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Dichiarazione della polizia di Merseyside sui commenti dei social media su #AlderHey

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Finché l’apparenza — scrive Havel ne Il potere dei senza potere — non viene messa a confronto con la realtà non sembra un’apparenza; finché la vita nella menzogna non viene messa a confronto con la vita nella verità manca un punto di riferimento che ne riveli la falsità»

Stamattina la polizia di Merseyside ha rilasciato una dichiarazione per sensibilizzare le persone sul fatto che i post sui social media pubblicati su Alder Hey e sulla situazione di #Alfie Evans sono “monitorati” e “si può agire di conseguenza”.
L’ispettore capo Chris Gibson ha dichiarato:
“La polizia di Merseyside è stata informata di una serie di post sui social media che sono stati fatti in riferimento ad Alder Hey Hospital e alla situazione in corso che coinvolge Alfie Evans.
“Vorrei rendere le persone consapevoli del fatto che questi messaggi sono monitorati e ricordare agli utenti dei social media che qualsiasi reato, incluse le comunicazioni dannose e il comportamento minaccioso, sarà esaminato e, ove necessario, verrà perseguito”.

Merseyside Police statement on social media comments about Alder Hey

Merseyside Police have issued a statement this evening to make people aware that social media posts which are being posted in relation to Alder Hey and the Alfie Evans situation are “being monitored” and “may be acted upon.”
Chief Inspector Chris Gibson said:
“Merseyside Police has been made aware of a number of social media posts which have been made with reference to Alder Hey Hospital and the ongoing situation involving Alfie Evans.
“I would like to make people aware that these posts are being monitored and remind social media users that any offences including malicious communications and threatening behaviour will be investigated and where necessary will be acted upon.”


Quando ho letto questo comunicato intimidatorio, mi sono ricordato di quanto accadeva nei regimi totalitari, e mi è venuta in mente questa testimonianza di Vitalij Šentalinskij nel bel libro «I manoscritti non bruciano», pp. 254-255:

La delazione come genere del realismo socialista


Il professore di storia
«Non vi consegneremo i nostri Pavlik Morozov!», mi avevano avvertito alla Lubjanka, alludendo agli informatori, ai delatori, a tutto l’ordine sterminato e segreto dei loro collaboratori sparsi nelle file del nostro popolo.
Il giovane pioniere Pavlik Morozov, questo celebre eroe della nostra storia, aveva denunciato alle autorità suo padre, che era presidente di un kolchoz e proteggeva i kulaki. Il padre era stato fucilato. Tutti noi siamo stati allevati nel suo esempio, una lezione a cui nessuno è riuscito a sfuggire. E che ciascuno assimilava come poteva...
Nella scuola dove ho studiato regnava la noia: secchioni, insegnanti che ci leggevano le lezioni sul manuale, le solite iniziative sociali escogitate da quegli stessi insegnanti, le assemblee di rito in occasione delle ricorrenze politiche. Ma a un certo punto apparve un nuovo insegnante, il professore di storia. E subito divenne il nostro idolo.
Le sue lezioni erano sconvolgenti: non guardava il manuale e ci raccontava cose che lì non c’erano, camminando per la classe e gesticolando impetuosamente mentre rovesciava sulle nostre teste intere montagne di cose sconosciute. Nei suoi racconti la storia diventava una cosa viva e si srotolava davanti ai nostri occhi come una sequenza di eroi e di avvenimenti incredibili, tanto che anche quando arrivava il momento dell’intervallo non riuscivamo a muoverci dai nostri posti. Ma la cosa più importante era che voleva non che imparassimo le sue lezioni a memoria, ma che pensassimo, che pensassimo con la nostra testa. Era la prima volta che vedevamo un insegnante come lui. La sua materia ci apparve improvvisamente interessantissima e tutta la scuola cominciò ad acquistare un senso.
A un certo punto, però, accadde una cosa che cancellò in un istante tutta la mia adorazione per lui.
La nostra era considerata una classe sfortunata: tra i miei compagni c’erano dei teppisti noti in tutto il quartiere e dei ladruncoli che avevano già cominciato a bere e qualche volta venivano addirittura a scuola ubriachi. Il nostro caro insegnante di storia era considerato un cattivo educatore, cosa che la direzione gli aveva rimproverato più volte. E poiché era anche il responsabile della nostra classe toccava a lui decidere le opportune misure educative. Una volta mi si avvicinò prima dell’inizio della lezione e mi disse sottovoce:
«Ascolta, mi sembra che Saska Dement’ev abbia bevuto di nuovo. Vai ad annusarlo e poi dimmi».
La mia fiducia in lui era talmente cieca e sconfinata che senza pensarci due volte feci quello che mi aveva chiesto. Saska Dement’ev, uno spilungone grande e grosso che ripeteva la stessa classe per la terza volta, puzzava effettivamente di vodka. E io lo riferii al professore.
Immediatamente compresi di avere commesso una vigliaccheria, ma ormai era troppo tardi.
«Dement’ev!», gridò il professore. «Sei di nuovo ubriaco. Esci dalla scuola. E non farti più vedere finché tuo padre non è venuto a parlare con me. Vergogna! Giovane alcolizzato dell’Unione Sovietica!».
Gli altri studenti si misero a ridere. E io, io mi odiai. Il mio idolo era crollato. Ma la lezione che mi diede quel giorno me la ricordai per tutta la vita. E in seguito gliene fui addirittura grato: mi aveva somministrato una sorta di antidoto a quella infezione diffusissima in Unione Sovietica che si chiama delazione.

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