2014 05 28 ROMANIA – FRANCIA – SIRIA
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Anton Durcovici, un vescovo martire
Sabato 17 maggio è stato beatificato uno dei successori degli Apostoli che morirono nelle carceri comuniste romene a motivo della propria fede: il vescovo di Iaşi mons. Anton Durcovici. Era nato nel 1888 in Austria, nella località di Bad Deutsch-Altenburg allora parte dell’Impero asburgico, da madre croata e padre austriaco. Dopo aver studiato a Roma ed essere stato ordinato sacerdote in San Giovanni in Laterano nel 1910, dal 1924 al 1947 a Durcovici fu conferita la carica di Rettore del seminario Sfântul Duh («Spirito Santo») di Bucarest. Tutte le testimonianze concordano sul grande zelo pastorale e sulla profondità speculativa del suo insegnamento. Nominato vescovo di Iaşi da Pio XII già nel 1945, fu consacrato soltanto due anni dopo a motivo degli scontri costanti con i comunisti romeni che si acuirono negli anni successivi.
Tra 1948 e 1949, il governo di Bucarest impose infatti ai cattolici di rito bizantino e poi a quelli di rito latino di fondersi con gli ortodossi al fine di poter controllare meglio tutte le loro attività. Il governo dispose la confisca dei beni e delle proprietà ecclesiastiche, chiuse le scuole religiose e ordinò alla Securitate (i servizi segreti interni) di indagare e inquisire tutti gli esponenti del clero che si opponevano a queste misure coercitive. Dopo diversi interrogatori e intimidazioni, Anton Durcovici fu arrestato nel giugno 1949, mentre si recava a Bucarest, e condotto nella prigione di Sighetu Marmaţiei. La durezza della detenzione carceraria, che si abbatté su un uomo di oltre sessant’anni, fu una prova estrema: torture, privazioni di cibo e acqua, freddo e sporcizia. Il 10 dicembre 1951, Mons. Durcovici si rivolse con un filo di voce ad un altro sacerdote in carcere, don Rafael Friedrich, chiedendogli poco prima di spirare: Morior fame et siti, da mihi absolutionem («muoio di fame e di sete, dammi l’assoluzione»).
Il sacerdote gesuita Otto Farenkopf, che fu anch’egli compagno di prigionia di Mons. Durcovici a Sighetu Marmaţiei, ha lasciato una testimonianza importante sull’alimento della fede nelle durissime condizioni del carcere. Don Vasvári, un altro dei prelati detenuti, una notte sognò San Pio X: rammemorando l’esortazione di questo Papa alla Comunione frequente, i sacerdoti prigionieri con Mons. Durcovici celebrarono sei Messe con il pane e il vino di cui disponevano in cella ringraziando l’intercessione di Papa Sarto per la grazia infusa. Nell’abnegazione con cui Anton Durcovici sopportò le sofferenze sino alla morte, la speranza cristiana coincideva quindi con la fedeltà a Roma e con l’affermazione della regalità del Papa. In senso corrente, la definizione «Papa Re» viene utilizzata soprattutto per riferirsi al dominio temporale dei Pontefici sui territori italiani, finito con la breccia di Porta Pia. Ma in realtà quest’appellativo a suo modo esprime bene anche il legame indissolubile che esiste tra la professione della fede cattolica e la struttura monarchico-gerarchica della Chiesa fondata sul primato romano, in nome del quale è stato perpetrato il martirio di Anton Durcovici. Anton Durcovici avrebbe potuto cedere alle pressioni e accettare di svolgere una qualche blanda attività pastorale senza entrare in collisione con il governo di Bucarest, nell’errata illusione che l’obbedienza al Magistero perenne dei Papi, che contemplava tra le altre cose la ferrea condanna dell’ideologia comunista, non fosse indispensabile per annunciare il Vangelo. Preferì invece restare fedele all’insegnamento che aveva ricevuto attraverso l’imposizione delle mani al momento dell’ordinazione, mostrando poi con la sua oblazione che il chicco di grano caduto in terra rimane solo, mentre se muore produce molto frutto (Gv, 12, 24).
Nel Regina Coeli di domenica 18 maggio, Papa Francesco ha ricordato la figura di Mons. Durcovici, indicandolo come un modello di vita da seguire. E il martirio di questo vescovo costituisce davvero un ottimo esempio di come il primato romano non sia un fatto meramente «amministrativo», una modalità di organizzazione ecclesiastica che può mutare nel tempo senza intaccare la dimensione della fede, ma al contrario ne costituisce l’indispensabile prerequisito. Mons. Durcovici aveva ben presente che il Papa, in quanto vescovo di Roma, partecipa con tutti gli altri vescovi del sacerdozio cristiano, ma che in quanto Papa solo a lui è dato di partecipare della regalità di Cristo. Il suo attaccamento al Papato non riguardava perciò la persona di nessun Pontefice in particolare, bensì la funzione di governo della Chiesa e la continuità dell’insegnamento nel tempo che, alle condizioni sancite dalla Tradizione, i Pastori Supremi che si succedono sulla Cattedra di Pietro esercitano sul popolo cristiano.
Unitalsi: Lourdes più lontana per disabili e malati
Raggiungere il santuario mariano di Lourdes, per ammalati e disabili, è sempre più complicato. “Il degrado del servizio trasporto dei pellegrini con i treni speciali è divenuto sempre più evidente”. E’ una situazione - sottolinea Francis Dias, coordinatore dei pellegrinaggi per il Santuario - provocata dalla decisione delle Ferrovie francesi (Sncf) di sopprimere definitivamente i treni speciali a vantaggio di convogli ad alta velocità (Tgv), non attrezzati però per il trasporto di ammalati e disabili. Dello stesso avviso – ricorda Avvenire – anche il sindaco della città mariana, Josette Bourdeu. “La diminuzione del numero di treni di pellegrinaggi che arrivano a Lourdes è una catastrofe”.
L’Unitalsi (Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali) intende mettere in atto tutte le sinergie per fare in modo di mantenere e garantire, a livelli adeguati, il servizio di trasporto. “Si è potuto stimare – fa notare Salvatore Pagliuca, presidente Unitalsi - che anche un trasporto alternativo al treno, cioè il pullman, ci impedirebbe di accompagnare a Lourdes almeno 6.000 pellegrini malati”. “A Lourdes - sottolinea infine mons. Nicolas Brouwet vescovo della diocesi di Tarbes e Lourdes - i pellegrini malati e handicappati hanno il primo posto”. “Sappiamo che il loro numero è in diminuzione”. “Spesso – conclude il presule - sono persone malate o handicappate che evangelizzano le persone sane con il loro attaccamento al Cristo, con la loro preghiera, la loro gioia e la loro fiducia nel Signore: esse fortificano la nostra speranza”.
Radio Vaticana 15 05 2014
SIRIA - L'Arcivescovo armeno cattolico Marayati: i cristiani fuggono da Aleppo, città assediata
“Nelle ultime settimane abbiamo registrato una nuova ondata dell'esodo dei cristiani da Aleppo. Le famiglie hanno aspettato la fine delle scuole, poi hanno preso i bagagli, hanno chiuso le proprie case e sono fuggite verso la costa e verso il Libano, usando l'unica strada di collegamento con l'esterno ancora percorribile. Forse torneranno tra quattro mesi. Forse non torneranno più”. Così riferisce a Fides l'Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo Boutros Marayati, aggiungendo particolari concreti sugli effetti dell'assedio della metropoli siriana da parte delle milizie anti-Assad: “Adesso è tornata l'erogazione dell'acqua, che era stata interrotta per più di una settimana” spiega l'Arcivescovo “ma manca l'energia elettrica. Quando danno l'acqua interrompono l'elettricità, quando danno l'elettricità interrompono l'acqua. La città è assediata e le aree dove si trovano la grande centrale elettrica e le linee di approvvigionamento idrico sono tutte nelle mani dei ribelli, che aprono e chiudono i rubinetti per costringere il regime a trattare. Noi non sappiamo a cosa mirano queste trattative. Rimaniamo a fianco della gente, a subire tutto questo, ma non capiamo bene cosa stia succedendo intorno a noi”.
A giudizio dell'Arcivescovo, le elezioni presidenziali convocate per il prossimo 3 giugno finiscono per aumentare il senso di incertezza e di paura diffusa: “E' iniziata la propaganda elettorale, ma tanti temono un'escalation delle violenze proprio in vista delle elezioni. Potrebbe succedere di tutto” spiega Sua Ecc. Marayati. Non rassicurano nemmeno le notizie provenienti da Homs: “L'assedio dell'esercito governativo ha prevalso sui ribelli, che hanno evacuato il centro della città”, spiega l'Arcivescovo armeno cattolico, “ma da allora sono entrate in azione bande di sciacalli che saccheggiano tutto quello che trovano ancora nelle case abbandonate, anche nel quartiere dove abitavano i cristiani”. (Agenzia Fides 19/5/2014).