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2013 10 09 SOMALIA: 10 anni dall’omicidio di Annalena. SIRIA: Testimonianza sul perché i cristiani restano. COLOMBIA: Due sacerdoti uccisi. TERRA SANTA: Atti intimidatori. EGITTO: la lunga lista delle chiese bruciate dai Fratelli Musulmani

Fonte:
CulturaCattolica.it

SOMALIA - L’opera di Annalena Tonelli è ancora viva a 10 anni dal suo omicidio
Sono passati 10 anni dall’uccisione di Annalena Tonelli, la volontaria italiana che per 33 anni ha assistito le popolazioni somale colpite dalla tubercolosi. Annalena venne uccisa la sera del 5 ottobre 2003 nella struttura sanitaria da lei diretta e fondata Boroma, nel Somaliland (nord Somalia) da due uomini armati.
Nel giugno dello stesso anno le era stato conferito il Premio Premio Nansen per i Rifugiati, il riconoscimento assegnato ogni anno dall’Alto Commissariato per le Nazioni Unite (UNHCR) a persone o gruppi che si sono distinti per "l'eccellente servizio alla causa dei rifugiati”.
“Sono partita per l’Africa decisa a ‘gridare il Vangelo con la vita sulla scia di Charles de Foucauld” aveva detto Annalena all’Agenzia Fides.

Radio Vaticana ha dedicato un servizio:

Una vita dedicata ai poveri: dieci anni fa veniva uccisa nel Somaliland Annalena Tonelli

Il 5 ottobre del 2003 veniva uccisa a Borama, nel Somaliland, la missionaria laica Annalena Tonelli. Due sicari le spararono alla testa, ponendo fine a una vita dedicata ai poveri e ai malati nel Corno d’Africa.(Il servizio è di Elvira Ragosta):

“Volevo seguire Gesù e scelsi di essere dei poveri”, così diceva di se stessa Annalena Tonelli, la dottoressa in legge che a 26 anni si trasferì in Kenya per insegnare inglese. Da lì, poi, iniziò la sua missione nel Corno d’Africa al fianco dei poveri e dei malati di tubercolosi. Miela Fagiolo d’Attilia, coautrice del libro “Io sono nessuno”, sulla figura e la missione della Tonelli, la ricorda così:

R. - Annalena era un vulcano, un concentrato di vita, una manager della solidarietà. In Africa la sua vita è cambiata completamente, perché la sua missione come insegnante prima e poi attraverso i bambini e il contatto con le famiglie, l’ha portata a conoscenza con un mondo di sofferenza, in particolare nei confronti della Tbc, soprattutto nei nomadi somali che vivevano in Kenya.

D. - Ed è proprio nel nord-est del Paese che il governo locale la pone a guida di un progetto sulla tubercolosi…

R. - Praticamente lei crea dei centri, dove cura i nomadi somali con una nuova terapia, chiamata Dots - sperimentata lungamente, approvata poi dall’Oms e applicata oggi in molti altri Paesi del mondo - per curare la tubercoli con tempi molto abbreviati per rispettare proprio le esigenze dei nomadi. A Wajir, Annalena costruisce un grande villaggio, il Tbc Manyatta, in cui ospita i nomadi, ma anche le famiglie dei nomadi. Annalena non accoglieva gli ammalati, accoglieva l’uomo: per amore di Cristo accoglieva il fratello. A tutti i ricoverati dava il Corano, perché imparassero a capire che cos’era la loro religione: traduceva con loro il Corano dall’arabo in somalo, poi gli dava un quaderno e una matita. Questo perché potessero imparare a scrivere e a leggere.

D. - Si racconta anche come per sfamare le persone cucinava in grandi fusti, prima utilizzati come contenitore di carburanti per gli aerei…

R. - Sì, questo è stato in una Mogadiscio in fiamme, dopo l’uccisione di mons. Colombo. Eravamo nel 1992-93 e Annalena era una delle poche italiane nella zona.

D. - La missione di Annalena Tonelli finisce il 5 ottobre del 2003: due sicari le sparano alla testa. Perché viene uccisa?

R. - E’ stata molte volte, nella vita, picchiata, rapita, minacciata, derubata perché la sua testimonianza di amore creava molte turbative all’interno di un contesto omogeneo musulmano, somalo, già diviso dalle rivalità di clan. Era amata e odiata al tempo stesso!
A Borama l’ospedale e la scuola per bambini sordi da lei fondati continuano ad operare.
(RV 05 10)

Portare l'amore e l'unità: una testimonianza sull'impegno dei cristiani rimasti in Siria
(Servizio da Radio Vaticana)

Sulla condizione economico–sociale che si vive oggi nel Paese, Adriana Masotti ha raccolto la testimonianza di Giovanna, un’italiana in questi giorni a Roma, ma che da anni abita in Siria:

R. - In Siria, la vita continua a essere terribilmente difficile per tutti: per la paura, per lo stress e la povertà che comincia a toccare larghissime fasce della popolazione. I prezzi sono alle stelle, la gente pensa solo a garantirsi il cibo perché tutto il resto è diventato superfluo. In questi ultimi giorni, per esempio, in certe zone di Aleppo una bombola di gas ha raggiunto il presso di 18 mila lire siriane che corrispondono a un buon stipendio mensile e la rabta, il pacchetto di otto pezzi del buon pane arabo, adesso sfiora le 800 lire, mentre l’anno scorso lo si trovava a 45. Le scuole hanno riaperto da poco, ma un quaderno che prima costava 100 lire, adesso ne costa 600. L’insicurezza nel Paese è sovrana: in tante località o quartieri delle città si convive con il rischio, e quando si esce di casa ci si chiede: “Rientreremo?”. Poi per quanto riguarda i rapporti tra la gente, in questi due anni e mezzo di conflitto ho visto il dialogo diventare sempre più difficile e a volte diventare impossibile; ho visto calpestata la cultura di convivenza pacifica dei siriani anche se la gente, in tante parte del Paese, continua a voler vivere insieme. Bisogna poi dire che l’odio tra sunniti e alawiti diventa sempre più reale. A livello di popolo con l’inizio delle violenze, è poi cominciata a serpeggiare tra i cristiani la paura anche per l’entrata nel Paese di gruppi armati terroristici dichiaratamente ostili ai cristiani, i quali possono essere uccisi solo perché portano questo nome.

D. - E infatti in tanti hanno lasciato il Paese. Ma tanti altri hanno deciso di restare. Che cosa li ha spinti a rimanere?

R. - Hanno scoperto che è bene restare nel proprio Paese perché hanno preso coscienza di avere un ruolo come il lievito nella massa. Noi ci sentiamo con tanti alla scuola di Gesù, che ci ripete: “Ama! Amate! Restate uniti! Perdonate!”. E allora, ed è quasi un miracolo che ci stupisce, viviamo per così dire fuori di noi, per gli altri, non pensiamo che ad amare, ad aiutare con azioni concrete: c’è chi ha perso la casa, il lavoro. Continuiamo soprattutto a disarmarci di fronte ai risentimenti, alla rabbia che si può provare nel cuore. E questo ci fa restare in una certa “normalità”.

D. - Anche lei, anche se appunto di origini straniere, ha deciso di restare in Siria. Qual è l'esperienza che sta vivendo in questi anni?

R. - Direi che è una forte esperienza di Vangelo. Di fronte all'assurdità della guerra e alle domande che la morte e la distruzione suscitano, la risposta non è mai scontata: ogni volta devo pescarla in fondo al cuore, alla mente, dove risuona ben chiaro quel grido di Gesù: "Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?". E, a volte, riesco solo a ripetere: "Nelle tue mani, Padre, affido il mio spirito!". Un giorno, dopo l'ennesimo attentato mi sono chiesta se la mia vita non avesse forse più senso in un altro posto. Mi ha sorpreso la forza e la chiarezza della risposta che mi sono trovata dentro: "No! Perchè tu vivi per amare e qui o là è la stessa cosa!". Ed è questo che mi convince a continuare, insieme agli altri, a restare in Siria.

D. - Come per ogni guerra, è difficile da fuori conoscere la verità di quanto sta accadendo a livello politico. Ci può aiutare a fare un po’ di chiarezza?

R. - Io non mi sento all’altezza di fare un’analisi politica, però posso testimoniare che la crisi ha colto impreparata la stragrande maggioranza dei siriani. Di fronte al vacillare della sicurezza e della pace c’era chi voleva che questa sicurezza e questa pace rimanessero a tutti i costi. C’era chi invece in nome della libertà, delle riforme, o anche di altri interessi era pronto a metterle in gioco. Dall’inizio delle manifestazioni di protesta, gran parte della popolazione era con il presidente, poiché vedeva in lui la persona capace di procedere sulla via delle riforme e di evitare al Paese di cadere nell’anarchia. C’era poi una parte della popolazione che subito ha dichiarato la mancanza di fiducia nel regime, ma ha mantenuto il desiderio che la Siria rimanesse unita. Invece, purtroppo, poche settimane dopo l’inizio delle prime manifestazioni, abbiamo visto che forze di provenienza - anche lontana - si sono infiltrate nel Paese per dividere e frazionare il tessuto sociale che fino ad allora si appoggiava sulla laicità e armi e soldi sono stati distribuiti in grande abbondanza da Paesi vicini e lontani. Poi nel corso del conflitto, si sono manifestati altri progetti, come per esempio, quello di islamizzazione del Paese secondo modelli integralisti e quello economico legato alla produzione del gas.

D. - Si è arrivati ad un passo dall’intervento armato dei Paesi occidentali, per fortuna l’ipotesi sembra ora che si sia allontanata. Che cosa potrebbe invece veramente portare la pace in Siria?

R. - Mi sembra che non si uscirà da questa guerra civile se non con il cessare immediato dei combattimenti e con la volontà sincera di dialogo da entrambe le parti guardando al bene della popolazione che è la vera ricchezza del Paese.

D. - Che cosa può fare l’opinione pubblica, ciascuno di noi, le comunità cristiane per sostenere tutto il popolo siriano?

R. - Occorrerebbe che tutti diventassimo delle sentinelle della pace, cioè non credere assolutamente mai che la via della guerra sia quella giusta. Occorrerebbe, forse, anche uscire da una certa pigrizia intellettuale che ci lascia contenti delle informazioni ricevute, senza approfondire, e ancora promuovere sicuramente, come già si sta facendo, aiuti umanitari e pregare come a Piazza San Pietro. Io non posso descriverle che cosa abbia significato per la Siria quella giornata di digiuno e di preghiera del 7 settembre. Lì la speranza è sbocciata. Una mia collega musulmana ha commentato: “Noi abbiamo capito molto bene oggi come in tutto il mondo i cristiani fanno la loro guerra all’odio con la preghiera e come sono sicuri che arriveranno alla pace proprio attraverso la preghiera”.

COLOMBIA - Uccisi due sacerdoti nella loro parrocchia
Don Héctor Fabio Cabrera e don Bernardo Echeverri, della parrocchia di San Sebastián del municipio di Roldanillo, nel dipartimento della Valle del Cauca, arcidiocesi di Cali, sono stati uccisi nella loro abitazione. Secondo fonti locali dell’Agenzia Fides, il crimine sarebbe stato compiuto intorno alla mezzanotte o nelle prime ore seguenti di questa mattina, 28 settembre. Intorno a quell’ora alcuni abitanti della zona hanno visto due uomini uscire dalla parrocchia e allontanarsi in motocicletta. Insospettiti per l’ora tarda, hanno avvisato la polizia, che ha trovato il corpo senza vita del parroco e del suo collaboratore nelle rispettive stanze, con ferite di arma bianca.
(Agenzia Fides 28/9/2013)

TERRA SANTA - Cristiani in marcia per denunciare gli atti intimidatori dei coloni estremisti
Una marcia spontanea dei cristiani di Gerusalemme ha attraversato lunedì 7 ottobre le vie della Città Santa per denunciare le ricorrenti profanazioni perpetrate da gruppi di coloni ebrei estremisti a danno di luoghi di culto cristiani. Un gruppo di più di cento cristiani si è ritrovato alla Basilica del Santo Sepolcro per poi dirigersi verso il cimitero cattolico latino e quello anglicano, profanati nelle scorse settimane con scritte razziste tracciate sui muri e con il danneggiamento di tombe. I partecipanti al piccolo corteo, seguendo una croce di legno, hanno cantato e recitato preghiere lungo il cammino, diffondendo anche un comunicato in cui si denunciano gli atti intimidatori contro monasteri, cimiteri, chiese e moschee come espressione di impulsi razzisti. “Si è trattato di una manifestazione spontanea per denunciare i ripetuti attacchi contro i Luoghi Santi realizzati da una minoranza irresponsabile, che mette a rischio la pacifica convivenza tra i popoli e tra le persone” riferisce all'Agenzia Fides il Vescovo William Shomali, Vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme.
La serie di atti intimidatori compiuti a danno di monasteri, chiese e cimiteri cristiani è iniziata nel febbraio 2012. Da allora, siglandosi spesso con la formula “il prezzo da pagare”, militanti oltranzisti di gruppi vicini al movimento dei coloni hanno portato attacchi anche contro moschee frequentate dagli arabi palestinesi di religione islamica. (Agenzia Fides 8/10/2013).

EGITTO: ecco la (lunga) lista delle chiese bruciate dai Fratelli Musulmani nel mese di settembre.
Sessanta chiese bruciate, assaltate e saccheggiate, scuole e conventi cristiani depredati. È il bilancio realizzato da L’Œuvre d’Orient

Sessanta chiese bruciate, assaltate e saccheggiate, decine di proprietà dei cristiani date alle fiamme e depredate. È il bilancio di quanto è stato distrutto in Egitto dai Fratelli Musulmani dal 14 agosto alla fine di settembre, quando gli islamisti si sono vendicati sui cristiani per l’uccisione di molti membri della Fratellanza da parte dell’esercito. La lista è stata realizzata da L’Œuvre d’Orient e confermata dalle più alte cariche religiose egiziane.

Lista degli edifici cristiani incendiati o saccheggiati dal 14 agosto 2013

I – Chiese depredate, saccheggiate e incendiate interamente o bombardate

Governatorato di Minya
1. Chiesa copta ortodossa della Santa Vergina e Anba Abram, la struttura di servizio, la casa del vescovo, l’asilo nel villaggio di Dalga
2. Chiesa copto ortodossa di San Mina e la sua clinica
3. Chiesa Battista situata a Béni Mazar
4. Chiesa del Principe Tawadros, in via El Hosseiny
5. Chiesa evangelica III
6. Chiesa evangelica nella tenuta di Gad El Sayed
7. Chiesa Anba Moussa El Asswad, nel quartiere di Abou Helal sud
8. Chiesa Khalas El Nefous, in piazza «Palace»
9. Chiesa san Mina, in via di Markaz, Béni Mazar
10. Chiesa evangelica, a Mallawi

Governatorato di Sohag
11. Chiesa copta cattolica di san Giorgio, le strutture di servizio, il terreno del vescovo
12. Chiesa di san Marco, le strutture di servizio, in via «El Kahraba»
13. Chiesa della Santa Vergine e Anba Abram

Egitto. Islamisti bruciano una chiesa e distruggono la croce
Governatorato di Fayoum
14. Monastero del Principe Tawadros, El Chatbi, villaggio «El Nazla», Youssef El Seddiq
15. Chiesa copta ortodossa della Santa Vergine, village «El Nazla», Youssef El Seddiq
16. Chiesa di Santa Demiana, villaggio El Zerbi, Tamia
17. Chiesa evangelica, villaggio El Zerbi, Tamia
18. Chiesa del Principe Tadros, villaggio Dassia

Governatorato di Suez
19. Chiesa dei Padri francescani e la loro scuola in via 23
20. Chiesa Antica, in via «Paradis»
21. Chiesa evangelica, in via dell’Esercito

Governatorato di Assiut
22. Chiesa di San Giorgio, in via Kalta
23. Chiesa apostolica, in via El Namis
24. Chiesa San Giovanni, a Abanoub
25. Chiesa avventista, in via YousriRagheb
26. Chiesa riformista
27. Chiesa di Santa Teresa

Governatorato di Giza
28. Chiesa della Santa Vergine, via 10, Boulaq El Dakrour
29. Chiesa della Santa Vergine, Kerdassa

Governatorato del Sinai del Nord
30. Chiesa di San Giorgio, in via luglio, El Arich

Governatorato di Suez
31. Convento delle suore del Buon Pastore e la loro scuola, la chiesa del convento in via dell’Esercito

Altri
32. Chiesa evangelica, villaggio Moncha’at Badin, Samalout, Minya
33. Sede vescovile di san Giovanni Battista, Kousseya, Assiut
34. Chiesa copto cattolica della Santa Famiglia, Mallawi, Minya
35. Chiesa evangelica II, Mallawi, Minya
36. Chiesa di San Giorgio e Abou Seifein, villaggio Lahassa, Maghagha, Minya
37. Chiesa apostolica, centro medico annesso, in via Omar, Abou
Helal, Minya
38. Chiesa di San Mina, Béni Mazar, Minya

II – Chiesa attaccate e assediate con pietre, bombe molotov, bastoni
1- Chiesa copto cattolica di San Marco, quartiere Abou Helal sud, Minya
2- Chiesa dei Padri gesuiti, quartiere Abou Helal sud, Minya
3- Chiesa della Santa Vergine, in via El Gazzarin, quartiere Abou Helal sud, Minya
4- Sede vescovile San Giovanni Battista, Kousseya, Assiut
5- Chiesa della Santa Vergine, Quéna
6- Sede vescovile di Atfih, Giza
7- Chiesa dei due martiri, villaggio di Sol, Atfih, Giza
8- Chiesa della Santa Vergine, a Saf, Giza
9- Chiesa di San Giorgio, Bacous, Alessandria
10- Chiesa Anba Maximos, via 45, Alessandria
11- Sede vescovile di Mallawi, Minya
12- Sede vescovile copto ortodossa, monastero Mawas, Minya
13- Chiesa dell’Angelo, via El Namis, Assiut
14- Sede vescovile copto ortodossa, Abou Tig, Assiut
15- Chiesa della Santa Vergine, Kafr Abdo, 6 ottobre
16- Chiesa di San Giorgio, El Wasta, Beni Suef
17- Chiesa Abou Seifein, El Rachah, Ezbet el Nakhl, El marg, Il Cairo
18- Chiesa della Santa Vergine, Mansouréya, Giza
19- Chiesa di San Giorgio, Kodsika, Maadi, Il Cairo
20- Chiesa di San Mina, Béni Mazar, Minya
21- Chiesa di San Giorgio, giardino di Helwan, Giza
22- Monastero Abou Fana, isolato e rimasto senza provvigioni, Mallawi, Minya

III – Scuole e conventi bruciati
1- Scuola copta per bambini, via El Hosseiny, Minya
2- Scuola e convento delle suore di San Giuseppe, Minya
3- Scuola del Buon Pastore, Minya (interamente saccheggiata, non bruciata)
4- Scuola e convento delle suore francescane, Beni Suef
5- Scuola francescana, Suez
6- Scuola copto cattolica del Buon Pastore, di fianco al commissariato di polizia, Mallawi, Minya
7- Scuola dei padri gesuiti, Minya

IV — Strutture di proprietà delle chiese interamente bruciati
1- Associazione degli amici del Vangelo, Fayoum
2- Club dei Giovani cristiani (YMCA)
3- Asilo per bambini – Soldati di Cristo, Minya
4- Libreria «Casa del Vangelo», Minya
5- Centro d’attività dei gesuiti e dei frati, Minya
6- Nave «El Dahabeya», di proprietà della chiesa evangelica, Minya
7- Libreria «Casa del Vangelo», Assiut
8- Casa dei sacerdoti e struttura di fianco alla chiesa copto cattolica di San Giorgio, Dalga, Minya

V — Case, farmacie, magazzini, hotel appartenenti a copti saccheggiati e bruciati interamente
1- 58 case in luoghi diversi sparsi per l’Egitto, i proprietari sono stati cacciati
2- 85 magazzini
3- 16 farmacie
4- 3 hotel: Horus, Sawssana, Akhenaton
5- 75 autocarri e macchine appartenenti a chiese o cristiani copti

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