2014 03 04 PAKISTAN: Il grande vuoto lasciato da Shahbaz Batti; Resta in carcere Asia Bibi; Giovane cristiana uccisa dai talebani per aver aiutato un convertito dall’islam. NIGERIA: Attacco Boko Haram ad un liceo nigeriano. SIRIA: gruppo jihadista impone
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Pakistan: Il grande vuoto lasciato da Shahbaz Bhatti
La testimonianza di Peter Jacob, direttore della Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale pachistana, raccolta da ACS
«La morte di Shahbaz Bhatti è una grave perdita per tutti coloro che nel mondo amano la pace». Così Peter Jacob, direttore della Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale pachistana, commentò l’omicidio del ministro pachistano per le minoranze, assassinato il 2 marzo 2011. Nel terzo anniversario della scomparsa di Bhatti, Jacob racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la situazione attuale della comunità cristiana in Pakistan e descrive il vuoto lasciato dalla scomparsa del politico cattolico.
«Shahbaz si batteva in prima persona per i diritti delle minoranze e ha ottenuto importanti risultati. Era una figura di riferimento e la sua uccisione è stata una grande sconfitta. Oggi la sua memoria è onorata anche da molti musulmani e i media pachistani non smettono di ricordare il suo sacrificio».
Prima di essere ucciso Bhatti aveva ricevuto numerose minacce, ma ha scelto di proseguire la sua lotta in difesa delle minoranze religiose e contro la legge anti-blasfemia, «uno strumento – diceva - spesso utilizzato impropriamente per risolvere questioni personali». Neppure l’assassinio di Salmaan Taseer, governatore del Punjab che assieme a lui si era battuto per la revisione della norma e la liberazione di Asia Bibi, è riuscito a fermarlo. «Se propongo anche un cambiamento minimo della legge sarò considerato blasfemo e verrò assassinato – aveva dichiarato in un’intervista a France 24 appena tre settimane prima di morire - Sono pronto a versare fino all’ultima goccia di sangue per combattere l’ingiustizia. Non ho paura, neanche dopo l’omicidio di Salmaan».
A tre anni dalla morte di Bhatti è ancora alta la percentuale dei cristiani tra coloro che sono accusati di blasfemia. Secondo quanto riferito dalla Commissione Giustizia e Pace, delle 32 accuse di blasfemia registrate nel 2013 ben 12 riguardavano dei cittadini cristiani: un dato altamente significativo se si considera che in Pakistan i cristiani rappresentano appena il 2% della popolazione. Allo stesso modo il numero di ragazze cristiane rapite e costrette a convertirsi all’Islam è più che raddoppiato: una piaga contro cui s’era strenuamente battuto proprio Bhatti. «È difficile dire quanto la sua scomparsa abbia influito sulla condizione dei cristiani pakistani – nota Jacob – ma la sua assenza ha lasciato sicuramente un vuoto in termini di rappresentanza politica delle minoranze. Sebbene non manchino gli sforzi per proseguire quanto Shahbaz aveva costruito».
A raccogliere l’eredità di Bhatti è stato soprattutto suo fratello Paul, presidente dell’All Pakistan Minorities’ Alliance (APMA) e già consigliere del primo ministro per le minoranze religiose, che successivamente al «martirio» di Shahbaz ha lasciato l’Italia, dove viveva da diversi anni, per tornare in Pakistan. Lo scorso anno Paul ha attribuito la liberazione di Rimsha Masih - la quattordicenne affetta da ritardo mentale accusata di blasfemia e poi assolta - all’inestimabile lavoro di suo fratello. «Io porto avanti la sua missione – ha detto ad ACS - e se raggiungiamo dei risultati, il successo è soltanto suo».
Nonostante l’assoluzione di Rimsha, la “legge nera” continua a mietere vittime innocenti. Riformarne il testo è praticamente impossibile a causa della pressione dell’opinione pubblica e delle minacce rivolte dai gruppi fondamentalisti a chiunque critichi la norma o ne caldeggi la revisione. «Sono necessarie delle modifiche che impediscano l’abuso della legge», dichiara ad ACS Peter Jacob, auspicando leggi che garantiscano una maggiore tutela delle minoranze, pari diritti per tutti i cittadini e favoriscano l’armonia interreligiosa.
«A dispetto delle enormi difficoltà – afferma l’attivista - la comunità cristiana trova ancora la forza di continuare a lottare e far sentire la propria voce. Proprio come fece Shahbaz Bhatti: una figura che incarna pienamente l’anima dei cristiani pachistani».
Pakistan, blasfemia: resta in carcere Asia Bibi, nuovo rinvio per l'udienza dell'appello
L’Alta Corte di Lahore ha annullato l'udienza del processo di appello per Asia Bibi. Cristiana, madre di cinque figli, accusata di blasfemia è in carcere, con una condanna a morte, dal 2009. La pena capitale è stata sospesa in attesa del processo d’appello che ancora non si è celebrato. Intervista a Mobeen Shahid, docente di pensiero e religione islamica alla Pontificia Università Lateranense e fondatore “dell’Associazione Pakistani Cristiani in Italia”, realtà voluta dal ministro cattolico per le minoranze, Shahbaz Bhatti, ucciso da fondamentalisti islamici, in Pakistan, nel 2011:
R. - In Pakistan i giudici hanno paura di affrontare i casi sulla blasfemia perché non solo gli avvocati, ma anche i musulmani si mettono contro di loro oltre ai gruppi militanti che li minacciano. Il caso di Asia Bibi, spostato alla prossima udienza, è l’ennesimo esempio di questo “gioco” che accade già da alcuni anni, da quando Asia Bibi è in carcere. Nessun giudice ha il coraggio.
D. – Manca il coraggio di giudicare ma Asia Bibi è anche innocente…
R. – E’ stata giudicata innocente sia dal governatore Salman Taseer - ucciso proprio per questo - ed anche da colui che si è impegnato per la sua liberazione Shahbaz Bhatti, ucciso per aver difeso questa donna, madre di cinque figli. In Pakistan è sufficiente essere accusato di blasfemia anche senza prove; a tal riguardo voglio richiamare la vostra attenzione in particolare sul fatto che il popolo pakistano ed il popolo che vive al sud del continente è profondamente religioso e mai commetterebbe questo reato. In Pakistan si sta verificando più che altro un abuso della legge sulla blasfemia.
D. – Come sta Asia Bibi, che cosa dice e come vive le sue giornate?
R. - Asia Bibi è stata spostata nel carcere di Sheikhupura – verso il Sud del Paese – e per la famiglia è molto difficile raggiungerla, tant’è che non può incontrare le sue figlie in maniera molto frequente. Vive un forte stress ed abbiamo saputo che ha subito minacce dalle compagne prigioniere: la odiano proprio perché secondo loro lei ha commesso blasfemia. In questo modo la situazione diventa per lei ancora più difficile.
D. – Qual è lo scenario giuridico che ha comunque di fronte Asia Bibi?
R. – Nel caso in cui l’Altra Corte di Lahore confermasse la prima sentenza, si dovrà procedere con un altro appello presso la Corte Suprema del Pakistan; alla fine si potrebbe anche arrivare al perdono da parte del presidente della Repubblica.
D. – Ovviamente, se dovesse essere invece riconosciuta innocente la cosa si chiuderebbe…
R. – Sì. Se l’Alta Corte di Lahore la ritenesse innocente la prima sentenza verrebbe cancellata.
D. – Qual è la condizione delle minoranze in Pakistan, in particolare dei cristiani?
R. – Oggi, davanti al fanatismo religioso – in questo caso islamico - con cui hanno a che fare, i governi si trovano senza strumenti sufficienti per la difesa delle minoranze. In questo caso i cristiani in Pakistan oggi sono una realtà perseguitata.
D. – Ci sono state tante manifestazioni per modificare la legge sulla blasfemia: a che punto si è adesso?
R. - Shahbaz Bhatti fu nominato dal presidente per la Commissione per la revisione della legge sulla blasfemia, Asif Ali Zardari, e fu ucciso proprio per mano del Tehrik-i-Taliban Pakistan… gruppi che hanno minacciato ultimamente Paul Bhatti ed altri familiari. Paul Bhatti è il fratello di Shahbaz Bhatti ed il suo successore politico. È difficile modificare la legge sulla blasfemia perché all’interno del Parlamento pakistano ci sono partiti religiosi islamici ed inoltre almeno quasi 90 gruppi alleati dei talebani sul tutto il territorio nazionale. Appena viene toccata la legge sulla blasfemia chi è responsabile viene attaccato ed anche coloro che difendono i casi dell’abuso della legge sulla blasfemia sono sotto minaccia. Tutto ciò rende difficile il lavoro in difesa dei cristiani.
D. – Voi comunque non vi arrendete. Cosa servirebbe?
R. – Servirebbe promuovere la cultura di armonia nazionale, di armonia interreligiosa, alcuni Ulema importanti in Pakistan sono disponibili a lavorare ma non è solo con qualche conferenza che si può risolvere questo problema. Bisognerebbe coinvolgere i media pakistani ed anche quelli internazionali per creare tolleranza tra le religioni e tra i fedeli delle varie religioni.
D. – Domenica sarà il terzo anniversario dell’uccisione di Shahbaz Bhatti, ci sarà un importante evento a Roma…
R. – L’associazione dei pakistani cristiani in Italia e la federazione delle associazioni dei pakistani cristiani hanno organizzato una Messa a Via del Corso, 45 nella Chiesa di Gesù e Maria. Colgo questa occasione per invitare chiunque volesse essere presente per pregare, non solo per il nostro martire Shahbaz Bhatti ma per tutti i martiri cristiani del Pakistan.
Radio Vaticana 27 02 2014
PAKISTAN - Giovane cristiana uccisa dai talebani per aver aiutato un convertito dall’islam
Una giovane ragazza cristiana è stata uccisa dai talebani pakistani nella regione settentrionale del Pakistan. Come appreso dall’Agenzia Fides, la ragazza, conosciuta con lo pseudonimo di Lily, aveva trascorso alcuni mesi in fuga e nel nascondimento con suo cugino, un musulmano convertitosi al cristianesimo alcuni anni fa. Dopo la conversione, l’uomo è considerato “apostata” e da allora è nel mirino dei talebani, che intendono eliminarlo. Nei giorni scorsi alcuni militanti hanno scoperto il nascondiglio dei due: nella fuga la ragazza è stata raggiunta da un proiettile e uccisa, mente l’uomo, per ora, è riuscito a scappare. In una nota inviata a Fides, la comunità cristiana esprime sdegno e sconcerto, chiedendo l’intervento delle istituzioni civili per difendere i diritti delle minoranze e di tutti i cittadini contro le violenze talebane.
(Agenzia Fides 3/3/2014)
NIGERIA: Attacco Boko Haram ad un liceo nigeriano: il cardinale Onaiyekan, violenza indiscriminata
Un atto “efferato, brutale e insensato”. Con queste parole il presidente della Nigeria Goodluck Jonathan ha condannato l’ennesima azione degli estremisti islamici di Boko Haram che ieri notte hanno attaccato il liceo federale di Bani Yadi, nello Stato nord orientale di Yobe, uccidendo brutalmente 43 studenti, quasi tutti maschi di età compresa tra gli 11 e i 18 anni. Poi hanno dato alle fiamme l'edificio scolastico e si sono dileguati nel buio. Nonostante lo stato d’emergenza proclamato a maggio dalle autorità federali, sono dunque stati presi di mira ancora una volta dei giovani inermi, ritenuti “colpevoli” dai Boko Haram di volere una educazione “all'occidentale”. Dall'inizio dell'insurrezione contro il governo, nel 2009, i miliziani hanno già compiuto eccidi di questo genere in numerose scuole e luoghi di culto, soprattutto cristiani. Ce ne parla il card. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, intervistato da Giada Aquilino:
R. – Hanno colpito i ragazzi e risparmiato le ragazze, alle quali hanno detto di andare a casa a sposarsi e di non perdere tempo con la scuola. La loro idea è che la scuola “all’occidentale” non solo non sia utile, ma sia anche dannosa. Secondo il loro modo di pensare, l’unica maniera per formarsi sarebbe quella islamica. Abbiamo visto che oggigiorno la formazione dei giovani a livello scientifico è uguale dappertutto, in tutto il mondo. Questa gente invece rifiuta l’insegnamento moderno.
D. – Perché i Boko Haram agiscono con tanta violenza?
R. – Non saprei dirlo. Anche per noi nigeriani è qualcosa di incomprensibile. Cosa ci può essere nella testa di questa gente, che circonda il dormitorio di una scuola con ragazzi e ragazze, che non hanno fatto niente, che dà loro fuoco e che - a coloro che cercavano di scappare - taglia la gola? Questo per noi nigeriani è una crudeltà, una violenza che non ha senso. Qui non si tratta di un attacco contro una chiesa o contro una scuola cattolica: la religione qui non c’entra! Uccidono così anche i musulmani.
D. – Anche i musulmani, cioè, che non sono allineati con le loro idee vengono uccisi?
R. – Il che vuol dire la grande maggioranza dei musulmani nigeriani. Allora si tratta di una violenza indiscriminata. Ho provato tanta pena, tanto dolore, come tutti i nigeriani, sia musulmani, sia cristiani.
D. – Allora perché molta stampa internazionale, quando si evoca la Nigeria, parla di violenze a sfondo religioso?
R. – Sembra che sia quasi diventato un dogma. Ogni volta che c’è un disordine, la stampa parla di cristiani e musulmani. E’ lo stesso problema che ha adesso la Chiesa del Centrafrica. La stampa internazionale, infatti, parla sempre di milizie cristiane e la Chiesa centrafricana ha detto: “Non abbiamo organizzato alcuna milizia”. Anzi, la leadership dei cristiani e dei musulmani in Centrafrica ha fatto dei tentativi per agire insieme, per calmare le acque e risolvere i problemi.
D. – Nel suo primo messaggio Urbi et Orbi, Papa Francesco ha ricordato la Nigeria e ha pregato per convertire il cuore dei violenti, affinché prevalgano il dialogo e la pace. Ecco: per dove passano in Nigeria il dialogo e la pace oggi?
R. – Preghiamo sempre, come dice il Santo Padre: preghiamo affinché Dio cambi il cuore dei violenti. Dobbiamo credere anche che Dio può, quando vuole, come vuole, agire nel cuore di questa gente. Un’altra cosa poi è il dialogo: dialogare vuol dire che le parti si mettono insieme, sono d’accordo per parlare. Ma quando non c’è la volontà di parlare, né il forum per parlare, come si può dialogare? Questo è il problema che abbiamo adesso in Nigeria. Credo, però, che il governo potrebbe fare di più: se ci fossero dei musulmani che nelle loro moschee, nelle loro comunità, parlassero con Boko Haram e poi venissero a dare dei riscontri al resto del Paese, forse si potrebbero compiere dei progressi. Radio Vaticana 26 02 2014
Siria: gruppo jihadista impone regole di sottomissione ai cristiani di Raqqa
Un gruppo jihadista legato ad al Qaeda ha diffuso una serie di regole che i cristiani di Raqqa devono seguire per essere "protetti". Fra queste vi sono una tassa, compiere i riti al chiuso, non indossare nessun segno cristiano evidente. Gli estensori delle regole (che essi chiamano "accordo") - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono i membri dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante(Isil), un gruppo che ha radici in al Qaeda dell'Iraq e che vuole costruire un unico califfato che abbraccia tutto il Medio oriente, l'Africa settentrionale, l'Andalusia e l'Italia meridionale, antichi possedimenti arabi e islamici. Raqqa, città del nord della Siria, aveva 300mila abitanti prima dell'inizio della guerra civile nel marzo 2011. Fra questi, l'1% era cristiano. Ora molti abitanti sono fuggiti e la città è nelle mani dell'Isil, che ha diffuso il testo dell'accordo sui siti jihadisti. Sotto la minaccia di essere trattati con violenza, i cristiani devono pagare la "jiziya", l'antica tassa obbligatoria per i non musulmani. I cristiani ricchi dovranno pagare una somma pari al valore di 13 grammi di oro puro (mezza oncia); quelli della classe media metà della somma; quelli della classe povera un quarto. I cristiani non devono esporre croci o simboli della loro fede in ambienti frequentati dai musulmani e soprattutto al mercato; non devono usare altoparlanti per il richiamo alla preghiera; devono compiere i loro riti a porte chiuse all'interno degli edifici di culto. Il gruppo esige anche che i cristiani si conformino alle regole sul vestire in modo modesto imposte a tutti gli abitanti. Ai cristiani è vietato portare armi , come pure restaurare chiese e monasteri della zona. Chi non si attiene a queste regole, avrà il destino assegnato alla "gente della guerra e della ribellione", cioè l'uccisione. L'Isil fa parte delle frange più estremiste e islamiste dell'opposizione a Bashar Assad. Dal gennaio scorso è in atto una guerra senza quartiere fra i gruppi laici e islamici dell'opposizione, come pure fra quelli islamisti più radicali o meno. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, gli scontri fra i due campi hanno causato la morte di almeno 3300 persone, dei quali 924 fra i membri del Siil. Gli oppositori si stanno coalizzando contro l'Isil, accusato di "fare il gioco di Assad". Proprio ieri, il Fronte Al-Nusra (Al Qaeda in Siria) ha lanciato un ultimatum di cinque giorni contro l'Isil perché metta fine al conflitto interno, presentandosi davanti a un tribunale religioso. Radio Vaticana 28 02 2014