Il comunismo e il muro di Berlino non hanno travolto Solzenicyn
Oggi, chi ricorda più la testimonianza del dissidente per antonomasia Aleksandr Solzenicyn? Con la sua barba folta da starez folle per Cristo, con i suoi voluminosissimi libri, egli vive, ottantatreenne, nella sua Russia: ma è in esilio, simile a Catone, custode del Purgatorio dantesco- Autore:
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Solzenicyn sta a guardia de monte salendo il quale si ottiene la massima libertà, il colle della "verità che rende liberi". A molti spiace il ruvido magistero del russo, e molti hanno lasciato di seguirlo per via del suo stile severo; ma come avrebbe potuto fare altrimenti, essendo stato testimone di un massacro sistematico, totalizzante, sottaciuto? I romanzi di Solzenicyn permettono di esperire il dolore in un girone infernale del XX secolo, il Gulag sovietico, e non in ogni momento la nostra anima è disposta a seguirlo nella penosa discesa agli inferi, dove gli uomini si sono volontariamente mutilati dell'amore di Dio.
In Italia resta oggi il solo Eugenio Corti a rammentarlo: che in Occidente nessuno diede ascolto, a tempo debito, alla testimonianza di un uomo che veniva a riferire la tremenda realtà della rossa utopia (Il fumo nel tempio, ARES, 2001). Se infatti un matematico e romanziere, sopravvissuto ai campi di concentramento comunisti, viene a comunicare che in Urss l'avvento del socialismo reale è costato 60 milioni di morti, subito gli si intima di andarsene, perché nessuno gli ha chiesto di dire la verità. Editori e giornali, intellettuali e accademici e gente comune non ascoltarono Solzenicyn perché avrebbero dovuto rinunciare a essere modernisti, a credere alla scienza come alla religione, a guardare il mondo dalla lente deformante del marxismo.
La conversione mancata della cultura radical-chic occidentale è un emblema della dissoluzione: anziché abbandonare un'ideologia dell'errore, l'europeo medio distolse lo sguardo dall'Europa dell'Est per non vedere la condizione verso la quale si stava dirigendo. Adesso che nel naufragio ci siamo, i libri dell'ottuagenario Solzenicyn andrebbero ripresi, soprattutto i discorsi e andrebbe chiosato a matita tutto quel che separa i nostri giorni dalla vita autentica. "Vivere senza menzogna" è davvero il suo motto.
La rivoluzione parte sempre dall'ateismo scrisse Dostoevskij. "Nel sistema filosofico e nella struttura psicologica di Marx e di Lenin, l'odio contro Dio è il movente e l'impulso principale, non un dettaglio. Il bestiale arcipelago GULag era stato ideato in base al progetto di corruzione morale: si voleva spingere ciascuno a cercare di sopravvivere facendo morire gli altri", annota Solgenicyn.
La caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989 permise però il dilagare della medesima barbarie di qua e di là da esso, come quando si perfora una membrana: scambio letale per cui l'Est svendette il comunismo ormai frusto, l'Ovest esportò in Russia il consumismo di cui era sazio.
Il discorso pronunciato da Solzenicyn nel maggio 1983 ai giovani studenti di Windsor (Ricostruire l'uomo, La Casa di Matriona, 1984) basterebbe a ironizzare le prediche scientiste di molti esperti:
"Giovani amici! Lo sviluppo delle scienze esatte non ha reso migliori gli uomini e non ha elevato il loro livello spirituale; questo sviluppo impetuoso delle comodità non sembra aver aumentato la felicità. Non abbandonatevi alla spensieratezza, non aspettatevi una vita facile. Tutte le tirannie esistite prima del comunismo esigevano solo "quel che è di Cesare", mentre il comunismo chiede che gli venga dato anche "quel che è di Dio". Se cercate qualche analogia a questo fenomeno nel passato, siete in errore. Ah, se l'Occidente sapesse davvero lottare con le parole! Ma voi non sapete mobilitarvi per le vostre idee; non sapete far valere la verità, non avete nessuna certezza. Dovete sempre ossequiare il pluralismo, rimanere a metà su qualunque questione. Avete perso il cuore della democrazia e quindi non avete niente da rispondere al comunismo".
Il messaggio di Solzenicyn tuttavia non è solo negativo, ma come sempre avviene nella tradizione, mira a costruire, talora ironicamente, cioè sopportando: "il comunismo, nonostante tutta la sua incredibile forza, soffre di debolezza spirituale. Esso indietreggia davanti alla volontà ferma anche di un singolo individuo. Quando un uomo decide di resistere sino alla fine, senza curarsi della vita, il comunismo è impotente, perché non può vincerlo neppure uccidendolo: davanti a quest'uomo il comunismo è sconfitto. Bisogna solo decidersi realmente, non assumere una posa, ma disporsi al sacrificio".
Oggi il socialismo reale sovietico è caduto, ma ne resta il cadavere ingombrante. La Repubblica Ceca e la Polonia sembrano essere sul punto di ricadere nell'ideologia. L'opera di Solzenicyn resta dunque tutt'oggi aperta, anche se egli, una volta rientrato in Russia nel 1994, è parso sotto tutti gli aspetti un "esule in patria". Il monumentale documento dei suoi romanzi, saggi e discorsi fa già parte dei propilei del Novecento in quanto indica la caduta dell'uomo in una inedita barbarie, la servitù alla parte peggiore di sé: le pagine solzenicyniane colgono tale universale negli aspetti particolari della rivoluzione sovietica, dello stalinismo, dell'esperienza dei campi di concentramento in Siberia, nella malattia del cancro occorsa all'autore, nell'impossibile rinascita senza un pentimento.
Egli pone il dito nella piaga europea quando dimostra che il totalitarismo esiste anche in Occidente (suoi funzionari sono i giornalisti, veri e propri censori della verità). E ne spiega l'anima nascosta: "il comunismo ha una gran paura della religione e dell'arte, ma solo quando l'arte e la letteratura esprimono la sofferenza dell'uomo e la sua ricerca spirituale. Se invece l'artista si crede autosufficiente e concepisce l'arte come puro divertimento o come mezzo di sfogo a risentimenti e rancori, quest'arte si rivela pericolosa per chi la usa e non per il comunismo".