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“Padri e figli”

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Se gli uomini potessero scegliere ogni cosa da soli,
per prima cosa vorrei il ritorno del padre».
(Omero, Odissea, XVI)

«C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moderno: è il padre di famiglia».
(C. Péguy, Dialogo della storia e dell’anima carnale)

E’ sempre uno stupore, dopo gli ultimi tornanti che conducono a Illegio, paesino di 340 anime sopra Tolmezzo, varcare la soglia della Casa delle Eposizioni e lasciarsi guidare lungo il percorso in mostra. Da molti anni, in questa piccola località in provincia di Udine, grazie all’intuizione di don Alessio Geretti, si promuovono iniziative che lasciano il segno e che hanno visto la presenza di quasi 400mila visitatori.
Avverto subito chi legge che non voglio spoilerare troppo della XV edizione della mostra internazionale dal tema “Padri e figli”, promossa dal Comitato di San Floriano, che resterà aperta al pubblico fino al 7 ottobre: a Illegio bisogna andare e vedere con i propri occhi, perché le parole non rendono. Così ho fatto. Ho letto poco, anzi pochissimo, e sono andata, fidandomi del fatto che ogni anno sono un regalo prezioso, le mostre allestite in questo caratteristico borgo di montagna, attraversato dalla via dei mulini.
Sono una sessantina, in questa edizione, le opere esposte, e provengono da 40 paesi. Dal Laocoonte al Romanticismo francese, da Guercino a Rubens, da Tintoretto a Stomer, i capolavori presenti vanno dal IV secolo a.C. al XX secolo. Solo l’imbarazzo della scelta.
Entri e ti senti a casa, più delle volte precedenti. Perché, sala dopo sala, ti accorgi che il protagonista vero della mostra non è una tela dipinta, non è un blocco di marmo magistralmente scolpito, ma sei tu, figlio. Sei tu, se la vita ti ha fatto dono di diventare padre. E scorgi, nelle opere che incontri, gli stessi gesti, gli stessi sguardi di tuo padre con te, di te con lui. In quegli occhi di figli, raccontate le stesse tue domande, le stesse tue paure, le speranze. E il richiamo ad un compito.
Ma è soprattutto sulle mani, a mio avviso, che occorre, quest’anno, fissare lo sguardo.
Sono le mani di Ettore che tende Astianatte , nella bella scultura di Carpeaux, perché da che mondo è mondo le madri stringono al petto, i padri hanno il compito di introdurre alla vita, di dare coraggio, di guidare i figli nella speranza che diventino migliori di loro.
Sono le mani di Dedalo che, nella tela di Riminaldi, sta attaccando con la cera le ali che ha costruito per sé e per il figlio Icaro, perché possano salvarsi dal labirinto, e che in altri dipinti in mostra piangerà disperato quel figlio che troppo si è avvicinato al sole.
Sono le mani struggenti del vecchio Priamo, che non teme vergogna a inginocchiarsi davanti ad Achille e piange, e commuove l’eroe omicida, e lo convince a restituirgli il corpo martoriato del figlio Ettore, e nelle opere di Carrière e di Wencker gli stringe il braccio, o gli bacia, implorante, la mano.
E’ Edipo che piange i figli, nel quadro di Girodon; sono le sue mani struggenti che stringono quelle della madre/moglie Giocasta, nella tela di Toudouze.
E’ la mano sinistra di Ivan il Terribile che, nella tela di Schvarts, Compianto del figlio morto, stringe il lenzuolo del letto in cui giace il giovane Ivan. E’ lui il colpevole di quella morte, e in quel pugno stretto c’è tutto il suo cuore: non riesce a posare gli occhi sul figlio che ha ucciso. Lo sguardo è attonito, senza espressione, ma quella mano...
Sì, possono essere crudeli, i padri, e lo racconta Romanelli nel dipinto Crono e suo figlio: la falce nera tenuta con la destra, il pugno stretto sulla gambina di quel figlio a testa in giù, che presto divorerà. E guardateli, quegli occhi terrorizzati del bimbo che non capisce, ma intuisce che qualcosa di brutto incombe sulla sua piccola vita. E’ lo sguardo di allora e di sempre: lo sguardo dei figli traditi.
Ma ecco altre mani.
Quelle, decise, dell’angelo, a fermare altre mani nel Sacrificio di Isacco di Tintoretto e di Vermiglio, o le mani benedicenti di Isacco nei confronti del figlio Giacobbe, nell’opera di Bernardo Strozzi.
Sono le mani amorevoli di figli che si prendono cura dei padri, come nella tela di Stomer, in cui un devoto Tobia guarisce il padre dalla cecità.
Sono le mani di padri che diventano vecchi e tornano fragili come bambini, e bisognosi. Mirabile, a questo proposito, il gruppo scolpito con Enea, Anchise e Ascanio, datato 400 a.C., proveniente dal museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma.
O il quadro di Mattia Preti, La fuga da Troia, con le braccia del padre avvinghiate al corpo del figlio e il braccio giovane e muscoloso del figlio che sostiene la gamba del padre.
E poi sono mani che riaccolgono quando padri e figli si ritrovano: Batoni e Monchablon, nella raffigurazione struggente del ritorno del figliol prodigo. O Doucet, che racconta Ulisse che accarezza l’amato figlio e Telemaco, in ginocchio e di schiena, abbracciato a suo padre.
Sono le mani di un’intera famiglia: moglie, marito, un figlioletto, letteralmente al centro del dipinto di Verchtchaguine, Visita al padre carcerato. Non servono parole. Neanche sguardi. Al centro del quadro, in quelle mani è raccontato non solo lo struggimento di quell’incontro, ma tutto il passato, tutto il presente, tutto il futuro di quella povera gente.
E poi ancora mani, indimenticabili: quelle nel dipinto Adieu, di Guilleu. Il tentativo disperato di un padre di salvare il figlio mentre infuria la tempesta. Non c’è orizzonte, in quella tela; solo mare in burrasca e onde altissime, ma il padre non molla. Perché è così che si fa: nei naufragi quotidiani i padri-padri non mollano, perché, generata una vita, si è padri per sempre.
Concludo volutamente con Guilleu, anche se sono tante, ancora, le opere che potrete vedere in mostra. Volutamente, ad esempio, non dico nulla di tutta la sezione che ha a tema “il Padre divino”; non dico nulla perché in quelle opere è nascosta la sintesi di tutto. In quelle mani, in quegli sguardi del Padre nostro che è nei cieli, l’origine, l’alfa e l’omega della nostra vita di figli, della vita di chi è padre. E lascio a voi il piacere di scoprire perché.

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