2014 09 17 BURUNDI e NIGERIA: per non dimenticare. FRANCIA: libera cristianofobia. ALBANIA: la nazione che ha voluto “uccidere” Dio
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L’amore vince tutto: la testimonianza dei cristiani in Burundi
Dopo l’arresto di un uomo di 33 anni che ha confessato di aver ucciso le tre suore italiane in missione a Kamenge, alla periferia della capitale burundese Bujumbura, ci si continua ad interrogare sulle reali motivazioni di tanta violenza. Non regge infatti la sua tesi e cioè che il convento si trovasse su un terreno di sua proprietà. Dubbi permangono anche sul fatto che l’uomo abbia agito da solo.
TESTIMONIANZA: padre saveriano Rubén Macìas, raggiunto telefonicamente a Kamenge:
R. - In questo momento stiamo uscendo dalla Messa. Quasi tutti i vescovi del Burundi erano presenti. C’erano tante autorità e, soprattutto, c’era un popolo di Dio che soffre di questa violenza, che vuole proclamare che l’amore deve vincere tutto. Abbiamo celebrato la Messa alla presenza di una moltitudine di gente…
D. - Qual è il clima, il sentimento più diffuso tra le persone lì presenti?
R. - Ci sono sentimenti contrastanti, perché sono state assassinate con una violenza, con una crudeltà inimmaginabili... Erano delle sorelle piene d’amore! In questa cerimonia abbiamo voluto proclamare proprio questo: l’amore che vince malgrado tutto. L’arresto di quell’uomo che è stato arrestato ha dato un po’ di sollievo ai nostri cuori, ma quella violenza non può vincere l’amore di queste sorelle che hanno dato la loro vita - più di 40 anni - per l’Africa.
D. - Appunto l’arresto e la confessione di questo giovane. La polizia di Bujumbura non ha dubbi sulla sua colpevolezza: lui stesso ha confessato. Ci sono però perplessità, dubbi in voi che rimangono?
R. – Sì. sapere se ha operato da solo. Lui ha confessato. La polizia è sicura che aveva il numero di telefono della sorella Lucia e anche la chiave della casa. Allora sono tanti, tanti, gli elementi per dire che sia lui l’assassino. Io l’ho visto, sono stato di fronte a lui, occhi negli occhi … Non è un matto: è un uomo che sapeva quello che faceva. Allora lo ha fatto da solo? È questo il nostro interrogativo. La polizia sta svolgendo le indagini, abbiamo fiducia nel loro lavoro e aspettiamo il risultato dell’inchiesta.
D. - È credibile la motivazione che quell’uomo ha indicato, cioè che le suore stessero in un edificio costruito sopra un terreno appartenente alla sua famiglia?
R. - Quella è una bugia! Le sorelle non hanno proprietà. Vivevano nella proprietà della parrocchia che appartiene alla diocesi. È una bugia grande come il pianeta Terra!
D. - E allora quali potrebbero essere le motivazioni reali del suo gesto?
R. - È quello che ci chiediamo anche noi. Aspettiamo che l’indagine possa dirci qualcosa di più, perché è incomprensibile un fatto del genere; conosceva i movimenti delle suore, sicuramente conosceva la casa … Nulla può spiegare una violenza del genere. Non è umano! Non è umano!
D. - Era una cosa che in qualche modo si poteva prevedere? I missionari sono protetti o comunque indifesi dove si trovano?
R. - È troppo dire “indifesi”. Ogni missionario che viene in terra di missione sa che può trovare questo rischio. Non possiamo avere la sicurezza. Noi siamo missionari, non siamo politici o altre persone che hanno bisogno di una sicurezza totale. La nostra sicurezza è Cristo e il Vangelo che proclamiamo: il resto è nulla. La notte, quando suor Bernardetta è stata uccisa, la parrocchia era circondata da un centinaio di poliziotti e nonostante questo sappiamo cosa è accaduto. Questo solo per dire che non è una questione di sicurezza; purtroppo questo cose accadono quando il Vangelo dell’amore si predica in mondo violento come questo.
D. - Quindi prevale la voglia di continuare questo vostro impegno e non quello di cedere ai timori e alla paura …
R. - Certo, la croce di Cristo non è una croce che dobbiamo temere. Dobbiamo portarla perché sappiamo che c’è la risurrezione. Noi saveriani rimaniamo qui. Queste tre martiri si aggiungono agli altri tre martiri precedenti: sono sei i martiri saveriani in questa terra. Questo non ci spinge a partire, ma piuttosto ci incoraggia a rimanere; significa che abbiamo ancora bisogno di proclamare il Vangelo in questa terra, perché il Vangelo non è ancora arrivato nel cuore di tanti burundesi.
(Radio Vaticana 10 09 2014)
Nigeria. Vescovo di Maiduguri: Boko Haram ha ucciso 2.500 fedeli
Sono 2.500 i fedeli della diocesi nigeriana di Maiduguri uccisi dalle violenze di Boko Haram. Lo denuncia in un’intervista al quotidiano Thisday, il vescovo del luogo, mons. Oliver Dashe Doeme, che è rifugiato nella parrocchia Santa Teresa di Yola nello Stato di Adamawa, insieme a migliaia di fedeli.
La diocesi di Maiduguri (capitale dello Stato di Borno nel nord-est della Nigeria) comprende gli Stati di Borno, Yobe e alcune aree di quello di Adamawa. In questi tre Stati, dove si concentrano le azioni di Boko Haram, nel 2013 il Presidente Goodluck Jonathan ha decretato lo stato d’emergenza, che non ha impedito però alla guerriglia islamista di continuare le proprie azioni, passando di recente alla conquista di alcune località dove è stato proclamato il “califfato”.
Mons. Doeme afferma che la maggior parte degli sfollati accolti nella parrocchia di Yola sono scampati per poco dall’essere uccisi dai membri di Boko Haram. Nella fuga precipitosa molte famiglie sono rimaste divise e diversi genitori sono ancora alla ricerca dei figli dispersi. Il vescovo ha inoltre denunciato che in diverse occasioni i militari nigeriani fuggono senza combattere e questo, secondo mons. Doeme, è dovuto in primo luogo alla corruzione.
La drammatica situazione degli sfollati è al centro del documento di Caritas Nigeria e della Commissione episcopale “Giustizia e Pace” dal titolo “Adattare le nostre vita alla guerra in corso” nel quale si afferma testualmente: “la semplice verità è che la Nigeria è in guerra”.
RV 15.09
NIGERIA - Neanche i suoi sponsor nigeriani controllano più Boko Haram, diventato un movimento internazionale
“Boko Haram è ormai sfuggito al controllo dei suoi sponsor nigeriani e rischia di diventare un problema per l’intera regione dell’Africa occidentale” dice all’Agenzia Fides p. Patrick Tor Alumuku, Direttore delle Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Abuja, commentando le rivelazioni fatte da Stephen Davis, il negoziatore australiano che per alcuni mesi ha cercato di liberare attraverso la trattativa le circa 200 ragazze rapite dalla setta islamista ad aprile in una scuola di Chibok (nel nord-est della Nigeria).
“In linea generale, le rivelazioni del negoziatore australiano sono attendibili - afferma p. Patrick -. Lo stesso Presidente Goodluck Jonathan aveva detto che il suo governo era infiltrato da Boko Haram e tre anni fa era emerso il nome di un senatore come possibile sponsor di Boko Haram. Non sono però state effettuate indagini serie per verificare se le accuse contro questo senatore fossero autentiche o meno”.
“Da quello che è finora emerso sulla stampa – prosegue il sacerdote - non è tanto l’opposizione ma alcuni politici dello stesso partito del Presidente a finanziare Boko Haram, per dare l’impressione che il Capo dello Stato non sia in grado di garantire la sicurezza della popolazione. Questo perché Jonathan è cristiano del sud e i suoi oppositori interni sono musulmani del nord, e non vogliono che si ripresenti per le elezioni presidenziali del 2015”.
In Nigeria infatti esiste una sorte di alternanza informale tra cristiani e musulmani nella più alta carica dello Stato. Secondo i suoi oppositori all’interno del suo stesso partito, Jonathan, essendo subentrato al Presidente Umaru Yar’Adua (del quale era Vice Presidente) alla sua morte nel 2009 per poi vincere le elezioni nel 2011, non avrebbe diritto a ricoprire di nuovo la carica nel 2015, perché spetterebbe ora ad un musulmano.
“La preoccupazione più grande ora è che, anche se i musulmani dovessero vincere le elezioni, neanche loro potrebbero controllare Boko Haram, perché questa è diventata un’organizzazione internazionale legata ad altri movimenti jihadisti, compresi gli Al Shabaab somali e lo Stato Islamico di Iraq e Siria” sottolinea p. Patrick. “Boko Haram ha proclamato il califfato nelle aree sotto il suo controllo nel nord della Nigeria e non penso che lo lasceranno perché un musulmano è diventato Presidente della Nigeria. Quello che era un piccolo incendio nel nord della Nigeria rischia quindi di diventare un incendio enorme nel cuore dell’Africa” conclude il sacerdote.
(Agenzia Fides 10/9/2014)
Francia: il governo si impegna contro gli atti di omofobia. Ma...
L’11 settembre, a Parigi, il tradizionale incontro vescovi-governo: evocati “gli atti di degradazione nelle chiese”. Intanto un tribunale assolve le Femen e condanna i sorveglianti che le avevano trascinate fuori da Notre Dame
…In Francia la cristianofobia è in netto aumento, come del resto anche l’antisemitismo (nei primi sei mesi di quest’anno gli atti di carattere antisemita hanno oltrepassato quota 500, raddoppiando rispetto al 2013).
Non a caso il card. Ving-Trois ha twittato il 12 settembre alle 16.20: “Il ministero dell’Interno è attento alle degradazioni nelle chiese e ci ha domandato che esse siano tutte segnalate ai prefetti”. Proprio nella sua diocesi il porporato ha avuto anche di recente esperienze penose in questo senso.
Ad esempio il 12 febbraio 2013 nove attiviste del gruppo “Femen”, accompagnate come di consueto dalle truppe mediatiche di complemento, entrate coperte di mantelli in Notre Dame, se li erano tolti e, a seno nudo e con scritte offensive sul torace, avevano voluto ‘festeggiare’ la rinuncia di Benedetto XVI e protestare contro l’opposizione cattolica al ‘mariage pour tous’ interrompendo le funzioni, strepitando e colpendo con bastoni foderati di feltro le tre campane esposte nella navata per l’850° della cattedrale.
Alcuni sorveglianti avevano cercato di coprirle e trascinarle fuori, obiettivo raggiunto a prezzo di grandi sforzi dato che le ‘erinni’ erano scatenate. Giudicate dal tribunale correzionale di Parigi con l’accusa di aver danneggiato lievemente una campana, il 10 settembre, le “Femen” sono state assolte, “dato che non sussistevano prove sufficienti per imputare loro il danno”. Sono stati nel contempo condannati a multe di 1000, 500 e 300 euro tre sorveglianti per una pressione fisica “eccessiva” su tre militanti al momento dell’espulsione dalla cattedrale.
Si può subito notare che, invece di imputare alle “Femen” una provocazione all’odio religioso (vedi legge francese del 1° luglio 1972 che punisce “la provocazione alla discriminazione, all’odio o alla violenza nei confronti di una persona o di un gruppo di persone in ragione della loro origine o della loro appartenenza a una etnia, una nazione, una razza o una religione determinata”), chi avrebbe dovuto agire per via giudiziaria ha pensato bene di non suscitare altri polveroni mediatici e di aggrapparsi perciò a un capo d’accusa ridicolo in confronto alla gravità dell’offesa perpetrata.
Su questo aggiunge Massimo Introvigne in un articolo su La Nuova Bussola Quotidiana:
La motivazione giuridica dell’assoluzione è che non si può sapere quali fra le imputate hanno partecipato al danneggiamento delle campane, e le testimonianze relative al concitato episodio sono contraddittorie. Qualche giurista ha paragonato la sentenza di Parigi a una emessa di recente dal Tribunale di Angoulême, il quale ha assolto un branco di giovinastri che ha violentato una disabile dichiarando che non era possibile accertare chi fra i teppisti avesse effettivamente partecipato alla violenza. Un giurista ha commentato che ormai in Francia per essere assolti è sufficiente mettersi in venti per aggredire due persone. Sarà difficile accertare chi tra i venti ha davvero colpito i due malcapitati, mentre se questi ultimi reagiscono sarà invece facile identificarli e condannarli a loro volta per la partecipazione alla rissa.
Al di là delle bizzarrie giudiziarie - di un genere che conosciamo bene anche in Italia - si deve rilevare che con la sentenza di Parigi è stata assolta, insieme alle Femen, la cristianofobia. Anche una piccola ammenda relativa al solo danneggiamento delle campane non sarebbe stata sufficiente. Quelli delle Femen si chiamano infatti tecnicamente «crimini di odio», provocazioni e offese contro un’intera categoria, quella dei cattolici. È vero, la laicissima Francia non ha una legge contro le offese alla religione. Ma le Femen avrebbero potuto essere perseguite comunque - molti commenti lo hanno notato - perché la Francia ha sottoscritto le convenzioni internazionali e ha leggi che puniscono i «crimini di odio» e le aggressioni rivolte contro una specifica minoranza etnica o religiosa (certamente i cattolici sono ormai una minoranza in Francia). Le leggi speciali non sono necessarie, anzi spesso complicano le cose. Ma le leggi generali vanno sempre applicate.
Riprendiamo il racconto:
Il risultato è stato che le “Femen” esultano, tanto che la loro fondatrice Inna Shevchenko ha reagito così: “Siamo contente che la nostra critica delle istituzioni religiose non sia stata condannata. E’ un gran bell’esempio per tutti gli altri Paesi”. La sentenza del 10 settembre può costituire un incitamento a compiere altri atti del genere: in ogni caso sarebbe un precedente incoraggiante per ogni sorta di fanatici, uno stimolo potente per la nota lobby a moltiplicare gli atti di irrisione del cattolicesimo.
Tra le reazioni citiamo quella del sindacato francese dei lavoratori cristiani, che giudica “incomprensibile la condanna di tre sorveglianti della Cattedrale di Parigi da parte del tribunale correzionale”, poiché “tali salariati, nell’esercizio delle loro funzioni e conformemente al loro contratto di lavoro, sono stati costretti ad intervenire dentro un edificio religioso per porre termine a unhappening selvaggio, violento, grossolano e insultante per i credenti”.
Non può non far pensare il fatto che ben diverso è stato il trattamento riservato dalla giustizia transalpina e dalla maggioranza parlamentare agli oppositori della legge del mariage pour tous, imposta al popolo francese ignorandone il parere contrario e le continue manifestazioni imponenti di piazza. Un breve elenco.
Primo:alcuni studenti universitari (membri del gruppo “Hommen”, creato come parodia delle “Femen”) perturbano brevemente nel giugno 2013 la finale di tennis del Roland Garros (due fumogeni tenuti in mano e subito spenti, alcuni cartelli che chiedevano le dimissioni di Hollande e rivendicavano il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre): annullato per vizi giuridici il processo del luglio seguente, il 24 giugno di quest’anno il pubblico ministero ha chiesto per quattro di loro pene di 12 mesi con la condizionale e, per uno, anche sei mesi di reclusione, fondandosi soprattutto sulla considerazione che il fumogeno è un’arma (ma allora i bastoni delle “Femen”?). Sentenza il prossimo 23 settembre.
Secondo:il 23 aprile 2013, durante la discussione finale della legge sul ‘mariage pour tous’, il presidente dell’Assemblea nazionale Claude Bartolone, individuato tra il pubblico delle tribune di Palazzo Borbone un piccolo cartello con la scritta “Referendum”, colto da un accesso d’ira ordina: “Cacciate i nemici della democrazia! Fuori i nemici della Repubblica! Non c’è posto per i nemici della democrazia!”.
Terzo: all’inizio di aprile del 2013 Franck Talleu, direttore di scuola cattolica parigina, si incontra con la famiglia ed alcuni amici nei giardini del Lussemburgo. Indossa la maglietta con il logo della Manif pour tous, papà, mamma, figlio, figlia. Un solerte gendarme gli ordina di toglierla. Al suo rifiuto Talleu viene portato in commissariato, interrogato per un’ora e accusato… di quale atto nefando? Dapprima lo si imputa di “porto di una tenuta contraria ai buoni costumi”, poi – accorgendosi che tale motivazione avrebbe potuto suonare troppo grottesca anche per i più fanatici fautori del ‘mariage pour tous’ – il capoposto l’ha corretta in “organizzazione di una manifestazione ludica senza autorizzazione”. E’ seguita un’ammenda di alcune centinaia di euro.
Quarto: casi come quelli di Talleu ce ne sono stati altri. nell’aprile 2013 nei giardini del Lussemburgo, non lontani dal Senato. Una studentessa che stava facendo jogging e portava la maglietta con il logo è stata accusata del fatto (secondo gli zelanti ‘tutori’ dell’ordine pubblico) che “disturbava la tranquillità dei passanti portando ostentatamente elementi relativi a una manifestazione vietata”. Interrogatorio, controllo dell’identità e multa anche per un giovane industriale con la stessa maglietta. Pure un controllore di gestione è incappato nella solerzia di un gendarme: essendosi rifiutato di togliersi la maglietta con il logo e avendo gridato “Hollande, non vogliamo la tua legge!” è stato accusato di “disturbo della quiete pubblica con grida e vociferazioni”. E se avessi urlato “Hollande, la tua legge passerà”? ha chiesto il malcapitato al gendarme. La candida risposta: “Non avresti avuto nessun problema!”. Ci fermiamo nell’elenco, poiché la ‘candida risposta’ è tale da far comprendere tutto o quasi anche a un marziano atterrato magari nel mezzo del Jardin du Luxembourg.
15 Settembre 2014 (Collage daZenit, La Nuova Bussola Quotidiana e blog RossoPorpora)
Albania: la nazione che ha voluto “uccidere” Dio
In preparazione alla visita di Papa Francesco del prossimo 21 settembre, una testimone racconta la lunga dittatura ateo-comunista nel paese
TESTIMONIANZA di Suor Mira Koleci
una testimone che ha vissuto personalmente la dittatura ateistica albanese.
Suor Mira Koleci è una cittadina albanese che ha vissuto 17 anni sotto la dittatura. Ora le piace presentarsi come la «prima consacrata albanese delle Suore della Sacra Famiglia». Ha dedicato la sua Dissertatio ad Baccalaureatum alla vita della Chiesa, e in particolare della sua comunità religiosa, nell’Albania post comunista.
D- Lei viene da un paese con una sconosciuta storia di persecuzione e martirio durata ben 40 anni. Ci può descrivere brevemente l’atmosfera in cui è cresciuta?
Sono nata e cresciuta sotto la dittatura comunista. È bene, però, gettare un rapido sguardo alla storia per capire cos’è successo in Albania durante il secolo scorso. L’Albania è sempre stato un paese invaso da varie potenze per la sua importante posizione strategica. Non ultima è stata l’invasione turca che ha costituito il periodo più nero della storia del mio paese. Quella dominazione è stata accompagnata da una massiccia fuga di cervelli e da una grande ondata di islamizzazione forzata. La situazione proseguì fino all’indipendenza nel 1912.
Dopo il protettorato di Mussolini, fu stabilita la dittatura comunista nel 1944. Il comunismo comportò la più forte chiusura ermetica dell’Albania: circa 50 anni di isolamento da tutto il mondo, sotto Enver Hoxha. Nella sua lunga dittatura, la libertà religiosa e la libera attività culturale e politica erano praticamente inesistenti. Sin dall’inizio si impegnò in una persecuzione metodica del clero e degli intellettuali.
Successivamente Hoxha formò un’alleanza con la Cina. Durante il periodo “cinese” (1961-1978) l’Albania si lasciò prendere dall’abilità asiatica nell’affermare una comune ideologia e fraternità marxista-leninista. Il distacco dalla Cina, cominciato già nel 1975, portò l’Albania all’isolamento totale dal mondo. Il dittatore pose il nazionalismo come componente essenziale del regime. Il dio dell’Albania era la nazione. Hoxha ha isolato l’Albania formando l’unico stato totalmente ateo, con l’intento dichiarato di liberare l’uomo dalle catene dell’oppressione e dalla religione che è oppio per il popolo.
D- Perché la Chiesa cattolica costituiva il nemico numero uno?
La Chiesa cattolica fu perseguitata perché si adoperava per il risveglio delle coscienze e per il reinserimento dell’Albania nel più ampio circuito culturale europeo. Colpire la Chiesa cattolica significava anche annullare la tradizione per far posto alla «nuova ideologia». L’Albania comunista divenne per i suoi abitanti un grande campo di concentramento. Ogni sforzo culturale ed intellettuale venne messo a servizio del socialismo e dello Stato. Ogni idea alternativa veniva condannata come nemica del Partito e quindi del popolo. Il prezzo minimo da pagare era la prigione.
D- Ha avuto qualche educazione religiosa “clandestina”?
Nel segreto della vita familiare continuava qualche tradizione religiosa, ma sempre con tanta cautela. Si correvano, infatti, gravi pericoli perché il regime esercitava un forte controllo anche casalingo. I figli, specie nelle scuole, erano invitati a denunciare le attività antisocialiste e religiose dei propri genitori. Non di rado, le spie erano gli stessi parenti perché, chi denunciava, riusciva ad avere privilegi e un pezzo di pane in più per mantenere i prorpi figli. Per questo i genitori non osavano trasmettere la fede alla prole.
D- Il catechismo parla dell’uomo capax Dei, di un desiderio “naturale” nell’uomo che punta verso Dio e lo cerca. C’era il senso (o il senso della mancanza) di Dio in quell’ambiente ateo?
Vivendo per 17 anni in un contesto sociale dove la vita non aveva nessun senso, la vita era semplicemente terribile… e per tutti. Era difficile per i nonni che erano cresciuti con una formazione religiosa. Lo era per i genitori che non potevano parlare neanche ai loro figli che esiste qualcun’Altro al di fuori dal dittatore. Ma era difficile anche per noi adolescenti. Non a caso il tasso del suicidio era altissimo. La tentazione di togliersi la vita era intorno a me, ma anche dentro di me. Balenava spesso nel cuore la domanda: perché vivo? Sono frutto del caso? E quindi è meglio farla finita e non prolungare la storia di sofferenza e soprattutto del non senso?
D- Una sua compaesana madre Teresa era famosa in tutto il mondo, a voi non arrivava nessuna notizie su di lei?
Il dittatore chiamava madre Teresa “la strega dei Balcani”, quindi non era realmente conosciuta durante la dittatura. Può sembrare strano ma i media erano totalmente controllati dal regime ed era impossibile sapere cosa succedeva fuori dell’Albania. Noi sapevamo dai libri di scuola che Dio non esiste, che la Chiesa è una truffa per i poveri. I grandi personaggi non li abbiamo mai conosciuti. L’unico personaggio grande era il dittatore.
D- Com’è stata allora la prima esperienza di iniziazione cristiana dopo la caduta della dittatura?
L’anno 1991 è stato una storia di risurrezione per l’Albania e anche per me. Il Signore Non permise che arrivassi al suicidio, ma è passato in mezzo a noi attraverso tanti missionari/testimoni che con coraggio sono venuti a parlarci di Dio. Mi riferisco soprattutto a quei sacerdoti rimasti vivi nei carceri della dittatura, ma poi anche i missionari venuti da fuori. È stato il momento del risveglio della fede di tanti nonni e adulti che hanno tenuto dentro il senso di Dio, un senso indecifrato per noi adolescenti. Qualche mio amico a scuola faceva il segno di croce per terra come segno magico per chiedere di vincere un gioco o per prendere buoni voti a scuola. Quel segno era rimasto nella mia memoria, ma senza saperne il significato.
D- Perché ha deciso coscientemente di diventare cristiana?
Vengo da origini cristiane. In più, c’è stato in me, oltre alla curiosità verso l’ignoto e verso la novità, il desiderio di vita e di vita sensata. Questo l’ho scoperto in quello Sconosciuto che mi rivolgeva un messaggio d’Amore: «Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Di fronte a questa verità non si può rimanere indifferenti. Almeno, io non ho potuto, e ho cominciato a leggere la Bibbia, non solo per curiosità, ma perché mi dava respiro e vita. E così tutto ha preso senso.
D- Cosa significa la visita di Papa Francesco in Albania?
La visita di Papa Francesco – che viene dopo quella di Giovanni Paolo II nel 1993, insieme a Madre Teresa, quale grande dono dopo la dittatura – è un privilegio significativo per una nazione a maggioranza islamica (le statistiche dicono che i musulmani sono il 70 % della popolazione). Il senso della visita l’ha detto il papa stesso quando ha affermato che viene per confermarci nella fede e per attestare il suo amore per «un paese che ha sofferto a lungo in conseguenza delle ideologie del passato» (Angelus 15.06. ‘14). La visita del Papa ci conferma nel coraggio della testimonianza per la fede e nel confessare che solo Gesù Cristo, “l’uomo nuovo” (GS 22), ci fa diventare più umani (GS 41). Per l’Albania il 21 settembre 2014 è Pasqua, perché il Signore passa per visitare il suo popolo con la presenza di Papa Francesco, il Pietro di oggi. La presenza di Papa Francesco sarà per ogni albanese una parola di vicinanza, di speranza per il futuro dove i valori umani che erano sepolti in passato devono fiorire con coraggio e con rispetto indipendentemente dalle diversità di religione. Al Signore affidiamo questo viaggio e chiediamo che apra i cuori degli albanesi per accogliere il suo messaggio.
16 Settembre 2014 (Zenit.org) - Di Robert Cheaib