Totò Riina e la morte dignitosa
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“Lunedì 5 giugno la prima sezione penale della Cassazione ha reso pubblica una sentenza sulle condizioni di detenzione di Salvatore “Totò” Riina, boss mafioso che dal 1992 è stato condannato a diversi ergastoli, arrestato dopo una lunga latitanza e in carcere da 24 anni. Riina, che oggi ha 86 anni, è malato; il suo avvocato ha presentato un’istanza al tribunale di sorveglianza di Bologna (dal 2013 Riina è detenuto a Parma) in cui chiede la sospensione della pena o almeno gli arresti domiciliari. Il tribunale di Bologna non ha accolto la richiesta. La Cassazione, con la sentenza numero 27766, ha risposto invece annullando con rinvio l’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Bologna: questo non significa che per Riina sia stato deciso un differimento della pena ma che la decisione finale non è ancora stata presa.” (www.ilpost.it )
Quest’uomo è un mafioso, malavitoso, ha sulla coscienza omicidi atroci, pensare che la giustizia dovrebbe gettare le chiavi è umano. Quest’uomo per il quale il suo avvocato chiede una “morte dignitosa”, non ha pensato nemmeno per un attimo alla dignità violata di quei corpi sparsi per gli uliveti dopo l’esplosione di Capaci, non si è lasciato impietosire dall’idea di quei genitori straziati per la morte dei figli, di quelle mogli a cui veniva strappata la carne di quei figli che sarebbero cresciuti senza padre.
Non invidio coloro che dovranno decidere, perché se anche la giustizia divina insegna il perdono, insegna anche che non è gratuito, ci si confessa e si chiede l’assoluzione delle proprie colpe dopo il pentimento e la promessa di cambiare vita.
Non mi risulta che Riina si sia pentito, che abbia chiesto scusa, che abbia mostrato di sentire il peso dei delitti per i quali sconta la pena. Non mi risulta che abbia detto ai suoi figli, ai suoi nipoti, alle giovani generazioni, a tutti quelli che lo venerano come un capo, come uno che conta, da imitare e stimare: “fermatevi, pentitevi, non seguite le mie orme, sono un cattivo maestro”
Resta il dubbio che dietro alla richiesta di “morte dignitosa”, ci sia il volere di un capomafia di avere del tempo per “passare il testimone”, ma se anche così non fosse, pur certi che la Giustizia non deve essere vendetta, resta il fatto che non può nemmeno essere lassismo, ci vuole rispetto per i morti e per i vivi, ci vuole rispetto per lo Stato e per coloro che sono sopravvissuti al dolore delle morti provocate da quest’uomo e che hanno continuato a vivere e credere in quei valori che lui ha calpestato.
Suonano ancora vive le parole di Rosaria Costa vedova dell’agente Vito Schifani ucciso a Capaci che in quel momento di disperazione implorò i mafiosi : «Vi perdono, ma inginocchiatevi».
« Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani - Vito mio - battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato -- lo Stato... - chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio... di cambiare... loro non cambiano ... se avete il coraggio... di cambiare, di cambiare, loro non vogliono cambiare loro...di cambiare radicalmente i vostri progetti, progetti mortali che avete.
Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore che ha detto sulla croce: "Padre perdona loro perché loro non lo sanno quello che fanno". Pertanto vi chiediamo per la nostra città di Palermo che avete reso questa città sangue, città di sangue...
Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue - troppo sangue - di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore, non c'è amore per niente. »
Rosaria e molti altri familiari delle vittime di Capaci e di Via D’Amelio hanno saputo guardare avanti, crescere figli che hanno seguito le orme dei padri (il figlio di Vito Schifani è agente della Finanza) che non sono cresciuti nell’odio ma nella certezza che la morte dei loro padri poteva essere riscattata solo facendo il proprio dovere, con semplicità, nella quotidianità.
Suona ancora quel grido «Vi perdono, ma inginocchiatevi» e attende una risposta un gesto.