Nella notte, tutte le vacche sono nere
Pubblichiamo da «In movimento» questo interessante giudizio.- Autore:
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Sono stato presente all’incontro dell’altra sera a Molfetta. Incontro presieduto da sua eccellenza mons. Cornacchia, che aveva a tema: “Educazione di genere come contributo alla costruzione della personalità”
Che dire? Una gran confusione!
E la cosa preoccupante è che quella serata era solo la presentazione di un vero e proprio corso, articolato in cinque giornate di studio!
La dott.ssa VITONE, psicologa, ripete “cento” volte le parole “educazione di genere”, ma senza spiegarne il significato. Una cosa invece la chiarisce espressamente, e cioè che omosessualità e eterosessualità sono una semplice VARIANTE della espressione sessuale. Punto! E certo, lei fa il suo mestiere. Ci mancherebbe. Ci dice poi che bisogna accogliere le differenze, senza capire che non si accolgono le differenze ma le persone.
La moderatrice, esponente, a suo dire, di lungo corso della Azione Cattolica, pone la seguente domanda alla dott.ssa Paparella, garante regionale (della Puglia) dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: “Diventa ciò che sei o ciò che vuoi?”. È una domanda che chiaramente “alza la palla” alla teoria di genere, tema della serata. La dottoressa Paparella, però, non risponde affatto a questa domanda, preferendo parlare di tutt’altro, uscendo, come si suol dire, fuori tema. Forse il clamore che ha preceduto l’incontro ha spinto la Paparella a “volare alto”. Cose giuste, per carità. Ma la domanda era altra. La comprendo.
Il giudice, prof. Gigante, parla addirittura di un “pluriverso” di identità sessuali e di un “pluriverso” di paternità. Insomma, ci sono migliaia, anzi c’è un universo di identità diverse, un universo di paternità diverse e, si desume, tutte uguali e paritarie. E dunque, devo logicamente dedurre, un “pluriverso” di famiglie diverse. Tutte, si capisce, bisognose di accoglienze. Anche qui, senza giudicare!
Eppoi, per finire, ci poteva mancare il professore di religione? Assolutamente no. Ma anche lui ripeteva il solito refrain: “non bisogna giudicare ma solo accogliere”. Guai a giudicare! Perché, ci dice, ci sono tante identità, compresa la “identità del cittadino” (sic)!
In tutta la serata (lo si può vedere dalla registrazione) quello che ha trionfato è stato il sentimento: affettività e accoglienza, accoglienza e affettività. Ma la ragione, la ragione, che fine ha fatto? E pensare che quella sala era piena di docenti, anche di religione. Mi domando: cosa avranno capito di quel tema? E ai loro ragazzi-alunni cosa riporteranno? Con loro come si porranno?
Perché, in fin dei conti, a me pare che il punto sia: perché bisogna accogliere? Qual’è la ragione profonda dell’accoglienza? Qual’è la verità del bisogno e la verità della persona? Qual’è il vero bene di colui che si vuole accogliere? Basta la psicologia o la sola vicinanza umana? E, soprattutto, siamo forse noi che compiamo il bene di colui che vogliamo accogliere?
Sembrava però che sulla serata aleggiasse minacciosa una “ossessione”, quella di non giudicare, di non usare la ragione, ma di inginocchiarsi al moloch dell’affetto, alla cosiddetta “educazione alla affettività”, oggi tanto in voga. Come se l’affettività coincidesse con l’amore, quest’ultimo inteso nel senso profondamente umano e teologico del termine.
In quella serata è stato affermato, di fatto, che tutte le identità sono uguali, come nella notte, aggiungo io, tutte le vacche sono nere! Ed in tutta questa confusione ci si aspettava una parola di chiarezza da parte del vescovo, mons. Cornacchia. Una parola che acclarasse, con la sua autorevolezza di pastore, che la verità, la Verità, rimane un fattore essenziale e imprescindibile per la nostra vita. Che, certamente, occorre accompagnare, che certamente occorre tanta carità, come con tutti noi, ma nella verità, perché è così che si fa il vero bene della persona, di qualsiasi persona, a cominciare da me stesso. È per questo che mendichiamo il Bene. E la Chiesa, in questo senso, ha uno sguardo materno verso di noi, verso le nostre debolezze. Ci accoglie nel suo manto ma per indicarci la retta via, quella che ci fa attraversare il labirinto della vita di tutti i giorni, ma che è, soprattutto, quella che ci fa guadagnare la salvezza eterna.
Infatti, la Chiesa è “MATER ET MAGISTRA”, è madre “E” maestra. La Chiesa è maestra perché ci indica la Verità e non le verità, quelle che a noi fanno comodo. Essa non può dunque limitarsi a confermare le “50 sfumature” di identità diverse, perché questo è quello che la modernità cerca, questo è quello che il mondo, il Mondo, ha sempre cercato.
Il card. Angelo Scola, proprio qualche giorno fa, in occasione del pellegrinaggio di Comunione e Liberazione per l’anno giubilare della Misericordia, ha detto: “La Misericordia di Dio si piega sul male non perché resti male. Dio ama il cattivo non perché tale, ma per farne un buono. Un equilibrio profondo tra misericordia e libertà”.
Quella sera, invece, si è ripetuto spesso di “non giudicare”. E questo è molto strano, perché l’uomo è caratterizzato dalla ragione che si esplicita in un giudizio, cioè nella capacità di discernere il bene dal male. E questa facoltà la alimentiamo se volgiamo continuamente lo sguardo a maestri e padri, se ci facciamo aiutare e correggere da una compagnia che ci vuole bene e che si chiama Chiesa, È questa continua ricerca della Verità che ci fa uomini. Ma forse oggi è proprio questo il problema, perché sembra che manchi la necessaria chiarezza su cosa sia il bene e cosa sia il male. Su quale sia la strada giusta in questa epoca di profondi e rapidi cambiamenti. Dove sembra che la tensione sia indirizzata più a trovare nuove forme di espressione della nostra fede per “contagiare” il prossimo, piuttosto che bramare di ritornare al porto sicuro dell’Essenziale, cioè a quello che salva in primo luogo la mia anima, nella umile convinzione che il resto verrà, e che comunque non dipenderà da me.
Invece mons. Cornacchia, in sintesi, e con tutto il rispetto che si deve ad un pastore della Chiesa, si è limitato a ripetere la frase che Papa Francesco ha detto: “Chi sono io per giudicare?” (solo questo pezzo, però, e non quello che lo precede).
Papa Francesco però, su questo tema, è stato sempre molto, molto chiaro. Da ultimo, in Georgia, proprio in questi giorni, ha detto: ”La teoria del gender è una guerra mondiale contro il matrimonio”. Ci ha ripetuto per l’ennesima volta che essa è una catastrofe che distrugge la famiglia, e con essa la persona. Stiamo attenti. Molto attenti.
Purtroppo, quella sera, mi è parso di sentire solo un miscuglio di parole. Tanto sociologismo e troppo “psicologismo”, ma poco, pochissimo, di quello che è essenzialmente cattolico. E questo mi ha molto rattristato. Perché è proprio vero, noi, come pecore, non abbiamo bisogno di “vescovi piloti”, ma sicuramente abbiamo bisogno di “vescovi pastori”. Pastori che curino e guidino il gregge verso la Meta.