Il matrimonio gay (non) è un matrimonio
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Sta andando in scena in alcune città italiane il matrimonio omosex. Peraltro, veramente pochi rispetto al clamore mediatico suscitato sulla vicenda: una ventina in tutta Italia.
I giornali titolano a grandi caratteri “Nozze arcobaleno”, “Il primo matrimonio tra uomini”.
Già, “un matrimonio”. A Roma, la Raggi è stata ancor più esplicita: “Oggi è nata una nuova famiglia”.
E’ questo l’esito di una legge ipocrita. Il matrimonio gay non è un matrimonio. Sarebbe anticostituzionale. L’art. 29 Cost. dice che matrimonio è quello tra maschio e femmina. Però la legge Cirinnà è costruita come un matrimonio, estende tutte le prerogative proprie della famiglia fondata sul matrimonio anche alle unioni omosex. Dice di non regolamentare un matrimonio (tanto che parla di “unione civile”), ma di fatto istituisce una nuova ipotesi di matrimonio e di famiglia. Anche nel percepito comune e nelle modalità di celebrazione della cerimonia è evidente come di fatto si realizza una commistione di figure matrimoniali.
E’ questa l’ipocrisia di una legge che dice una cosa (riconosco le “unioni civili” come cosa diversa dal matrimonio) e ne fa un’altra (istituisco un vero e proprio matrimonio tra persone dello stesso sesso).
Ma come? E i diritti degli omosessuali al matrimonio? Non era la stessa Corte Costituzionale che ci obbligava a togliere questa discriminazione? Non era l’Europa che ci chiedeva di riconoscere i matrimoni gay?
Non era così, anche se il potere mass mediatico del pensiero unico ha fatto passare questo per giustificare la Cirinnà.
“L’art. 29 pone il matrimonio a fondamento della famiglia legittima, definita società naturale (con tale espressione si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere) … La nozione di matrimonio stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso … Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica”. Non sono parole mie, ma della Corte Costituzionale (sentenza 138 del 2010).
Il matrimonio previsto dalla nostra carta costituzionale è solo quello tra uomo e donna. Per decidere il contrario bisognerebbe fare una riforma della costituzione.
“La censurata normativa del codice civile, che contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”. Ancora una volta non sono parole mie, ma della Corte Costituzionale. Non prevedere un matrimonio omosex non discrimina. Si possono regolamentare in modo diverso le unioni civili, senza equipararle al matrimonio.
Però – si obietta – l’Europa ce lo chiedeva … Ebbene, ecco cosa dice la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 9 giugno 2016. “Gli Stati rimangono liberi di non aprire il matrimonio se non alle coppie eterosessuali. Essi beneficiano di discrezionalità nel decidere la natura della regolamentazione da conferire agli altri riconoscimenti giuridici”.
L’aspetto veramente grave dell’approvazione della legge Cirinnà (anche da parte di coloro che hanno impropriamente parlato di compromesso) è l’esatta equiparazione della regolamentazione delle unioni civili con il matrimonio. A tutti gli effetti, civili, patrimoniali, previdenziali, successori. Significativo è l’art. 20: “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Sapete in cosa si differenziano i due matrimoni? Nel fatto che le due persone omosessuali non sono tenute all’obbligo di fedeltà! Questa è l’unica difformità, peraltro un chiaro e maldestro tentativo di difendersi da una eventuale eccezione di incostituzionalità. In realtà un aggiramento dell’art. 29 Cost.
Quanto alla possibilità di adozione dei figli, che le legge non consentirebbe, essa rappresenta la classica foglia di fico. In realtà il problema è già stato ampiamente superato dalla giurisprudenza che ha riconosciuto detta possibilità (da ultimo, Cass. del 22 giugno 2016).
D’altra parte, di fronte a una normativa impostata sull’esatta equiparazione dei due matrimoni, quale giudice ora potrebbe sostenere il contrario?