Mussulmani a messa?
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Ho aggiunto una risposta a una amica che mi chiede spiegazioni delle mie affermazioni

I musulmani e la loro presenza (residua) domenica scorsa a messa, come segnale contro il terrorismo: solo un po’ di teatro, come hanno detto in molti?
«L’intenzione di partenza è positiva, per carità. Ma il resto...»
Il cardinale Bagnasco ha strigliato i cattolici ‘dissidenti’. Lui, don Gabriele Mangiarotti, sacerdote milanese trapiantato a San Marino e responsabile del sito CulturaCattolica.it, è uno di questi dissidenti.
Perché?
«Perché per i cattolici la messa ha un significato preciso: non è solo un incontro fra persone, ma il mistero del sacrificio di Dio»
E quindi?
«E quindi a questo mistero si aderisce con la fede, particolare che domenica è stato messo completamente da parte. Prima del Concilio i catecumeni, cioè coloro che intraprendono il percorso di fede, venivano invitati ad uscire dalla chiesa dopo le letture».
Il suo ‘capo’ Bagnasco non è molto d’accordo con lei...
«Nella Chiesa, grazie a Dio, c’è la libertà di pensiero. È possibile un confronto serio solo se non ci si spoglia della propria identità».
Invitare un musulmano in Chiesa vuol dire spogliarsi della propria identità?
«Guardi, io non vado in una moschea a leggere il Vangelo».
Neppure i musulmani domenica sono andati in Chiesa a recitare il Corano...
«Qualcuno invece lo ha fatto, comunque hanno pregato il loro Dio. Sa qual è il rischio?»
Quale?
«Che si consegnino le nostre chiese ai musulmani come luogo di culto. Così diventano case dell’Islam».
Senza dialogo e con posizione un po’ troppo oltranziste non si rischia di alzare un muro ancora più pericoloso con gli islamici?
«Dire che c’è dialogo perché i musulmani vengono a messa è mettere un’etichetta pericolosa, è un’utopia. Il dialogo è un confronto concreto fra persone in carne e ossa. E la verità è l’unica condizione per potersi incontrare fino in fondo, senza ingannarsi».
Qual è la verità?
«Che nel mondo c’è tanta violenza in nome del dio dell’Islam. C’è gente che sgozza i preti inneggiando ad Allah».
C'è una Chiesa buonista che non la vede come lei...
«Sa cosa disse San Francesco al sultano tanti tanti anni fa?»
No, cosa?
«Il Sultano chiese spiegazioni sulle invasioni cristiane in terre altri. San Francesco gli rispose così: Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla religione quanti uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi. Questo è San Francesco...».
Cosa bisogna fare oggi?
«Dire le cose come stanno, nel rispetto delle persone. Chiarire, ad esempio, il ruolo delle moschee: più che ad educare, sembrano luoghi legati a un islamismo radicale e fanatico»
Dire le cose come stanno cosa significa nel concreto?
«Che il problema dell'Islam è anche e soprattutto un problema educativo. Il valore della persona, il valore delle donne, il valore della libertà; vi sembra che sia un cammino normale quello degli islamici? No, mi ripeto, diciamo le cose come stanno: serve un cammino educativo serio del mondo musulmano, un'integrazione seria con la cultura del popolo che ti ospita>.
Chi deve intervenire?
«Anche lo Stato, per far rispettare le leggi. Se io faccio una scuola che va contro i principi della Costituzione, qualcuno dovrà pure intervenire. E poi la poligamia, L'infibulazione. Certe cose non si possono fare perché vietate dalla legge. Punto».
Ma è sufficiente l'intervento dello Stato?
«No, dobbiamo darci una mossa anche noi cristiani: smettiamola di essere molli o impauriti dalla vita. Nel dialogo con l’Islam servono santi, non mezze cartucce. Se l’Islam troverà un Cristianesimo capace di dimostrare la bellezza della vita, allora sì che potrà esserci il miracolo di un incontro vero, costruttivo».
Don Gabriele, perdonami, io anche questa volta non capisco. non capisco proprio quello che dici e dunque, temo, quello che vivi. Certo che c'è libertà di pensiero, ma perché siamo sempre liberi di pensare qualunque cosa e mai di provare ad immedesimarci fino in fondo in chi ci chiede certi passi? Perché non provare a considerare l'ipotesi -dico IPOTESI- che quello che dice Bagnasco -o chi per esso, posto sul nostro cammino come guida, quindi non deciso da noi- di non possa aprire nelle nostre vite una novità? È così assurdo chiedersi di verificare nell'esperienza fino in fondo certi giudizi prima di opporvisi? È essere caproni? O servi umili e pieni di desiderio e di speranza? Io ho bisogno di capire. |
Cara Ale,
innanzitutto una questione semplice. Se io intervengo sulla stampa, allora è sulla stampa che mi si può rispondere. Che è come dire che se accetto il rischio di comunicare con un mezzo qualunque, questo mezzo può essere anche il tramite della risposta e/o della critica. Quindi se il Papa o Bagnasco o chi per esso (anch’io) usano questo strumento, chiunque può rispondere attraverso di esso. E questo vuole però anche dire che c’è una responsabilità che dobbiamo vivere, e non solo nel parlare. Da questo punto di vista capisci che non godono di molta simpatia da parte mia certe esternazioni che magistero non sono, ma che sembrano passare per tale.
Nello specifico di quello che ho detto nella intervista: mi è stato chiesto che cosa pensavo del rimprovero di Bagnasco, o meglio della sua incomprensione, per chi non approvava la scelta dei mussulmani di partecipare alla messa in segno di solidarietà contro la violenza ai cristiani. E ho detto che ritengo che su certe questioni la libertà di pensiero è un valore sacrosanto. Ricordi che cosa disse s. Agostino (o chi per lui)? «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas», così tradotto da Giovanni XXIII: «Ad ogni modo è sempre da tener presente quella bella e ben nota sentenza attribuita in diverse forme a diversi autori: NELLE COSE NECESSARIE CI VUOLE L’UNITÀ, IN QUELLE DUBBIE LA LIBERTÀ, IN TUTTE LA CARITÀ.» E a me sembra che almeno di cosa dubbia si possa parlare a riguardo della presenza dei mussulmani a messa, soprattutto se poi li si lascia recitare il Corano. Ricordi che anticamente le chiese avevano fuori il Battistero? E che la messa era distinta tra messa dei catecumeni e messa dei fedeli? Ci sarà ben stata una ragione, no? E ricordi che, secondo l’islam, se un mussulmano recita il Corano in un luogo qualsiasi questo diventa «terra dell’islam»?
Il problema secondo me ha due risvolti.
Da un lato la MISSIONE, la testimonianza della fede (che certo non è un discorso) che risponde al comando di Gesù e dall’altro l’EDUCAZIONE, che è un gravissimo problema, sia per noi che per loro.
Non si costruiscono ponti con i buoni sentimenti, ma con un lavoro faticoso e impegnativo. E anche sottoponendo a giusta critica le posizioni del Corano, che nella loro ambiguità impediscono un serio confronto tra uomini leali.
Questo lavoro mi appassiona, e non solo nei riguardi degli «altri», ma soprattutto nella vita della nostra appartenenza (anche se mi pare che a volte sia più un sogno che una realtà).
A presto e in sincera amicizia.