Parlare con franchezza
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Ripensando alle parole di Papa Francesco, spesso ripetute, sulla «parresia» riporto queste riflessioni di un amico a proposito di quanto letto sui social

Leggo su “il Sussidiario” di qualche giorno fa l’articolo di don Federico Pichetto sugli appunti del Papa emerito relativi alla questione “pedofilia”; e vedo oggi che l’argomento è ripreso nell’editoriale a cura di Maurizio Vitali.
Desidererei esporre una mia riflessione; siccome non vedo la possibilità di commenti sulla pagina stessa del sito, scelgo questa via.
Riprendiamo subito, in premessa, le affermazioni condivisibili: si esce dallo scandalo “seguendo Papa Francesco”, dice il titolo di don Pichetto: e certamente, il cammino del fedele è illuminato dalle indicazioni del Papa, soprattutto se parla ex cathedra in materia di fede e di morale. Ci mancherebbe. Né è particolarmente saggio e fecondo appiattirsi sui “partiti”, di Bergoglio da una parte (capitanati da Fatto Quotidiano e Repubblica, spiega Vitali) e della parte avversa (capitanati da Libero e dalla Verità).
Sono osservazioni giuste: e tuttavia lo sarebbero anche, e starebbero ugualmente in piedi, se Papa Benedetto non avesse scritto alcun appunto. E invece li ha scritti, e son lì che si possono leggere.
Li avranno letti i Vescovi, partecipanti al summit di un mese e mezzo fa, cui erano destinati? Magari prima di prendere le loro deliberazioni? Ragionevolmente, sembra di no. La cosa mi lascia assai perplesso. E’ legittimo domandarsi come mai?
Allora gli appunti vengono resi pubblici attraverso altri canali, col permesso di Papa Francesco. Nel leggerli, si incontra la parola omosessualità: non buttata lì, ma spiegata nel contesto storico e culturale in cui si è incistata e diffusa. Nel summit di febbraio non c’era: è legittimo domandarsi come mai? Viceversa, non sembra che nel contesto storico e culturale di cui sopra giochi un ruolo decisivo il difetto, pur antipatico, del clericalismo: che invece nei mesi scorsi era il fattore X che spiegava tutto. E’ legittimo farsi qualche domanda?
A me viene in mente, qui, una banale via d’uscita tipica della vita oratoriana e parrocchiale: due discutono vivacemente, e arriva qualcuno che, siccome il bene supremo sono la bontà e l’armonia, tenta di spiegare che in fondo stanno dicendo la stessa cosa. No: con tutta la misericordia del caso, non stanno dicendo la stessa cosa.
Papa Francesco, in più occasioni, ha parlato della liceità di porre questioni, anche da parte dei laici, addirittura di muovere critiche, anche da parte dei vescovi. Facciamolo, tra un articolo e un editoriale possono trovar spazio anche le domande. Ed è forse un modo di costruire, nel rigore e nel rispetto, i passi successivi. Perché temere le “contrapposizioni”? Entrambi gli articoli hanno questo timore nel sottotitolo.
Altrimenti ripetiamo lo strano errore di un anno fa. Uscì una lettera di Papa Benedetto a mons. Viganò (Viganò quell’altro, quello della sala stampa), che peraltro doveva rimanere riservata, contenente alcuni giudizi circa una certa iniziativa editoriale. Ebbene, animati da invincibile buonismo, alcuni sottolinearono solo che Papa Benedetto, nella sua fine benevolenza, parlasse di “continuità interiore” tra lui e il successore. Verissimo, e così eliminiamo le contrapposizioni: ma la lettera parlava anche d’altro, e a mio avviso non era inopportuno leggerla tutta.
Preghiamo per la Chiesa, e per il Papa, come lui chiede sempre.
Fausto Greco, Milano.