stati costretti ad unirsi a gruppi armati e più di 2,6 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria urgente. (22/10/2014 Agenzia Fides)

TESTIMONIANZA

Violenze Boko Haram in Camerun: il Pime assiste i profughi

I miliziani islamici nigeriani di Boko Haram hanno liberato nelle ultime ore 27 ostaggi, tra cui 10 operai cinesi e la moglie del vicepremier camerunense, sequestrati nei mesi scorsi in un’azione che dalla Nigeria aveva visto gli estremisti sconfinare nel nord del Camerun. In quella zona ad aprile erano stati rapiti anche due missionari di Vicenza, poi liberati. Non distante si trova pure Chibok, località nigeriana dove in primavera i jihadisti avevano catturato oltre duecento studentesse, la maggior parte delle quali ancora nelle mani dei combattenti. Proprio nel nord del Camerun, la Fondazione Pime Onlus ha avviato un progetto di assistenza per 12 mila rifugiati e sfollati, che cercano di sfuggire alle violenze. Il responsabile è fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime, coordinatore della Caritas della diocesi di Yagoua. Giada Aquilino lo ha intervistato:

R. – Da circa un anno e mezzo i Boko Haram hanno cominciato ad uscire dai confini della Nigeria, per inserirsi anche in Camerun, con l’idea di costruire a tutti i costi un califfato islamico, fino all’Etiopia e alla Somalia con gli Shabaab. Questo progetto, quindi, ha portato all’invasione di alcune regioni, soprattutto dell’estremo nord del Camerun, vicino al lago Ciad, dove noi lavoriamo come diocesi, al confine con la Nigeria.

D. – Quali azioni compiono i miliziani islamici in queste zone?

R. – E’ proprio un’azione di occupazione e razzia. Solo le persone che si adeguano alle loro ideologie vengono rispettate, le altre vengono cacciate. Inoltre da una parte c’è l’esercito nigeriano che bombarda, per cercare di arrestare questa avanzata, e dall’altra, in Camerun, c’è l’esercito camerunense che cerca di contrastare l’invasione.

D. – C’è, quindi, un continuo flusso di profughi dalla Nigeria, ma anche di sfollati interni al Camerun?

R. – Esatto. Attualmente il punto più caldo è nella zona di Fotocol, proprio al confine tra la Nigeria e il Camerun.

D. – In che condizioni vivono queste persone, che sono costrette a lasciare tutto e a fuggire?

R. – Sono arrivate in Camerun e, nelle scorse settimane, hanno occupato tutte le scuole che, in quel momento, erano ancora libere, perché non era cominciato l’anno scolastico. Si sono quindi accampate in parte in questi edifici pubblici, in parte presso famiglie locali o parenti.

D. – La Fondazione Pime Onlus ha lanciato un progetto di assistenza per 12 mila persone, che si trovano nel nord del Camerun, tentando di sfuggire alle violenze e alla crisi. Di cosa si tratta?

R. – Si tratta di un intervento di emergenza a vari livelli. Innanzitutto, a livello alimentare, per dare almeno una razione alimentare settimanale a queste 12 mila persone, che sono poi state scelte tra 40 mila profughi, secondo un criterio di vulnerabilità: in pratica abbiamo scelto di occuparci di seimila bambini, tremila donne e altri tremila tra anziani e ammalati; tenendo conto che i numeri sono alti, dobbiamo cercare di fare in modo che quelle risorse che possiamo trovare siano utilizzate al meglio. Abbiamo poi scelto di occuparci dei settori sanitari e quindi assicurarci che ci sia una visita o qualche intervento a livello curativo. L’altro campo d’intervento è quello idrico, per avere acqua pulita, perché altrimenti saremmo invasi sicuramente dal colera, se non da altre malattie simili. Infine, vorremmo intervenire anche nei servizi igienici.

D. – Cosa raccontano queste persone della loro realtà?

R. – Quello che mi hanno raccontato alcuni testimoni è che, quando sono arrivati nel villaggio di Bargaram, in Camerun, per trovare i viveri, visto che dall’altra parte ne trovano pochi per il momento, questi miliziani di Boko Haram hanno radunato le persone, soprattutto quelle cristiane, hanno scelto coloro che non ritenevano collaborativi e li hanno sgozzati davanti a tutti: davanti alle mogli e ai figli. Sono rimasti, dunque, traumatizzati e abbiamo cercato di capire come aiutarli, per farli tornare ai villaggi d’origine. Ma oltre agli aspetti fisici, bisognerebbe pensare anche all’aspetto psicologico di questa gente.

D. – E allora voi come missionari, insieme alla Chiesa locale, come infondete speranza a queste persone?

R. – Nel concreto, cioè cercando di aiutarle in questa situazione: riaprendo le scuole, dando ai bambini una possibilità di andare a frequentare regolarmente, cercando in questo modo di pensare al futuro e a dove poter ricollocare questa gente.
Radio Vaticana 11 10 2014

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