2014 07 02 Il Papa si unisce agli appelli dei Vescovi: qualcuno ascolterà? Bisognerebbe almeno avere notizia di questi appelli. Ascoltiamoli
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“Mi unisco ai vescovi del Paese nel fare appello ai governanti perché, attraverso il dialogo, si possa preservare l’unità nazionale ed evitare la guerra. Sono vicino alle migliaia di famiglie, specialmente cristiane, che hanno dovuto lasciare le loro case e che sono in grave pericolo. La violenza genera altra violenza; il dialogo è l’unica via per la pace”
Ecco gli appelli:
Il vescovo di Erbil: non lasciate i cristiani iracheni al loro destino
Nonostante gli appelli all’unità, oggi nella prima seduta del parlamento iracheno, dopo le elezioni dello scorso aprile, si sono riproposte le divisioni tra i blocchi sciita, sunnita e curdo. I parlamentari erano chiamati ad eleggere il presidente del’Aula, ma mancando un accordo sul nome e il quorum per la votazione, la sessione è stata chiusa. L’assemblea tornerà a riunirsi martedì prossimo e sarà chiamata nelle prossime settimane ad eleggere anche Presidente e premier, malgrado le resistenze di al Maliki che vuole mantenere il ruolo di primo ministro. Spaccature che portano il presidente della regione autonoma Kurda Barzani ad annunciare un referendum per l’indipendenza “nel giro di qualche mese”.
Intanto gli jihadisti dello 'Stato islamico dell'Iraq e del Levante' mantegono il controllo dei territori conquistati nelle scorse settimane. A Tikrit proseguono i violenti combattimenti tra le truppe regolari e i ribelli mentre l'aviazione irachena ha effettuato nuovi raid su Mosul. Sulla situazione umanitaria nel nord dell'Iraq Cristiano Tinazzi il vescovo di Erbil mons. Bashar Warda ha ditto (intervistato da Radio Vaticana):
…
Ciò che chiediamo alla comunità internazionale è di mettere pressione sui politici iracheni. Fondamentalmente, infatti, non esiste un governo al momento. Chiediamo di accelerare il processo di riunificazione della comunità, per formare un governo il prima possibile…
Le persone non sono solo preoccupate e impaurite, ma sono davvero depresse per quello che sarà il loro futuro, se ci sarà un futuro per il Paese. E noi, in qualità di leader della Chiesa, abbiamo detto: “Per favore, se volete dividere il Paese, fatelo in pace, senza la violenza cui stiamo assistendo”..
D. – Negli ultimi giorni molte persone, migliaia di persone, sono scappate da Qaraqosh ed altri paesi cristiani a causa della guerra. Com’è, dunque, la situazione al momento?
R. – It was very difficult…
E’ stato davvero difficile ricevere più di 20 mila persone in tre giorni. In Ankawa è stata davvero dura per noi. Siamo stati in grado, in un certo modo, di far fronte alla situazione, perché si sa che le risorse della Chiesa sono limitate, e l’esperienza che abbiamo non è l’esperienza con cui poter far fronte al grande numero di persone. Fortunatamente il 90% delle famiglie in centro se ne sono andate, poche sono quelle rimaste in casa con i loro amici e parenti, e alcune persone di Ankawa le hanno accolte. La parte triste della storia è che le persone si stanno preparando a lasciare il Paese – da Qaraqosh, da Ankawa - molte delle nostre comunità cristiane stanno pensando seriamente di lasciare il Paese. Sono stufi, esattamente stufi, impauriti, terrorizzati.
D. – Vogliono semplicemente andarsene e scegliere un altro Paese forse per cominciare una nuova vita?
R. – They know it would not be...
Sanno che potrebbe non essere una saggia decisione, una buona decisione; sanno che è una decisione dura, sanno che non è facile emigrare, sanno che i Paesi europei, l’America, il Canada e l’Australia forse non saranno disposti ad accettarli. Ma dicono che è comunque meglio che restare, aspettando invano, e forse aspettando un’umiliazione maggiore, in un certo modo. Non è certo una decisione facile, ma non ci sono alternative.
D. – E per quanto riguarda i cristiani di Mosul? Se ne sono andati? Sono scappati?
R. – Yes, a few families...
Sì, alcune famiglie si contano. Da quello che sentiamo, se ne stanno andando, perché l’Isis ha cominciato ad promulgare le sue leggi, la Costituzione, l’attuazione della sharia. Quindi, adesso è tutto sempre più chiaro ...
Due chiese sono state razziate. Hanno anche stabilito che le donne non devono guidare la macchina. Hanno portato via tutte le statue e anche l’antica statua di Nostra Signora di Al Tahira … Almeno adesso sappiamo cosa ci aspetta!
D. – La comunità cristiana è una delle minoranze qui in Iraq. Se tutte queste persone lasceranno il Paese, cosa succederà?
R. – We need the international community to interfere...
Bisogna che la comunità internazionale interferisca, perché le minoranze sono una risorsa per la ricchezza del Paese. Non si possono abbandonare al loro destino. Se i loro diritti saranno tutelati, per farli rimanere nel Paese, questo rappresenterà una vera ricchezza per l'Iraq. Quindi, non si tratta di essere “cristiano”, si tratta di essere un essere umano, di essere una minoranza. Noi abbiamo tante minoranze all’interno dell’Iraq, e per questa ragione noi diciamo: “Per favore, fate qualcosa!... Fate qualcosa!”
D. – Se dovesse mandare un messaggio al resto del mondo, cosa direbbe?
R. – The first message...
Il primo messaggio è che abbiamo bisogno di formare un governo, che si prenda cura di tutti gli iracheni, dal Nord al Sud: sunniti, sciiti, curdi, cristiani, shabak ... Tutti sono iracheni ed hanno bisogno di un governo che si prenda cura di loro. Altrimenti, non ci sarà futuro per i cristiani e probabilmente neanche per il Paese.
RadioVaticana 01 07 2014
Appello dell'Arcivescovo siro cattolico Moshe alla comunità internazionale: Salvateci!
Qaraqosh è quasi una città fantasma. Più del novanta per cento degli oltre 40mila abitanti, quasi tutti cristiani appartenenti alla Chiesa siro-cattolica, sono fuggiti negli ultimi due giorni davanti all'offensiva degli insorti sunniti guidati dai jihadisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL), che sottopongono l'area urbana al lancio di missili e granate. Tra i pochi rimasti in città ci sono l'Arcivescovo di Mosul dei Siri, Yohanna Petros Moshe, alcuni sacerdoti e alcuni giovani della sua Chiesa, che hanno deciso di non fuggire. Nel centro abitato, nelle ultime due giornate, sono arrivate armi e nuovi contingenti a rafforzare le milizie curde dei Peshmerga che oppongono resistenza all'avanzata degli insorti sunniti. L'impressione è che si stia preparando il terreno per lo scontro frontale.
Nella giornata di ieri, l'Arcivescovo Moshe ha tentato una mediazione tra le forze contrapposte con l'intento di preservare la città di Qaraqosh dalla distruzione. Per il momento, il tentativo non ha avuto esito. Gli insorti sunniti chiedono alle milizie curde di ritirarsi. I Peshmerga curdi non hanno alcuna intenzione di consentire agli insorti di avvicinarsi ai confini del Kurdistan iracheno.
In questa situazione drammatica, da Qaraqosh l'Arcivescovo Moshe attraverso l'Agenzia Fides vuole lanciare un pressante appello umanitario a tutta la comunità internazionale: “Davanti al dramma vissuto dal nostro popolo” dice a Fides l'Arcivescovo, “mi rivolgo alle coscienze dei leader politici di tutto il mondo, agli organismi internazionali e a tutti gli uomini di buona volontà: occorre intervenire subito per porre un argine al precipitare della situazione, operando non solo sul piano del soccorso umanitario, ma anche su quello politico e diplomatico. Ogni ora, ogni giorno perduto, rischia di rendere tutto irrecuperabile. Non si possono lasciar passare giorni e settimane intere nella passività. L'immobilismo diventa complicità con il crimine e la sopraffazione. Il mondo non può chiudere gli occhi davanti al dramma di un popolo intero fuggito dalle proprie case in poche ore, portando con sé solo i vestiti che aveva addosso”.
L'Arcivescovo siro cattolico di Mosul delinea con poche vibranti parole la condizione particolare vissuta dai cristiani nel riesplodere dei conflitti settari che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza stessa dell'Iraq: “ Qaraqosh e le altre città della Piana di Ninive sono state per lungo tempo luoghi di pace e di convivenza. Noi cristiani siamo disarmati, e in quanto cristiani non abbiamo alimentato nessun conflitto e nessun problema con i sunniti, gli sciiti, i curdi e con le altre realtà che formano la Nazione irachena. Vogliamo solo vivere in pace, collaborando con tutti e rispettando tutti”.
Il sacerdote siro cattolico Nizar Semaan, collaboratore dell'Arcivescovo Moshe, spiega a Fides che l'appello “è rivolto anche a quei governi occidentali ed europei che spesso parlano dei diritti umani in maniera intermittente e interessata, sprofondando poi in un mutismo di comodo quando le loro operazioni e le loro analisi dei problemi del Medio Oriente si rivelano miopi e fallimentari. Per essere chiari, l'Arcivescovo non chiede di risolvere la situazione mandando altre armi in Medio Oriente. Sono stati anche gli interventi armati occidentali a scatenare il caos pieno di sangue e violenza che fa soffrire i nostri popoli stremati”.
(Agenzia Fides 27/6/2014).
Appello del Patriarca Louis Raphael I Sako per la liberazione delle suore e degli orfani rapiti
Il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael I Sako, ha rivolto un appello pubblico a “coloro che detengono le suore e gli orfani rapiti a Mosul 3 giorni fa”. Secondo quanto appreso dall'Agenzia Fides, nell'appello si esprime preoccupazione per la sorte delle due suore e dei tre giovani – due ragazze e un ragazzo –, chiedendo che siano liberati al più presto. In particolare il Patriarca si rivolge ai capi religiosi musulmani e agli sheikh delle tribù sunnite di Mosul, chiedendo loro di fare “tutto il possibile” per ottenere il rilascio dei sequestrati. Nell'appello, il Patriarca caldeo cita i versetti del Corano che indicano a tutti i credenti di trattare bene i monaci e gli orfani, ricorda che i cristiani “furono i primi a ricevere i conquistatori musulmani 14 secoli fa” e che nell'Iraq di oggi i cristiani in quanto tali non si identificano con nessuno schieramento politico. “Questo - conclude il Patriarca Sako - è il Mese del Ramadan, mese di misericordia e di carità. Preghiamo tutti di far tornare in pace le suore e gli orfani rapiti”.
Dalla giornata di sabato 28 giugno si sono persi i contatti con suor Atur e di suor Miskinta, due religiose caldee della Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata che erano rientrate in auto a Mosul dalla città di Dohuk in compagnia di due ragazze e di un ragazzo cristiani. Le due suore curano e gestiscono una casa-famiglia per orfani di Mosul, nei pressi dell'arcivescovato caldeo. Davanti all'offensiva islamista iniziata lo scorso 9 giugno, le suore e tutti gli ospiti della casa-famiglia avevano lasciato Mosul trovando rifugio nella città di Dohuk, nel Kurdistan iracheno. Da lì suor Atur aveva già effettuato rapide sortite a Mosul per verificare le condizioni della casa e recuperare oggetti e strumenti di lavoro e di studio per le ragazze costrette a abbandonare le proprie dimore. (Agenzia Fides 1/7/2014).
presidenza del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee)
ferma condanna delle crocifissioni dell'Isil in Siria
“Ferma indignazione e condanna” sono state espresse oggi, in una nota, dalla presidenza del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) appresa la notizia della crocifissione di persone nel centro di Deir Hafer, in Siria, che ha preceduto la proclamazione del Califfato islamico nei territori siriani e iracheni sotto il controllo dell’Isil. “Questi atti che utilizzano la religione per giustificare atti di giustizia sommaria vanno contro ogni tentativo di pacificare il Paese già martoriato da anni di guerra fratricida” si legge nel testo firmato dai cardinali Péter Erdõ, presidente del Ccee, e da Angelo Bagnasco, vice presidente del Ccee. (R.P.)
Radio Vaticana 30 06 2014
Senza dimenticare il resto del mondo:
Nell’omelia a Santa Marta il Papa ha ribadito ancora:
“Oggi ci sono tanti martiri, nella Chiesa, tanti cristiani perseguitati. Pensiamo al Medio Oriente, cristiani che devono fuggire dalle persecuzioni, cristiani uccisi dai persecutori. Anche i cristiani cacciati via in modo elegante, con i guanti bianchi: anche quella è una persecuzione. Oggi ci sono più testimoni, più martiri nella Chiesa che nei primi secoli. E in questa Messa pensiamo anche ai nostri fratelli che vivono perseguitati, che soffrono e che con il loro sangue fanno crescere il seme di tante Chiese piccoline che nascono. Preghiamo per loro e anche per noi“. (30 06 2014)
NIGERIA - Nuovi attacchi nel nord: per il Vescovo di Maiduguri “la mente umana non può capire quello che sta succedendo”
Il 29 giugno sono stati attaccati tre villaggi nei pressi di Chibok, la cittadina nel nord della Nigeria dove sono state rapite ad aprile più di 200 ragazze da parte degli estremisti islamici di Boko Haram. Lo conferma all’Agenzia Fides p. Patrick Tor Alumuku, Direttore delle Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Abuja, che ha contattato Mons. Oliver Dashe Doeme, Vescovo di Maiduguri, nella cui diocesi rientra l’area colpita.
Il 29 giugno un gruppo di uomini su fuoristrada, armati di mitragliere anti-aeree, ha compiuto un assalto a tre villaggi che si trovano a pochi chilometri da Chibok, distruggendo tra l’altro un luogo di culto cristiano e uccidendo decine di persone, tra cui diversi fedeli che partecipavano ad una funzione religiosa.
“La mente umana non può capire quello che succede. Non c’è una ragione per quello che fanno, ma continuano a farlo” ha riferito Mons. Doeme a p. Patrick. P. Patrick aggiunge di essere sfuggito all’attentato del 25 giugno che ha colpito un centro commerciale ad Abuja, causando decine di morti: “Proprio quel giorno a quell’ora avevo un appuntamento nella piazza del centro commerciale, dove di solito parcheggio la mia auto nel punto dove è esplosa la bomba. Grazie a Dio l’appuntamento è saltato per un altro impegno. La Provvidenza mi ha salvato” conclude il sacerdote. (Agenzia Fides 30/6/2014)
CENTRAFRICA - Dodicimila rifugiati nella Cattedrale di Bambari, a Fides l’appello del Vescovo
“Abbiamo almeno 12.000 persone accolte nella Cattedrale Saint Joseph che sono ancora totalmente prive di assistenza” dice all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Eduard Mathos, Vescovo di Bambari, nella Repubblica Centrafricana, dove le violenze dei miliziani della Seleka hanno costretto alla fuga gran parte degli abitanti. “Alcune Ong sono venute a constatare la situazione, ma finora nessun aiuto umanitario è arrivato. Manca tutto, non solo il cibo ma persino i teloni per far stendere le persone. Solo la Croce Rossa sta portando l’acqua mentre si stanno scavando delle latrine nel cortile” prosegue il Vescovo. “Lancio un appello perché si intervenga subito per impedire un disastro umanitario” conclude accorato Mons. Mathos. (Agenzia Fides 1/7/2014)