“Una scuola da grandi”
L’educazione oggi è una questione di vita o di morte per milioni di ragazzi: o è la possibilità di scoprire un orizzonte, un gusto e una pienezza della vita grandissimi, oppure è la condanna a vivere un’esistenza mediocre, banale, che non si sa cosa sia, vissuta sotto la cappa della tristezza, della noia e del non senso- Autore:
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Vorrei offrire un contributo al dibattito suscitato dall’incontro del Meeting “Una scuola da grandi”.
A tal proposito qui sotto riporto alcune considerazioni, che ritengo molto attuali, su come ho ricominciato scuola alcuni anni fa. In un’epoca di grandi e impressionanti mutamenti non mi sembra che il cuore dei giovani sia cambiato: come allora sui banchi di scuola ogni giorno incontravo anche oggi incontro persone la cui umanità è in attesa di essere chiarita, spiegata, compresa e amata totalmente da qualcuno che li abbraccia così come sono, perché anch’io sono stato abbracciato così.
I giovani desiderano incontrare qualcuno che dica loro: “Guarda che tu non sei definito dalle tue qualità o peggio dai tuoi limiti, perché il tuo valore è molto più grande, è infinito. Stiamo insieme, camminiamo insieme in questa avventura straordinaria che è la vita, aiutandoci a giudicare tutto, parlando e dialogando di tutto quello che ci succede e capita nel mondo, con la passione per la verità, con la passione di scoprire chi siamo”. La questione educativa mi appare semplice: desidero che accada ai giovani che incontro quel che è accaduto a me a 20 anni e che mi ha cambiato la vita, semplicemente perché qualcuno mi ha detto: Franco tu vali, stiamo insieme, mettiamo insieme la vita. La scuola, la parrocchia, il catechismo, portofranco ecc. hanno bisogno, a mio parere, di adulti così. La questione non è se viene prima il dialogo o l’identità, sono due aspetti dell’esperienza educativa fondamentali, essenziali, collegati tra loro, da cui non si può prescindere. Io penso che basti guardare Franco Nembrini in azione e si capisce di cosa c’era, c’è e ci sarà bisogno, nel rapporto coi giovani: fare scuola, studiare, per imparare ed appassionarci all’umano, una scuola di umanità, delle persone che mi educano alla scoperta della mia umanità, di un orizzonte, di un criterio che comprende tutto: le materie di studio, gli amici, la famiglia, i fiori, le esperienze affettive ecc. Che ci sia una scuola di umanità che alimenti una speranza certa nei giovani. La testimonianza che segue vuole essere una semplice esemplificazione di cosa intendo quando parlo di una scuola che educa alla scoperta dell’umanità di ciascuno.
Che cosa ho trovato nei primi mesi di scuola, incontrando le nuove alunne? Ho incontrato certamente una grande povertà dell’io, una povertà di senso, di amicizia e quindi di progetto della vita, ho trovato inquietudine e un senso di smarrimento. Ma è bastato entrare in classe e dire: «Io mi chiamo Franco e tu? Alessandra, Giulia, Stefania… Io vi stimo come persone, una per una» che quello smarrimento si è tramutato in stupore, meraviglia. Quei volti sembrava dicessero: «Ma prof tu ci tieni alla mia vita? Ti interessano il mio cuore e i miei desideri? Vengono prima del rendimento e dei voti?» Ecco cosa mi scrive una di loro: «Per la prima volta nella mia vita a scuola qualcuno, che non fosse un mio compagno, si è interessato a me come persona e non come un’alunna della III C. La scuola è una delle grandi occasioni che la vita ci dà, io la definirei “un’arma” che ci aiuta non solo ad essere alunne che diventeranno lavoratrici, ma a diventare le persone che vogliamo essere per restare tali tutta la vita, anzi nel corso degli anni migliorare sempre. E’ la scuola il punto di partenza ed in questo sta la grande sfida al nostro io: sfruttare questa possibilità, non restare nel buio dell’ignoranza, ma vivere alla luce della conoscenza». Un’altra aggiungeva: «La scuola è l’unico luogo in cui veramente scontrarti, fare i conti con ogni tipo di realtà. Molti dei discorsi affrontati in classe in questo inizio d’anno non sono mai stati minimamente sfiorati in casa, anche nel rapporto con i parenti e gli amici più stretti».
Nelle prime settimane ho parlato alle mie alunne dell’identità unica dell’uomo europeo, dell’Ulisse Dantesco, del Purgatorio e della testimonianza di libertà di Catone, di Leopardi e della sua serietà di fronte al desiderio di felicità che l’ha portato a rifiutare tutte le risposte effimere, false: erano affascinate, attentissime, si vedeva che quel che dicevo corrispondeva alla domanda del loro cuore. Dicevano: «Ma il desiderio di Ulisse è il mio desiderio, anche noi abbiamo le nostre “Colonne d’Ercole che ci bloccano nella ricerca”»; oppure «Le domande di Leopardi sono le domande che sento da tempo, ma nessuno intorno a me le considera»; ancora: «Quando ho visto il finale del film “Blade Runner” mi sono stupita molto perché mi sono resa conto di una realtà che fino ad ora avevo ignorato, o non avevo mai considerato: la voglia di vivere, di cercare risposte, di arrivare alla felicità che il protagonista Roy aveva è veramente una cosa unica, straordinaria!»
Questo è accaduto perché leggere Dante, Leopardi non è semplicemente lo sforzo di spiegare un testo, ma il desiderio di comunicare un’esperienza, questo è il centro della proposta educativa che vivo. Questo è il lavoro culturale che mi è chiesto: evidenziare, scoprire quello che io sono, quell’io che è in tutto quello che facciamo, che studiamo, proponendo e verificando un’ipotesi: nella realtà vive una presenza e tutto è segno di un Mistero amoroso che ha fatto il nostro cuore “per le stelle”, le domande che ci facciamo sono il sigillo del Mistero.
Il problema della cultura in cui viviamo è che getta un terribile sospetto sull’esistenza di una risposta ai desideri e alle domande del cuore, mettendo in dubbio la consistenza e il senso degli stessi desideri, affermando che le domande sono tutte fasulle o sogni irrealizzabili. I giovani crescono in questo clima. Scrive una mia alunna: «Viviamo in una società dove la prima cosa che ha valore è l’apparenza. Allora non siamo niente, non abbiamo valore solo perché non siamo cantanti, attrici, vip? Mi guardo intorno e mi chiedo: in che mondo vivo, in che società sono finita, perché tutti ragionano così? Non sono perfetta, sono qui per dire quel che penso, e spero che qualcuno mi possa comprendere. Perché ci sono valori nella vita che sono importanti e vengono tralasciati come se fossero spazzatura?» Un’altra aggiunge: «Quando cammino lungo il viale della scuola mi sembra di vedere un sacco di gente tutta uguale, senza personalità. La scuola oltre che un dovere è diventata l’occasione per mettersi in mostra: ‘io mi vesto bene, ho gli amici “giusti”, ho comprato l’ultimo modello di cellulare’. A gente così mi viene da chiedere: ma tu chi sei davvero?»
Questa domanda bisogna che rinasca grazie ad un incontro reale, vivo, con qualcuno, questo è il valore della nostra presenza coi ragazzi: l’unico motivo è la passione per la loro umanità. Un giovane ritrova la grande domanda di significato se gli stai assieme così, se tu non riduci e non censuri la tua domanda, se tu vivi intensamente la tua umanità e desideri scoprirla, approfondirla, se la lezione diventa l’occasione per comunicare una esperienza. Il primo impatto col reale, con la scuola è l’incontro con me che risveglia l’altro dal niente, che gli ridesta le esigenze del cuore. Non c’è giovane che rimanga indifferente, che non si senta provocato, che non intuisca che è conveniente per lui seguirti. Per troppo tempo abbiamo pensato che il problema del rapporto con le nuove generazioni fosse un problema tecnico, di cose da sapere, di strumenti didattici più adeguati, di una maggiore severità, di riforme strutturali, mentre l’educazione è un problema di uomini, di soggetti che hanno da comunicare qualcosa a chi incontrano, che trasmettono la passione di una vita vissuta pienamente. Esiste una vera scuola dove un adulto riesce a creare uno spazio di comunicazione fra la propria vita, la propria esperienza e le domande dei ragazzi. Di fronte a una generazione di giovani che non hanno più stima di se stessi, che non si sono mai sentiti veramente accolti, voluti bene, che non sono mai stati aiutati ad andare al fondo del proprio io, che ritengono che l’unico modo per sopravvivere sia diventare famosi, o ricercare lo “sballo”, ci vogliono dei “padri”, disposti, direbbe Dante, mentre camminano nelle strette vie cittadine, tra due file di case che impediscono la vista, a caricarsi il figlio sulle spalle e fargli vedere la torre, il campanile, il cielo, le stelle che non hanno mai visto, a dirgli “guarda!”, così che si stupisca di quella bellezza e poi scopra che dentro di sé c’è una bellezza ancora più grande.
L’educazione oggi è una questione di vita o di morte per milioni di ragazzi: o è la possibilità di scoprire un orizzonte, un gusto e una pienezza della vita grandissimi, oppure è la condanna a vivere un’esistenza mediocre, banale, che non si sa cosa sia, vissuta sotto la cappa della tristezza, della noia e del non senso. C’è bisogno di educatori che vadano al cuore della persona, del suo vivere e del suo non vivere, che aiutino il ragazzo a decidere per la vita, a mettersi in gioco, a rischiare, per lasciare un segno nel mondo e nella storia.
Franco Bruschi, educatore – Varese