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I preti - Poesie di Franco Casadei

Il 4 agosto si celebra S. Giovanni Maria Vianney – il Santo Curato d’Ars – proclamato patrono di tutti i sacerdoti nel 1929.
In tale occasione propongo alcune pagine di riflessione sulla figura del sacerdote servendomi di alcune mie composizioni poetiche, accompagnate da qualche nota di commento. 

I preti col tricorno per fare memoria dei sacerdoti dell’infanzia e della gioventù della mia generazione. Un tipo umano che ha scandito per secoli la vita cristiana di città e campagne. Severi talora, rigidi se vogliamo, ma guide determinate che – pur dentro i loro limiti – hanno educato tante generazioni alla fede, alla carità e alla speranza cristiana. 

Preti col tricorno

Non li vedrò più i preti col tricorno, 
la veste sfilacciata che striscia sulla ghiaia

non li vedremo più
i preti dalla dottrina austera,
le chiese aperte, i lini ricamati a mano
i turiboli anneriti, le madonne coperte sugli altari,
il velo che s’alza nei giorni stabiliti

ore di misericordia nascosti da una grata
giorni, anni seduti su una panca 
fra rosari e salmi

non li vedremo più su biciclette di ruggine
su auto rottamate lungo i sentieri 
a benedire stalle e casolari
le muffe di case popolari

le messe in gregoriano, i patroni in processione
fiori d’arancio, torme di bambini
i cortei con rintocco a morto verso i cimiteri

come ognuno di noi, peccatore e santo, 
per secoli guide di popolo, segno del mistero.

Avremo altri preti, senza collare
senza vesti nere
le chiese con le porte chiuse…

non li vedremo più.


Di fronte alla malattia e alla morte l’uomo da solo è come smarrito. Attraverso la poesia La visitatrice, si documenta come Cristo – attraverso il sacerdote – si faccia medico che con la preghiera e l’ultimo viatico conforta ed accompagna il sofferente verso un destino misterioso, certo, ma con dentro una speranza che tutto non sia stato vano.

La visitatrice

La stanza d’ospedale silenziosa nella sera
l’ossigeno scorre, un gorgoglìo leggero.
Il malato si è aggravato
la malattia ne ha scavato il volto.
Nelle ultime ore gli uomini tutti
assomigliano a Cristo sull’erta del Calvario.

Si sta seduti accanto, gli si tiene una mano.
E si tace. La visitatrice che si avvicina
svuota di senso ogni parola.

Nei tratti del malato si avverte inesorabile
l’incalzare di una forza che gli è nemica.
In un duello estremo il petto
sussulta ad ogni battito del cuore:
non vogliono arrendersi, gli uomini, alla straniera.

Si decide di chiamare un prete.
Non fa domande, non chiede se il malato
fosse devoto o andasse a messa.
Chino sul letto di un uomo che agonizza,
amministra i sacramenti, insieme
si prega la Madonna a bassa voce.
Poi se ne va, confortando le mie mani.

Nell’ombra della stanza, avanza la notte
non più ostile come prima.

 
Ho visto un prete piangere, una poesia piena di dolore che ci presenta un sacerdote intravisto in pianto davanti alla croce della sua chiesa. Il poeta discreto si allontana per non turbare l’angoscia di quell’uomo. Tante le domande! Perché piangeva, cosa lo angosciava? Era addolorato per qualcuna delle anime a lui affidate? Per tutto il male che ogni giorno infesta le nostre vite? Per la sua debolezza umana? Resta un punto di domanda drammatico, ma che spinge ad una vicinanza verso quell’uomo e verso i preti in generale, tante volte lasciati soli davanti alla fatica del vivere, ai problemi della gente, al loro stesso limite.

Ho visto un prete piangere

E’ entrato dalla porta stretta
a destra dell’altare,
un cero rosso nel silenzio
dell’ora, l’ultima del giorno

piegato sulla panca, davanti
a un legno di sangue crocifisso,
il brivido di un pianto

io, dietro la colonna…
sono uscito furtivo
dall’orto degli ulivi

rimane un segreto senza nome,
una schiena curva sulle mani
quel respiro tremante
nell’ora di nessuno.


Ed ora un testo – Quel prete – che ci mostra uno di quelli giudicati un po’ noiosi, ripetitivi, intransigenti. Eppure la dedizione al popolo che gli è stato affidato, porta questo vecchio sacerdote a dedicare le ultime sue forze per portare Gesù alla sua gente, l’unica ricchezza di cui dispone. E allora si capisce che il metro di giudizio dei fedeli non deve essere conformista e privo di benevolenza, ma grato e commosso.

Quel prete

Di tanto in tanto salgo al cimitero
su in collina e poi alla chiesetta
fra i cipressi, in fondo al viale.
Rivedo quel prete da decenni
le consuete prediche di devi, di non fare.

Con sorpresa lo ritrovo piegato sull’altare
un belato la sua voce, questo è il mio corpo,
il respiro ansante come Gesù nell’orto.
Una vicina di panca m’informa:
ha appena lasciato l’ospedale,
e all’alba se n’è tornato alla sua pieve.
Niente omelie stamani, solo un bisbiglio
balbettato sopra un’ostia opaca.

Noto per la noia dei sermoni, intransigente…
era lo stesso prete, quasi morente.
Migliaia di volte ha perdonato
convertito il pane, abbracciato pianti,
senza fascino apparente, ha fatto il prete.
Gli occhi affondati, agnello già immolato,
in una domenica di nebbia 
per me, per dieci vecchie, 
un’ultima volta ha offerto il corpo in croce.


Infine la figura di un testimone a noi vicino, Don Oreste Benzi che ha speso la vita per redimere i più diseredati, gli orfani, i disabili, gli abbandonati, le donne sfruttate, non solo facendosi strumento di solidarietà umana, ma – sull’esempio di Madre Teresa - proponendo a questi derelitti la prima ricchezza di cui aveva bisogno la loro povertà, cioè la compagnia di Gesù attraverso la comunità cristiana. Uomo di vera carità e non di mera solidarietà, nella consapevolezza che la redenzione dell’umano e anche della povertà materiale passava innanzitutto attraverso la valorizzazione dello spirito delle persone che accoglieva.

Don Oreste Benzi e la gazzella
(Rimini, anni 90)

Don Oreste seduto alla scrivania.
Davanti a lui, appoggiata appena
sul bordo della sedia,
una giovanissima nigeriana, esile
e nervosa come una gazzella inseguita.

Quei due, così diversi:
il vecchio grosso prete in veste nera
e quella fanciulla rubata all'Africa,
una preda spaventata, gettata
su un marciapiede d'Occidente.

Sotto alla scrivania i piedi di quei due.
La ragazza ha piedi minuti nei sandali,
piccoli agili piedi di savana abituati,
per sopravvivere, a correre e a fuggire.
Il prete, grossi piedi da contadino
dentro a robuste scarpe impolverate.
Scarpe come carrarmati che macinano
la strada e non si fermano davanti a niente.

I piedi della ragazza fremono inquieti
nella tentazione ancora una volta di scappare.
Quelli di don Benzi
ben piantati a terra, saldi come radici.

Sotto alla scrivania, dopo un poco,
finalmente fermi, in pace,
anche quei piccoli piedi di gazzella.


Riflessione conclusiva
Senza preti non ci sarebbe la Chiesa, Dio non avrebbe un volto percepibile e sperimentabile, perché, per noi cristiani, Cristo – il volto di Dio che si è fatto nostra compagnia – si fa prossimo, ancora dopo 2000 anni, attraverso i sacramenti e in particolare, dopo il Battesimo, i sacramenti dell’Eucaristia e del Perdono.
E senza prete non ci sarebbe Messa e senza Messa non ci sarebbe la comunità. E senza la Messa e senza Il Suo corpo che si immedesima in noi e che fa di noi una cosa sola, la vita sarebbe, come prima di Cristo, in balia degli umori e degli eventi, senza una pietra d’angolo. E l’uomo resterebbe solo con tutti i suoi drammi e il suo desiderio di infinito, lo sguardo rivolto al cielo in attesa di ciò che provvidenzialmente per noi è già accaduto.
Dovere nostro è fare cogliere ai preti quanto siano importanti per le nostre vite. Se glielo dimostrassimo, anche con l’affetto e con il nostro bene, si sentirebbero meno soli e smarriti!
Ogni prete triste o che sbaglia, è anche per colpa di noi cristiani, che non li sappiamo abbracciare. E i preti non abbiano paura di piangere. Lo ha fatto anche Gesù!

Franco Casadei