Uno strano amore per #Alfie
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È ormai ampiamente assodata l’apostasia di molti membri della Chiesa inglese, a cominciare dal cardinale di Westminster, Vincent Nichols.
Le sue dichiarazioni sono quanto di più anti evangelico si possa dire su questioni inerenti la difesa della vita umana, sono un vero e proprio scandalo. Sarebbe meglio, per lui, mettersi una macina al collo e gettarsi nel mare. Marco Tosatti conclude così il suo articolo (QUI):
A questo punto c’è anche da chiedersi quali siano i motivi che portano la diocesi di Liverpool e la Chiesa di Inghilterra e Galles a schierarsi con tanta veemenza a fianco dell’ospedale. Coinvolto in passato in numerosi clamorosi scandali, relativi anche alla cura dei bambini.
Caro Marco, non c’è risposta migliore che la seguente: la diocesi di Liverpool e la Chiesa di Inghilterra e Galles servono lo stesso padrone dell’ospedale di Liverpool. Padrone con corna, zoccoli e tanfo di zolfo.
Vi segnalo la lettera (QUI) di Jean Pierre Casey, nipote del filosofo tedesco antinazista von Hildebrand, in cui si vergogna di essere un cattolico inglese. Eccone un piccolo stralcio significativo, che, purtroppo, vale non solo per la chiesa inglese:
Mi rammarico di dire che con questo tipo di guida - o, meglio, nell’assenza totale di guida che i nostri vescovi stanno dimostrando -, in gravi frangenti di rilevanza pubblica dove una forte testimonianza pubblica a difesa della vita, della famiglia e dei diritti parentali dati da Dio ai genitori sarebbe non solo necessaria quanto in verità un obbligo morale, non meraviglia che il gregge dei cattolici praticanti stia calando tanto velocemente. Chi vorrebbe infatti seguire pastori così?
Temo di dover dire che, essendo tutto questo accaduto a così breve distanza dal caso di Charlie Gard, e avendo questo caso avuto un finale sostanzialmente identico a quello - ovvero la totale mancanza di guida, di convinzione e di coraggio cui stiamo assistendo da parte dei nostri vescovi -, mi vergogno di essere un cattolico inglese.
Come ha detto Edmund Burke, «l’unica cosa necessaria affinché il male trionfi è che i buoni non facciano nulla».
Solo una chiosa alla frase di Burke: Nichols e compari non sono affatto buoni… Ed infine il resoconto di come hanno ucciso Alfie (QUI):
Alfie una volta rimossa la ventilazione ha subìto un trattamento tremendo. Essendo che i suoi polmoni erano abituati a dilatarsi meccanicamente, i medici avrebbero dovuto “svezzarlo” per non provocarne la morte immediata. Cosa che comunque non si è verificata anche se dopo lo stop delle macchine il piccolo aveva contratto un'infezione polmonare.
Per questo Alfie, come aveva spiegato a Thomas un medico italiano con cui era in contatto, avrebbe avuto bisogno di una terapia antibiotica immediata che gli è stata negata. Eppure, nonostante tutto questo, il piccolo ha respirato comunque senza alcun aiuto per ore, dato che medici gli avevano negato anche la mascherina necessaria ad aiutare la sua respirazione comunque autonoma.
Perciò, la sera di lunedì 23 aprile, dopo la rimozione della ventilazione alle 22.15 italiane, Thomas ha lanciato un appello chiedendo che qualcuno portasse dell’ossigeno in ospedale, ma la barriera di polizia all’entrata ha impedito qualsiasi intervento esterno. A quel punto uno dei legali della famiglia, Pavel Stroilov, è corso all’Alder Hey Hospital chiamato da Thomas. Mentre Stroilov entrava hanno cercato di seguirlo altre sei persone, una con la mascherina in mano che ha provato ad entrare con lui senza successo. Questa ha però pensato bene di lanciare la mascherina sopra la testa degli agenti, permettendo al legale di portarla ai genitori di Alfie. A quel punto il piccolo, che aveva già dimostrato una stazza da leone, smentendo l’avvocato dell’ospedale, Michael Mylonas, che in udienza aveva rassicurato il giudice Hayden sul fatto che la morte di Alfie sarebbe stata immediata alla rimozione della ventilazione, è stato aiutato a respirare.
Ma, ancora una volta, i medici hanno provato a privare il bambino anche della mascherina, con la scusa che non proveniva dall’Alder Hey. E per ben due volte hanno dato ordini di staccarla, finché Thomas non ha minacciato una denuncia, visto che il protocollo di morte approvato dal giudice Hayden non parlava né di privazione dell’ossigeno né di sospensione della nutrizione. Per la stessa ragione Thomas ha ottenuto che il piccolo, privato della nutrizione per ben 36 ore fosse alimentato. Sì, Alfie è rimasto senza cibo per 36 ore, un tempo lunghissimo per un bambino così piccolo, il cui cuore aveva già sostenuto uno sforzo enorme dopo la rimozione violenta della ventilazione senza svezzamento.
Inoltre, quando poi l’alimentazione è stata fornita era comunque a livelli minimi. Il bambino è vissuto minacciato dai medici e difeso dai suoi genitori per 4 giorni, aprendo di tanto in tanto gli occhi, reagendo. Così, per silenziare la stampa l'ospedale ha promesso a Thomas più ossigeno e più sostegni vitali. Due ore prima di morire la saturazione dell'ossigeno era a 98 e i battiti di Alfie erano a 160, tanto che Thomas era convinto che lo avrebbero lasciato andare presto a casa (così gli aveva detto l’amministrazione ospedaliera nel pomeriggio di venerdì). Prima di morire, mentre Thomas era uscito un istante, lasciando Kate in dormiveglia e un altro familiare in stanza, un'infermera è entrata e ha spiegato che avrebbe dato al bimbo quattro farmaci (non si sa quali) per curarlo. Dopo circa 30 minuti la saturazione è scesa a 15. Due ore dopo Alfie era morto.
[…] Alfie già affaticato e sottoposto a trattamenti violenti è stato privato del tutto dell’antibiotico necessario a curare l’infezione e poi del cibo e dell’ossigeno per troppe ore. Chi non vuole prendere posizione si nasconde dietro al mantra del “caso troppo complicato” i cui confini sarebbero difficili da stabilire. Ma forse manca il coraggio di guardare la realtà e di affermare che qui siamo davanti ad un caso di accanimento eutanasico palese? È chiaro che se per i medici la vita di Alfie era "futile", quindi un peso e un costo che non valevano la pena di essere sostenuti, l’approccio clinico verso di lui non poteva che essere fino alla fine quello di eliminarlo. Come ha scritto sempre Selicorni: «Se io considero la vicenda di Alfie un disvalore, una storia umana inutile, senza senso, non posso che pensare che prima ne pongo fine e meglio è».
Una fantasia? Nel 2012 erano scoppiate numerose polemiche a causa di denunce effettuate da pazienti coinvolti nel Liverpool Care Pathaway, il programma di trattamento fine vita allora in vigore in Gran Bretagna. Una infermiera dell'Alder Hey, Bernadette Loyd, stanca di vedere casi simili, aveva scritto al ministero della salute denunciando i modi con cui bambini e neonati muoiono. «Morire di sete è terribile, ed è inconcepibile che dei bambini debbano morire così. I genitori si trovano a un bivio e si sentono quasi costretti a scegliere questa via perché i medici dicono che i loro bambini avranno pochi giorni di vita. Ma predire la morte è molto difficile e ho visto anche un gruppetto di bambini che sono tornati a vivere, dopo che il Lcp era stato avviato e interrotto». «Ho anche visto morire bambini morire terribilmente di sete perché l'idratazione viene sospesa fino a quando non muoiono. Ho visto un ragazzo di 14 anni con il cancro morire con la lingua incollata al palato, quando i medici si sono rifiutati di idratarlo. La sua morte è stata vissuta con angoscia da lui e da noi infermieri. Questa è l'eutanasia che entra dalla porta anteriore». Il Sistema sanitrio nazionale aveva risposto alla Loyd senza entrare nel merito: «Le cure per il fine vita devono soddisfare i più alti criteri professionali e bisogna sapere stare accanto ai genitori del bambino durante il processo decisionale».
Alla faccia della “bontà” del sistema inglese, dichiarata dal card. Nichols:
“È importante ricordare che l’Alder Hey Hospital si è occupato di Alfie non solo per due settimane o due mesi, ma per diciotto mesi, consultandosi con i migliori specialisti del mondo – così che la posizione dei suoi dottori, secondo cui non poteva essere dato nessun aiuto medico ulteriore era molto importante. La Chiesa dice molto chiaramente che non abbiamo un obbligo morale di continuare una severa terapia quando non ha nessun effetto, mentre il Catechismo della Chiesa insegna anche che le cure palliative, che non sono una negazione di aiuto, possono essere un atto di pietà. Un’azione razionale, purificata dall’emozione, può essere un’espressione di amore; sono sicuro che Alfie ha ricevuto questo tipo di attenzione”.
È proprio così sicuro, il card. Nichols, di non avere del tutto perso il bene dell’intelletto? Comunque, sarebbe interessante vedere l’effetto del farmaco dato ad Alfie un paio d’ore prima di morire indovinate su chi…
San Michele arcangelo, difendici nella battaglia
Andrea Mondinelli