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L'eresia del XX secolo

Fonte:
CulturaCattolica.it
Ho appena finito di leggere il bel libro di Jean Madiran, L’eresia del XX secolo, chiaro giudizio sul cedimento di parte della Chiesa cattolica rispetto alla cultura moderna. Purtroppo è un testo che difficilmente si trova nelle librerie e che non viene più ristampato.
Pubblico questa pagina illuminante per comprendere la radice della crisi in cui tanti cattolici sono caduti, nella speranza di una autentica riscossa.

Credo che prima di Gilson nessuno aveva realmente liberato il pensiero cristiano dal problema critico kantiano. Egli ha rilevato che un problema posto da una data filosofia non è necessariamente un problema che si ponga automaticamente ad altre filosofie, un problema a cui esse dovrebbero dare una loro soluzione, pena lo squalificarsi. Più precisamente, egli ha avuto modo di mostrare che il problema critico quale Kant lo concepisce si pone unicamente nella prospettiva kantiana e non s’impone obbligatoriamente a ogni pensiero in quanto tale, che dunque l’ignorare il «problema critico» o l’incapacità di dargli una soluzione che non sia, più o meno, quella kantiana, non sono affatto una specie di «prova degli asini» che ci releghi nel campo del pensiero «pre-critico», infantile, dove non si è uno «spirito filosofico». Inoltre è stato notato che porre il problema critico come Kant l’ha posto significa condannarsi a risolverlo allo stesso modo dei kantiani o dei neo-kantiani, ma che non si è per nulla tenuti a porlo negli stessi termini di Kant. In precedenza Gilson aveva mostrato che se si assume il cogito cartesiano come Descartes l’ha concepito, ossia come la sola via d’uscita dal dubbio metodico, si è costretti a sboccare nell’idealismo, ma che non è obbligatorio assumere il dubito-cogito cartesiano. (Il cogito fu virtualmente, una rivoluzione simile al criticismo kantiano, anch’esso avendo la pretesa di superare, declassare e far apparire scaduto tutto il precedente pensiero: ma non credo che, prima di Kant, una virtualità del genere sia stata effettivamente e sistematicamente sfruttata). Dire di una teoria scientifica che essa è anteriore ad una data scoperta e che essa nemmeno la sospettava, ad esempio dire di una biologia che essa è anteriore alla scoperta della circolazione del sangue e che essa nemmeno la sospettava, significa certamente declassarla. Ma dire, di una filosofia, che essa è anteriore al cogito cartesiano o al problema critico kantiano è, in verità, non dir nulla circa il suo valore filosofico.

Analogamente si sostiene che un pensiero anteriore o estraneo alla dialettica hegeliana o marxista è un infra-pensiero, un pensiero prescientifico, intrinsecamente refrattario al senso della storia, che eventualmente si può anche confutare il marxismo o l’heghelianismo, ma ponendosi all’interno della loro dialettica e «superandola». Ogni altra forma di pensiero sarebbe sommaria, elementare, retorica, semplicistica, seguente le vecchie vie, inconsistente. Pertanto «superare» il marxismo significherebbe dare una diversa soluzione ai problemi posti dal marxismo, considerandoli nei termini in cui esso li ha formulati. Ciò equivale a ritenere che un certo problema posto da una filosofia, all’interno di una filosofia, s’imponga ad ogni «spirito filosofico», ad ammettere che un problema (il problema critico secondo Kant) o un metodo (il cogito di Cartesio, la dialettica secondo Hegel o secondo Marx) s’impongano a partire da un dato momento come «la» condizione ormai preliminare e costitutiva «del» pensiero, declassando come infantile, pre-critico e infra-filosofico ogni pensiero anteriore a questa nuova «tappa» della riflessione, e che quindi renda nulla ogni riflessione non tenente conto di quel metodo o di quel problema. È in tale spirito (e non si vede in quale altro spirito) che l’episcopato francese afferma che «la filosofia moderna pone nuovi problemi» e che di conseguenza, con una proposizione di ventidue parole, esclude dalla categoria degli «spiriti filosofici» e colloca nel nulla quei filosofi che dopo Descartes, Kant e Marx si tengono ancora ai concetti di natura e di persona quali erano al quinto secolo e in San Tommaso. Si dà il caso che codesti filosofi considerati inesistenti siano filosofi cristiani e anzi i soli filosofi cristiani che possano dirsi tali senza contraddizione in termini. Ciò non toglie che al bando decretato nei loro riguardi dalla filosofia moderna, dal mondo moderno e dall’Università moderna oggi si associ un episcopato aggiornato.

Naturalmente, questi decreti arbitrari del pensiero moderno determinano anche l’azione: l’atteggiamento cristiano di fronte al comunismo non consisterà più nel dare una risposta o una soluzione cristiana ai problemi sociali quali si presentano agli occhi di un cristiano, ma di dare presunte risposte cristiane ai problemi messi avanti dalla propaganda comunista, quali sono visti e formulati seguendo la visione marxista del mondo. Ora, la particolare impostazione di un problema è determinante per la soluzione di esso. I problemi sociali quali sono enunciati dal marxismo non possono ricevere che soluzioni marxiste. Nessun pensiero, ideologia o dottrina ha bisogno di imporre essa stessa nei particolari le sue soluzioni né di guidare, quasi per mano, le menti fino alle conclusioni più concrete; ad una dottrina basta imporre i suoi problemi così come essa li formula e il suo metodo, quale lo concepisce. Infatti nel modo in cui li enuncia, questi problemi contengono già l’essenziale della visione del mondo, e il metodo, nel modo in cui lo concepisce contiene già l’essenziale del suo atteggiamento del mondo, come esso lo vede.

Per questo, una filosofia veramente onesta, esplicita e rigorosa non comincia con un «problema» o con un «metodo» come han fatto Descartes, Kant e Marx, bensì con uno sguardo come ha fatto la cosiddetta filosofia tomista: con uno sguardo, ossia con una contestazione, con una intuizione dichiarata: come ha fatto lo stesso Bergson. Quando il punto di partenza di un pensiero filosofico è l’enunciazione di un problema o la deduzione di un metodo, la soluzione, il termine, sono già determinati; il vero punto di partenza è anteriore, implicito, larvato, forse inconscio. Ogni filosofia dipende dalla qualità iniziale dello sguardo, dal contenuto iniziale di una intuizione.



Veniamo ingannati col metter mano alla «problematica». Ci si impone l’una problematica invece dell’altra senza dirci il perché, invitandoci però a darvi d’urgenza delle risposte, pena il non essere «positivi» o «costruttivi». Per un secolo, e forse soprattutto sotto Pio XII, il mondo moderno ha accusato il pensiero romano di essere «negativo» perché non dava risposta alcuna all’una o all’altra «problematica» moderna. Non vi dava risposta alcuna perché, di fatto, esso rifiutava la stessa «problematica». – Come!, si protestava, voi continuate a ignorare i problemi del mondo contemporaneo? – Non s’«ignoravano» questi problemi, ma si negava che essi fossero davvero quelli formulati dalla «problematica» moderna. I problemi del mondo contemporaneo non sono gli stessi e non si presentano allo stesso modo nella visione moderna e nella visione cristiana del mondo. Il cristianesimo non dà una risposta alla problematica moderna. Ma la filosofia moderna non è che dia in maggior misura una risposta alla problematica cristiana. Ora, vediamo ogni giorno che l’episcopato, nelle sue monizioni pastorali e sociali, abbandona la problematica cristiana e si mette a diffondere, per proprio conto, la problematica moderna, di preferenza quella marxista. Alla vigilia delle elezioni (già nel 1968 essi fanno il colpo, per la terza o la quarta volta) i vescovi pubblicano un elenco delle questioni alle quali la nostra coscienza dovrà rispondere, votando bene. I vescovi non ci «dettano» il voto, non ci «dettano» la risposta a tali questioni, ci lasciano «liberi». Ma le loro questioni, qualificate come prioritarie, urgenti o fondamentali, sono quelle del Nouvel Observateur o dell’Humanité, l’organo del comunismo francese, espresse negli stessi termini: sono le questioni poste dalla problematica moderna, sono le questioni poste dalla problematica marxista, non sono più quelle poste dalla problematica cristiana. Nel che vi è un vizio di origine e un tranello di natura filosofica: se ne può presentire confusamente e quasi istintivamente l’impostura, ma solo una analisi filosofica può scoprirne il fondo.

L’episcopato francese filosoficamente ha abbandonato tutto e perduto tutto a partire dal momento in cui ha affermato: «La filosofia moderna pone dei nuovi problemi». Certo, la filosofia moderna pone nuovi problemi, ma a chi? I nuovi problemi posti dalla filosofia moderna sono problemi posti unicamente alla stessa filosofia moderna, all’interno di essa, e a cui soltanto la filosofia moderna può dare delle soluzioni. Non sono problemi posti ai cristiani, anzi nemmeno ai vescovi: perché il disaccordo fondamentale tra moderni e cristiani verte sulla posizione del problema. Accettando come obbligatoria e facendo sua la problematica della filosofia moderna, l’episcopato senza saperlo aveva formulato il principio dell’apostasia totale che stava già per vivere. [Jean Madiran, L’eresia del XX secolo, pp. 32-37]

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