Dal profondo del GULag, ricordiamo artisti e poeti uccisi dai SOVIET
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Osip Mandel'stam (1891-l938) fu, anche secondo Pasolini, il maggior poeta russo d'inizio Novecento. Pavel Aleksandrovic Florenskij (1882-1937) fu teologo-sacerdote-scienziato definito "il Leonardo da Vinci russo".
Entrambi avrebbero oggi ben altra gloria se le purghe staliniane non li avessero inghiottiti; ben altra grandezza per la loro creatività, irrispettosa dell'oppressione e della censura a quei tempi richiesta dal regime. Disse Florenskij: "è chiaro che il mondo è fatto in modo che non gli si possa donare nulla se non pagandolo con sofferenza e persecuzioni. In effetti da noi in Unione Sovietica si viene puniti anche senza aver fatto niente".
I due, etichettati con la sigla ASE ("elemento antisovietico") passarono la più parte dei propri giorni a subire l'atroce omaggio del campo di concentramento perché accusati di attività controrivoluzionaria: "testimoni", in latino, cioè "martiri", in greco. Mandel'stam, poeta di tempra dantesca, e Florenskij, matematico e mistico, incontrarono la morte nell'arcipelago GULag, alle terribili Solovki, le carceri da cui non si ritorna.
Mandel'stam crebbe nell'epoca delle poetiche futuriste, vorticiste, imagiste, fondò l'Acmeismo, che di ogni avanguardismo fa ironia, e scrisse nel manifesto del 1910 che "il medioevo ci è caro perché possedeva in sommo grado il senso dei limiti e delle barriere. Esso non confondeva mai i vari piani e verso il trascendente aveva un atteggiamento di estremo ritegno. Una nobile mescolanza di raziocinio e mistica e la sensazione del mondo come equilibrio vivo ci apparentano a quell'epoca e ci spinge ad attingere le forze nelle opere sorte sul terreno romanzo intorno al 1200". Imperdibile il suo libretto "Conversazione su Dante" (IL MELANGOLO, 1994) dove dimostra di appartenere alla tradizione dantesca per motivi non banali.
Nel lontano 1974, di Florenskij in Italia apparve come un miraggio lo splendido "La colonna e il fondamento della verità" (Rusconi, 1998²) e, forse perché non allineabile alla critica demistificatrice, non ebbe l'onore di recensione alcuna. A suo tempo, nel 1934, il libro costò all'autore l'arresto, e la trojka che perquisì la casa lo pose sullo stesso piano delle opere "mistiche e pornografiche": esso trattava di conoscenza amorevole di Dio, della Sofia, di amicizia soprannaturale. Florenskij, pope della Chiesa ortodossa russa, scienziato e artista di fervido genio, negli anni Venti e Trenta osò tenere lezioni universitarie vestendo la tonaca bianca del suo sacerdozio; tollerato per qualche tempo, in breve, senza processo, fu inviato ai campi di concentramento di dove non fece più ritorno.
Florenskij era considerato il "Leonardo da Vinci russo": nato nel Caucaso nel 1882, laureato in matematica e poi in teologia, sacerdote ortodosso, in lui dimorava il poeta, il filologo, lo storico, lo scienziato, l'archivista e il pastore d'anime. L'amico filosofo Sergej Bulgakov disse che "in padre Pavel si sono incontrate la cultura e la chiesa, Atene e Gerusalemme". Nel 1914 vide la luce l'opera dal titolo La colonna e il fondamento della verità, sintesi monumentale di pensiero, scienza, arte e preghiera, a paragone della quale i contemporanei scomodarono esultanti Platone e sant'Agostino, Pascal e Kierkegaard. Alle soglie della Grande Guerra, l'intelletto d'amore veniva riscoperto, restaurato e amato.
Il trattato prende la forma letteraria di una raccolta di epistole a un amico lontano: sullo sfondo, le stagioni della Russia avvicendano gloriosi autunni a gelidi e bui inverni, a estati calde di messi e di luce. In primo piano, la sapienza di una tradizione che dalla Grecia classica giunge alla scienza moderna attraverso la prospettiva cristiana. Imperdonabile gesto, per i bolscevichi: il pope Florenskij fu arrestato da una trojka della OGPU (la polizia politica sovietica) nel 1928 per il solo fatto di avere in casa una stampa della famiglia dello zar e condannato alla "decina", dieci anni di gulag duro alle Solovkj.
Graziato per intervento della Croce Rossa Politica, tornò agli amati studi all'Istituto Elettrotecnico e alla Chiesa, presso il monastero moscovita della Trinità-San Sergio. "La sua insolita figura (lunga barba nera, lunga veste bianca, n.d.r.) era troppo diversa dalla massa indifferenziata che marciava baldanzosamente verso il livellamento socialista" scrive Vitalij Sentalinskij in "I manoscritti non bruciano" (Garzanti, 1995). I colleghi comunisti mal sopportavano la sua altissima cultura, unita al coraggio di vestire l'abito sacerdotale anche durante i convegni organizzati dal Partito. Anche dopo la deportazione, misero a frutto le sue capacità: il teologo della santa Sofia e delle stupende Icone entrò nella Commissione per l'Elettrificazione; inventò, tra l'altro, un lubrificante non congelabile per carriarmati. Restava però un ASE, un elemento antisovietico. Negli trascorsi prigioniero nel gulag siberiano, padre Pavel riportò a Dio molte anime, anche di agnostici o atei convinti: teneva sempre un pezzetto di pane per aiutare gli affamati, sostenne molti col pane dello spirito.
Augusto Del Noce, scrivendo su Studi Cattolici nel 1977, lamentava il fatto che nessuno avesse osato parlare di Florenskij, aggiungendo che una rinascita filosofica europea (al di là del genocidio filosofico dovuto al marx-leninismo) sarebbe venuta unicamente a patto di ripartire dai fondamenti gettati dai due padri spirituali della Russia prerivoluzionaria: Vladimir Solov'ev e Pavel Florenskij.
L'esecuzione di Florenskij non avvenne, come si dice nell'introduzione, il 15 dicembre 1945. In realtà, c'è attorno all'evento un mistero: Sentalinskij poté accedere agli archivi del KGB alla Lubianka e indica nell'8 dicembre 1937 la data esatta. Il verbale della Direzione leningradese dell'NKVD (seduta del 25 novembre 1937) recita "fucilare Florenskij Pavel Aleksandrovic", e gli dà il numero di esecuzione 190.
Il libro non è riassumibile. Chi voglia accedervi imparerà sin dalle prime pagine la lezione spirituale della "purezza ovvero verginità", dell'intraducibile vocabolo russo celomudrie. L'itinerario della mente e del corpo procede attraverso le dodici lettere all'amico lontano, passando per la contemplazione estatica dei quaranta azzurri diversi usati dai pittori di icone alle dimostrazioni logico-matematiche dell'antinomicità della verità: al di sopra dei nodi ardui, Florenskij propone "l'esperienza religiosa viva come unico metodo legittimo per conoscere i dogmi". In parole povere, imparare a nuotare gettandosi innanzitutto nell'acqua o scoprire che la verità è viva per i vivi e morta per i morti nello spirito. La lettura riserva anche un regalo dolcissimo che non vorrei guastare parlandone: riguarda nostra madre celeste, la Vergine Maria; si raggiunga la sorpresa, senza gualcirla, a pagina quattrocentoventiquattro.
Vitalij Sentalinskij disse, dopo aver avuto accesso agli archivi del KGB nell'epoca post-gorbaceviana, che "la parte migliore della cultura russa finì per settant'anni a morire nel GULag".
Anche la morte di Mandel'stam, il suo cristiano dies natalis, fu glorioso: ridotto ormai a "uno scheletro con sopra un po' di pelle raggrinzita, levò la testa in alto, orgogliosamente, fece un profondo respiro e crollò a terra"; morirà nei paraggi della Kolyma il 27 dicembre 1938. Commentavano i vecchi credenti russi dell'epoca pre-rivoluzionaria "la gente ha dimenticato Dio, quel che accade ne è la conseguenza".