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2014 07 16 VATICANO - Accorato appello del Papa per la pace in Terra Santa. IRAQ –AFRICA – LAOS – POLONIA obiezione di coscienza in pericolo: a Varsavia scoppia il caso del prof. Chazan, medico licenziato per aver rifiutato di praticare un aborto

Fonte:
CulturaCattolica.it

VATICANO - Accorato appello del Papa “a continuare a pregare con insistenza per la pace in Terra Santa”
Al termine della preghiera dell’Angelus, recitata domenica con i fedeli e i pellegrini riuniti in piazza San Pietro, il Santo Padre Francesco ha lanciato il seguente appello per la Terra Santa: “Rivolgo a tutti voi un accorato appello a continuare a pregare con insistenza per la pace in Terra Santa, alla luce dei tragici eventi degli ultimi giorni. Ho ancora nella memoria il vivo ricordo dell’incontro dell’8 giugno scorso con il Patriarca Bartolomeo, il Presidente Peres e il Presidente Abbas, insieme ai quali abbiamo invocato il dono della pace e ascoltato la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza. Qualcuno potrebbe pensare che tale incontro sia avvenuto invano. Invece no! La preghiera ci aiuta a non lasciarci vincere dal male né rassegnarci a che la violenza e l’odio prendano il sopravvento sul dialogo e la riconciliazione. Esorto le parti interessate e tutti quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale a non risparmiare la preghiera e a non risparmiare alcuno sforzo per far cessare ogni ostilità e conseguire la pace desiderata per il bene di tutti. E invito tutti voi ad unirvi nella preghiera. In silenzio, tutti, preghiamo. (Preghiera silenziosa) Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto è distrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace... Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono. Amen.”

Intanto a Mosul, dove per la prima volta dopo 1600 anni non si è celebrata la Messa domenicale, una buona notizia:
Iraq. Liberate due suore a Mosul: la gioia del patriarca Sako

Sono state liberate e stanno bene suor Atur e suor Miskinta, le religiose caldee della Congregazione delle figlie di Maria Immacolata, rapite lo scorso 28 giugno in Iraq dai miliziani dello Stato Islamico. Con loro anche il rilascio di tre ragazzi orfani cristiani della Casa famiglia che le suore gestivano a Mosul. La conferma è arrivata dal patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael I Sako.

D. - Nel Paese è iniziata - lo scorso giugno - questa offensiva islamista: è stato creato un Califfato tra Siria ed Iraq. Come leggere politicamente anche quello che sta accadendo in questi giorni?

R. - Secondo me, c’è un problema nell’Islam politico. Il progetto di una nazione araba unita è fallito; anche l’Islam politico dei Fratelli Musulmani è fallito…. Questi jihadisti pensano che loro possano essere l’alternativa ad uno Stato musulmano, con un califfato, come era nel VII secolo. Ma penso che questo non sia in grado di rivivere; eppure loro stanno provando a farlo, ma oggi non è facile… Nessuno accetta una cosa simile oggi! Anche i musulmani, fra di loro, come molti sunniti, pensano che questo sia possibile. Ci vuole un Islam aperto, altrimenti non avranno futuro.

D. - Ieri un documento di Amnesty International ha denunciato omicidi, rapimenti, torture ad opera dei miliziani dello Stato Islamico. Certamente qui c’è da esprimere una dura condanna…

R. - Sì! Un atteggiamento così forte di condanna è un bene, ma penso che bisognerebbe fare un po’ di più! La formazione di un governo iracheno di unità nazionale è una soluzione. E’ necessario trovare una soluzione anche politica e dunque la riconciliazione è molto importante. Questa mattina c’era la seduta del Parlamento, la terza Sezione, ed io ho indirizzato a tutti una lettera per dire: “Basta! Salvate l’Iraq! Potete salvare l’Iraq solo se siete uniti, l’unità può creare pace e stabilità!”.
Radio Vaticana 15 07 2014

Intanto in Africa:

Centrafrica, lutto nazionale dopo l’assalto alla Cattedrale

Continuano gli scontri nella Repubblica Centrafricana. Dopo l’assalto dei ribelli Seleka al campo per sfollati allestito nella Cattedrale di Saint Joseph di Bambari, il presidente Catherine Samba Panza ha decretato il lutto nazionale. Durante l’attacco hanno perso la vita 26 persone. Intanto, aumenta la fuga dei civili verso altri Paesi.

Il fatto che ci sia una diaspora così immane verso gli altri Paesi, è causato essenzialmente da questi attacchi di ribelli che si trovano un’area assolutamente priva di controllo politico-istituzionale, quindi aperta ad intrusioni sia economiche sia di accordi politici da parte di molti altri Paesi. C’è per esempio l’influenza della Corea che fa accordi anche per l’esclusiva dell’accesso alle miniere e alle risorse economiche; questo ha provocato un impoverimento progressivo e molto forte delle popolazioni, che chiaramente si scontrano tra loro per la sopravvivenza.

Questo è un Paese tra i più poveri del mondo, la vita media è intorno ai 54 anni e c’è un 11% di sieropositività della popolazione più giovane. Quindi, è un Paese dove le persone soffrono di malnutrizione e quindi di problematiche di alimentazione e di malattie, e dove le risorse eco-ambientali sono continuamente minacciate. È veramente una situazione drammatica, per cui è chiaro che questi ribelli non si fermano. C’è convenienza a tenere la Repubblica Centrafricana in questa situazione: c’è il reclutamento dei bambini soldato da parte di alcuni eserciti che adesso usano questo Paese proprio per il reclutamento. La cosa da cui si deve ripartire - come sempre in queste aree del mondo - è l’istruzione, l’educazione, ed in questo il ruolo dei missionari, soprattutto italiani, è strepitoso perché comunque fin quando c’è una presenza missionaria, una presenza educativa, di istruzione, soprattutto delle bambine femmine, allora si ha davvero la speranza di migliorare la società dal basso. È chiaro che questi sono progetti a medio-lungo periodo, non possono essere soluzioni immediate. L’Unione Europea ha mandato 1600 soldati dalla Francia: ma senza una consapevolezza, un’analisi precisa della realtà del Paese, senza la conoscenza delle lingue, delle realtà locali, è chiaro che sono elementi privi di risultato.
Radio Vaticana 10 07 2014

SUDAN - Stop alla costruzione di chiese da parte delle autorità di Khartoum
Il governo sudanese, attraverso il Ministro degli Affari religiosi, Shalil Abdullah, ha annunciato il blocco dei permessi per la costruzione di nuove chiese. La decisione - ha spiegato il Ministro - deriva dal fatto che la comunità cristiana in Sudan si è fortemente ridotta a seguito della secessione del Sud Sudan da dove provengono la maggioranza dei cristiani che vivevano a Khartoum. Dopo l’indipendenza del Sud Sudan, nel luglio 2011, i cittadini originari del sud sono stati costretti a lasciare il Sudan.(Agenzia Fides 14/7/2014)

Testimonianza di mons. Eduardo Hiiboro Kussala

Sudan: la Chiesa preoccupata per la situazione dei cristiani
«La situazione giuridica dei cristiani in Sudan è davvero preoccupante». A parlare è il vescovo della diocesi sudsudanese di Tambura-Yambio, mons. Eduardo Hiiboro Kussala, in questi giorni in visita alla sede centrale di Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Sebbene la costituzione garantisca pari diritti a tutti i sudanesi, senza alcuna distinzione di credo, i cristiani sono considerati e trattati come cittadini di seconda classe. «I membri del clero non possono ottenere il passaporto e quando lasciano il Paese non sanno mai se potranno farvi ritorno – racconta il presule – molti sacerdoti sono stati espulsi ed i vescovi sono costretti al silenzio perché non possono esprimere liberamente le proprie opinioni».

Ai cristiani è permesso assistere alle celebrazioni liturgiche, ma Khartoum non tutela affatto la libertà religiosa. Mons. Hiiboro porta ad esempio il recente caso di Meriam Yahia Ibrayim Ishaq, condannata a morte per apostasia. «La fede di Meriam era ben nota a tutti – riferisce - ma un giorno improvvisamente la ragazza è stata minacciata e poi condannata. Ed il governo non ha agito in alcun modo lasciando che fossero i leader islamici a decidere del futuro della donna».
Il vescovo fa notare come Meriam non si sia affatto convertita. Il padre era sì musulmano, ma ha lasciato la famiglia quando lei aveva appena cinque anni e la ragazza è quindi cresciuta praticando la fede della madre, cristiana ortodossa, per poi divenire cattolica poco prima di conoscere il suo futuro marito Daniel Wani nel 2011. «Meriam è stata liberata soltanto a causa della forte pressione internazionale, tuttavia nel frattempo è stata costretta a dare alla luce la sua bambina in carcere».
Sebbene la discriminazione dei cristiani non costituisca un fenomeno nuovo in Sudan, in seguito alla secessione del sud a maggioranza cristiana, nel luglio 2011, la situazione è nettamente peggiorata. La Chiesa sudanese ha apertamente sostenuto la nascita del Sud Sudan, richiamando più volte le autorità al rispetto della volontà dei cittadini, «ed ora è ritenuta responsabile della separazione dei due Stati. Anche se noi - conclude il presule - ci siamo limitati soltanto ad esortare il governo a garantire la libertà religiosa e di coscienza».

Il resto del mondo

LAOS - Pressioni delle autorità su una donna cristiana per far abiurare la fede
Il capo del villaggio di Saisomboon, nella provincia di Savannakhet, e un funzionario governativo hanno intimato a una donna cristiana di nome Varn di abiurare la fede, altrimenti sarà cacciata dal villaggio e la sua terra sarà confiscata. Come appreso dall’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (CSW), Varn è la persona che aveva annunciato Cristo alla sua amica Chan, la donna cristiana deceduta nel villaggio di Saisomboon dopo una lunga malattia (vedi Fides 26/6/2014). Dopo il decesso, le autorità hanno accusato cinque leader cristiani nella provincia di Savannakhet di aver ucciso la signora Chan, somministrandole un farmaco che ne avrebbe causato la morte. Come spiegato dall’organizzazione non-profit “Human Rights Watch per Lao Religious Freedom”, si tratta di accusa del tutto false, in quanto i cinque leader di comunità limitrofe si erano recati da Chan solo per darle il conforto della preghiere in vista del trapasso. I cinque sono stati arrestati con l’accusa di omicidio : in tal modo le comunità cristiane di zona sono state “decapitate”.
Funzionari governativi hanno anche fermato il funerale cristiano, autorizzando solo un rito buddista.
Mervyn Thomas, direttore esecutivo di CSW, dice in una nota inviata a Fides: “Il diritto alla libertà di religione include il diritto di adottare un credo di propria scelta: la pressione sulla sig.ra Varn è una violazione di questo diritto, protetto dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, che il Laos ha ratificato nel 2009. Chiediamo al governo di indagare immediatamente sugli abusi commessi dal capo del villaggio e dalla polizia, anche nelle accuse mosse contro i cinque leader cristi detenuti”. (Agenzia Fides 3/7/2014)

POLONIA: obiezione di coscienza in pericolo
A Varsavia scoppia il caso del prof. Chazan, medico licenziato per aver rifiutato di praticare un aborto
Di Don Mariusz Frukacz

Lo scorso 9 luglio, Hanna Gronkiewicz Waltz, sindaco di Varsavia, durante una conferenza stampa, ha informato che il Consiglio Comunale della capitale polacca ha rescisso il contratto con il prof. Bogdan Chazan, attuale direttore dell’Ospedale della Sacra Famiglia. Il prof. Bogdan Chazan è stato definito “reo” di non aver accettato di compiere un aborto, ed è stato preso di mira da molti media.

In Polonia la stampa liberale e di sinistra, a braccetto con le realtà pro-aborto, ha iniziato da qualche tempo una vasta campagna contro quei medici che hanno firmato la “dichiarazione di fede”, un testamento che, di fatto, non porta nulla di nuovo ma ribadisce il tradizionale giuramento di Ippocrate, il quale richiede ai medici il rispetto della vita umana dal concepimento al suo termine naturale.
Il professor Chazan, invocando l’obiezione di coscienza, non ha acconsentito ad eseguire un aborto in un ospedale da lui gestito. Il nascituro, alla 25esima settimana di gestazione della madre, che si era recata da lui per chiedere l’aborto, aveva riportato danni al cranio e al cervello.
Il professor Bogdan Chazan ha suggerito alla madre del bambino gravemente malato e non ancora nato di prendersi cura di lui durante la gravidanza e dopo il parto. Aveva inoltre sottolineato la possibilità di accedere all’assistenza perinatale con cure palliative presso un ospedale pediatrico di Varsavia.
La campagna in corso nei media di sinistra e liberali è anche una campagna contro l’obiezione di coscienza.
La decisione del professor Bogdan Chazan è difesa dai vescovi polacchi. “Sono profondamente preoccupato per l’annuncio della cancellazione del prof. Bogdan Chazan come direttore dell’Ospedale. Sacra Famiglia a Varsavia”, ha affermato in un comunicato il cardinale Kazimierz Nycz. Il Metropolita di Varsavia osserva che “la clausola di coscienza conferma uno dei diritti umani fondamentali, cioè la libertà di coscienza”.
L’arcivescovo Henryk Hoser, presidente del Comitato di Bioetica presso la Conferenza Episcopale Polacca, ha incoraggiato anche i medici e le persone di buona volontà a “manifestare sostegno e solidarietà al professor Bogdan Chazan”.
“La difesa di una vita di un bambino disabile concepito in vitro non può essere causa di licenziamento per un medico con le più alte qualifiche, come quella di direttore dell’ospedale”, ha sottolineato mons. Hoser.
“Nel periodo prenatale un bambino continua ad essere un uomo e un paziente, indipendentemente dallo stato di salute e indipendentemente dalle decisioni discrezionali di qualcuno. Nessuno è padrone della vita di un altro essere umano ed eventuali altri beni personali e derivati sono secondari al fatto dell’esistenza umana”, ha continuato arcivescovo Hozer.
“La libertà di coscienza è in gioco in Polonia. Questo vale per tutti i cattolici che vogliono essere coinvolti nella vita pubblica secondo i loro principi morali”, ha detto mons. Henryk Tomasik, commentando il licenziamento del direttore dell’Ospedale della Sacra Famiglia.
“Già una volta nella storia i cristiani furono gettati agli animali per essere divorati, e ora li si getta sul marciapiede”, aggiunto il vescovo Tomasik.
Il professor Chazan è stato difeso anche dall’ambiente dei medici. “Il professor Bogdan Chazan è stato vittima di una caccia alle streghe”, ha detto il presidente del Consiglio Medico Supremo (NRL), il dott. Maciej Hamankiewicz, commentando la decisione di Hanna Gronkiewicz-Waltz.
Il dott. Maciej ha osservato che “tale decisione dimostra la volontà di limitare la libertà dei medici”. “Non abbiamo alcun dubbio che alcuni ambienti avevano chiaramente un bisogno di guerra ideologica”, ha continuato Hamankiewicz.
“Il professor Bogdan Chazan ha dato ai medici un perfetto esempio di come capire e farsi guidare dal principio dell’obiezione di coscienza. “Non si tratta solo di “disobbedienza civile”, ma di fedeltà ai valori, che comprendono la vita umana e la sua tutela”, ha detto don Stanislaw Warzeszak, il capellano della pastorale medica in Polonia.
Secondo i movimenti pro-vita la decisione del sindaco di Varsavia “può significare che in futuro nessun medico credente potrebbe più svolgere il ruolo del direttore dell’ospedale”.
I media liberali e di sinistra, come ad esempio Gazeta Wyborcza (Giornale Elettorale) descrivono la Chiesa Cattolica in Polonia che difende l’obiezione di coscienza come “la Chiesa con la faccia di Grande Inquisitore”. Le persone che difendono il professore Bogdan Chazan e la vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, sono definiti dai media di sinistra come “estremisti religiosi”.
L’attacco arriva anche da parte dei membri del governo di Donald Tusk e dai politici di sinistra che sottolineano che il professor Chazan non avendo accettato di compiere un aborto “ha preso le decisioni psicopatiche”. Per uno dei rappresentanti del parlamento “il professor Chazan è uno psicopatico religioso”.

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