Un vescovo di fronte alla pandemia: Mgr de Belsunce e la peste di Marsiglia, 1720
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Henri François-Xavier de Belsunce de Castelmoron nasce da una nobile famiglia aristocratica, protestante, dell’ovest della Francia, il 3 dicembre 1671.
Pur essendo educato e cresciuto nella fede ugonotta, all’età di 16 anni Henri decide di convertirsi al cattolicesimo e di trasferirsi a Parigi per iscriversi al prestigioso Collège de Clermont, appena ribattezzato Collège Louis le Grand in onore di Luigi XIV che ha posto l’istituto sotto la sua tutela.
Nel 1689 i suoi studi proseguono presso i Gesuiti che, intuendo rapidamente le enormi potenzialità del giovane, lo incoraggiano a non entrare nella Compagnia ma a intraprendere una brillante carriera ecclesiastica.
I Gesuiti hanno visto giusto e nelle sue Mémoires, Belsunce non mancherà di ricordarli con infinita gratitudine.
Nel 1703 riceve l’ordinazione sacerdotale.
Dopo essere stato vicario generale della diocesi di Agen, il 5 aprile 1709 il Re Sole lo nomina arcivescovo di Marsiglia, nomina ratificata dal Papa il 19 febbraio 1710, secondo gli algoritmi del gallicanesimo.
Henri de Belsunce sarà Arcivescovo di Marsiglia per 45 anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1755.
Nel 1720, una spaventosa epidemia di peste si abbatte su Marsiglia.
La città è in quarantena. Luigi XIV decide il cordone sanitario: il muro della peste isola la quasi totalità della Provenza (la peste si propaga fino ad Avignone) dal resto della Francia.
È il panico, le strade della città sono piene di cadaveri, le autorità sono colpite dalla malattia e i centri decisionali vengono meno. Organizzare i soccorsi è una missione quasi impossibile.
A prendere in mano la situazione è lui: Mgr de Belsunce.
Senza sosta, costantemente, ogni giorno, il vescovo si batte come un leone per infondere idee e coraggio alle autorità civili, moltiplicare le messe, organizzare processioni, preghiere pubbliche, esorcismi, recarsi presso i malati pagando di tasca propria cibo, abiti, medicine, medici e soprattutto per assicurare l’eucaristia e l’estrema unzione ai morenti.
Il grande Chateaubriand, nel suo capolavoro Mémoires d’outre-tombe, lo ricorda così:
“Quando l’epidemia cominciò a rallentare, Mgr de Belsunce, alla testa di tutto il clero marsigliese, salì alla chiesa di Accoules, che domina dall’alto tutta Marsiglia, le campagne, il mare, il porto. Da lassù benedì, come avrebbe fatto il Santo Padre, la sua città e con essa il mondo intero. Quali mani, se non quelle che più di tutte avevano mostrato indomito coraggio, potevano far discendere, dopo tanta sofferenza, la benedizione del cielo?”.
Il 1 novembre 1720, sul viale che oggi porta il suo nome, durante una messa pubblica, Belsunce consacra Marsiglia al Sacro Cuore di Gesù. Nel punto esatto dove si trovava quel giorno il vescovo dal 1920 sorge la Basilica del Sacro Cuore.
Di quella messa, restano ancora oggi imprese nella memoria dei marsigliesi e di tutta la Francia le parole del vescovo durante l’omelia:
“Dio ne è testimone, davanti a lui sono responsabile dei miei figli. Io non abbandonerò mai il mio popolo di cui sono padre, di cui devo essere padre. Devo la mia vita ai marsigliesi, perché sono il loro pastore”.
Alla fine dell’epidemia, il prestigio di Belsunce è enorme, Luigi XV gli offre la cattedra dell’importante diocesi di Laon, ma Henri sceglie di restare a Marsiglia con la quale il legame è ormai troppo forte.
Si dedica allora alla sua grande passione: riformare la scuola e dare nuova linfa all’insegnamento. Si appoggia sui Gesuiti per creare una rete di scuole primarie e secondarie di grande qualità, aperte anche ai più poveri.
Nel 1737 condanna pubblicamente l’apertura della prima loggia massonica marsigliese.
Nonostante qualche riserva personale, approva l’ingresso di Voltaire nell’Accademia di Marsiglia, da lui presieduta. facendo prova di grande tolleranza.
Negli ultimi anni della sua vita, riflette e pubblica numerosi scritti sull’abbandono della pratica religiosa delle classi borghesi, sempre più attratte dal pensiero liberale e dall’affermarsi della massoneria.
Muore a Marsiglia il 4 giugno 1755, dopo aver lasciato tutti i suoi beni agli ospedali e alle scuole della città. I suoi funerali sono grandiosi.
Una sua statua giganteggia di fronte alla cattedrale Maggiore di Marsiglia, ancora oggi.
In sfregio alla religione cattolica, nell’aprile del 1944 gli occupanti nazisti minacciano di fondere la statua per recuperare i materiali. I partigiani marsigliesi, con un blitz notturno, la mettono in salvo (pesa 2800 kg). Il giorno della liberazione, la statua viene portata in trionfo e ricollocata davanti alla cattedrale.
Sul piedistallo, accanto al bassorilievo che lo raffigura mentre porta la comunione ai malati, possiamo leggere ancora oggi in caratteri d’oro:
A Monsignor de Belsunce, per perpetrare eternamente il ricordo della sua carità e della sua devozione durante la peste che colpì Marsiglia, nel 1720
Nella sconcertante situazione presente, la figura dell’arcivescovo di Marsiglia, Henri de Belsunce è per tutti noi un esempio. Un esempio che ci illumina e ci ricorda che cosa significa essere un Cristiano nelle avversità, cosa significa essere un vescovo, essere un padre.
Luca Costa